Una diversa vicenda corre parallela a quella del referendum per la riforma costituzionale ed è quella europea. Il rapporto tra il governo italiano e la Commissione europea in occasione della valutazione della legge di stabilità sembra apparentemente meno rilevante della vicenda interna; ma non è così. 

Il peso delle regole europee è particolarmente pesante e negli anni della crisi ha fatto sentire l’interferenza sulle scelte interne, pena un diretto commissariamento anche dell’Italia, che non è propriamente comparabile con la Grecia. A quel tempo c’era il governo Monti che, con la spending review e con i tagli alla spesa, al di là della loro accuratezza ed esattezza, fece il lavoro che scongiurò l’arrivo della troika.



Il governo italiano (Letta) ottenne nel giugno del 2013 la chiusura della procedura europea d’infrazione per debito eccessivo e il permesso di pagare, in una quota intorno ai 45 miliardi di euro, una parte dei debiti della pubblica amministrazione verso i privati. La manovra di reimmettere liquidità per questa via nel sistema economico non è riuscita e così i debiti verso i fornitori dell’Amministrazione sono rimasti insieme ad un aumento del debito pubblico.



Nel 2014 il governo (Renzi) si avviò lungo la via delle riforme: “sblocca Italia”, “Jobs Act”, legge Delrio, eccetera; a queste si aggiunse anche la riforma costituzionale. Il giudizio della Commissione, in quell’anno, è stato più sulla buona volontà e sul futuro dell’attività governativa italiana che non sul reale effetto di queste leggi.

Alla crescita del consenso da parte di Renzi si è posto il bisogno del suo mantenimento con la spesa pubblica, secondo la migliore tradizione del “malgoverno”. Così è stato con gli 80 euro prima delle elezioni europee del 2014 e nel 2015 con una serie di misure a favore delle banche e dei petrolieri, provvedimenti consolidati o ripetuti dopo il referendum Notriv. Nel frattempo altri bonus di incerta efficacia sono stati varati e il governo è andato alla ricerca di decimi di flessibilità sui vincoli europei, anche per la particolare congiuntura della crisi umanitaria che investe il mediterraneo e che rende inevitabile il nostro impegno. 



Sulla manovra 2016, così, si sono addensate una serie di riserve, sia al momento della sua approvazione, alla fine del 2015, sia al momento della sua verifica, nella primavera del 2016. In particolare, per la semplice ragione che il deficit di un anno determina un incremento del debito nell’anno seguente e la continua crescita del nostro debito preoccupa l’Europa che si è data delle regole, con il fiscal compact, per la riduzione dei debiti eccessivi, come il nostro, che è più del doppio consentito.

Anche le raccomandazioni per il 2017 sono rimaste uguali, con una piccola controversia sulla misurazione delle quote per il terremoto e per le attività di emergenza per i migranti, e la prossima primavera potrebbe essere la prima volta, dopo l’apertura del 2013, che la Commissione tiri il “morso” al governo italiano. 

Nonostante l’atteggiamento di opposizione del governo Renzi alla Commissione, come mostra anche la riserva presentata sull’assestamento del bilancio dell’Unione, la Commissione ha di fatto mantenuto un tono morbido: si tratta di un assist al governo italiano sul voto del referendum e tutti i rappresentanti delle istituzioni europee politicamente stanno supportando quest’idea di cambiamento costituzionale, violando la neutralità che dovrebbero avere rispetto alle questioni costituzionali interne, imposta dall’art. 4 del Trattato sull’Unione europea.

Ma dopo questo voto e a prescindere dall’esito che avrà, la situazione politica delle relazioni tra l’Italia e l’Unione appare destinata a cambiare e cambierà ancora di più una volta che si saranno tenute le elezioni politiche in Germania e Francia.

La politica “espansiva” del governo italiano, tutta a debito e senza risultati economici positivi, è stata possibile non solo per la tolleranza della Commissione, ma anche per il quantitative easing della Bce, che ha comprato il debito italiano.

In primavera prossima, a prescindere dall’esito del referendum e dal governo in carica, Renzi compreso, il governo italiano dovrà assumere l’impegno per il 2018 di ridurre seriamente il debito, anche perché con molta probabilità verrà meno il sostegno della Bce, e ciò renderà difficile collocare il debito, con il pericolo che lo spread con i titoli tedeschi possa impennarsi nuovamente.

La Commissione non potrà non prendere atto di questa situazione e dare vita a una valutazione opposta o comunque molto diversa, in termini di attesa, da quella attuale.

Inoltre, le elezioni politiche in Germania e quelle presidenziali in Francia, determineranno un resettamento anche della crisi europea. Probabilmente in Germania avremo ancora una grande coalizione e in Francia un presidente eletto con il concorso dei voti neogollisti e socialisti; ma sarà sufficiente per definire il livello europeo con regole di integrazioni nuove che avrà nei due paesi il fulcro e, a quel punto, come ha pronosticato un importante centro di studi europeo (Sentix), all’Italia sarà presentato un conto salato a fronte degli sprechi di questi anni. E, allora, Renzi o non Renzi, gli italiani saranno chiamati a pagare.