Province dure a morire, tanto che nemmeno la riforma della Costituzione le eliminerà. Da anni campeggia un po’ ovunque l’idea che le province siano state “abolite”. Si tratta di una comunicazione ingannevole e sbagliata: la legge Delrio non ha abolito assolutamente le province, ma ne ha riformato le competenze, mentre in parallelo la legge 190/2014 ne ha ridotto di quasi la metà le risorse, determinando lo strozzamento finanziario che ha portato molte di esse a violare il patto di stabilità destinandole comunque tutte al dissesto.



Forse nello stesso Parlamento è radicata la convinzione di aver abolito le province, altrimenti non spiegherebbero gli interventi finanziari disposti in questi anni, che più che ledere la posizione delle province hanno finito per procurare gravi disservizi ai destinatari dei servizi.

Altra informazione “spot” e di propaganda sul tema che da mesi viene ripetuta è che, in ogni caso, è la riforma della Costituzione ad abolire definitivamente le province, qualora vinca il sì. Ma, anche in questo caso si tratta di un’indicazione erronea: le province, infatti, resteranno anche qualora la Costituzione dovesse effettivamente essere riformata. Infatti, la riforma Boschi-Verdini è vero che cancella la parola “province” da tutti quegli articoli che la Costituzione oggi vigente la contengono espressamente; tuttavia, questa operazione di “pulizia” del testo della Costituzione non sortisce in alcun modo l’effetto di eliminare gli enti provinciali.



Pensiamoci bene: quanti enti pubblici esistono, acquisiscono entrate, spendono risorse, svolgono funzioni, senza essere per nulla contemplati dalla Costituzione? Inps, Autorità indipendenti, Inail, Aci, Agenzie varie, solo per fare pochi esempi. Ecco, allora, la soluzione all’apparente contraddizione. La cancellazione della parola “province” dal testo della Costituzione riformata non può comportare di per sé l’eliminazione dell’ente, ma sortisce un effetto molto più limitato: trasforma le province da ente “a rilevanza costituzionale”, cioè espressamente previsto dalla Costituzione necessario elemento compositivo della Repubblica, a ente privo di tale rilevanza, “abolibile” con legge ordinaria, ma non ancora “abolito”. 



Né la riforma della Costituzione, in realtà, mira in alcun modo ad eliminare le province. Occorre qui richiamare il testo dell’articolo 40, comma 4, della legge costituzionale oggetto del referendum, per capirlo: “Per gli enti di area vasta, tenuto conto anche delle aree montane, fatti salvi i profili ordinamentali generali relativi agli enti di area vasta definiti con legge dello Stato, le ulteriori disposizioni in materia sono adottate con legge regionale. Il mutamento delle circoscrizioni delle Città metropolitane è stabilito con legge della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la Regione”.

Dunque, l’articolo 40 contenente le “disposizioni finali” della riforma costituzionale, assolve a due chiarissime funzioni. La prima è fare “salvi” gli effetti della regolazione delle province, denominate “enti di area vasta”, contenute nella legislazione dello Stato: segnatamente, si tratta proprio della legge Delrio (56/2014) e delle altre norme collegate. Dette norme restano in piedi, vive, vegete e vigenti a continuare a regolare la vita amministrativa delle province, che non muoiono per nulla, ma restano. La seconda funzione di questa norma finale della riforma costituzionale è attribuire alla potestà legislativa delle regioni di adottare ulteriori leggi finalizzate a regolare l’attività delle province-enti di area vasta. 

Poiché l’assegnazione della potestà legislativa sulla materia alle regioni discende da una legge costituzionale, risulta un diritto costituzionalmente garantito delle regioni disciplinare le province (sotto le mentite spoglie di enti di area vasta) con propria legge. Pertanto, anche se astrattamente un domani “abolibili” mediante legge ordinaria dello Stato, le province potranno effettivamente essere abolite comunque con un nuovo e ulteriore intervento sulla Costituzione, che privi le regioni di questa potestà legislativa specificamente assegnata loro dall’articolo 40, comma 4, della legge costituzionale.

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