Ormai il gioco è semplice. Basta tenere conto di quello che dicono i famosi sondaggisti, gli analisti scrupolosi e gravi, i giornalisti disinvolti e alla moda. Poi rovesciare le loro previsioni e il risultato è quasi sicuro. È un altro sintomo del collasso di un’intera classe dirigente e dell’incapacità generale di saper leggere i mutamenti sociali. Dopo le previsioni sulla Brexit e su Donald Trump, è arrivata la conferma della nuova regola nelle primarie del centrodestra francese. Fino a qualche mese settimana fa doveva essere una “passeggiata” per Nicolas Sarkozy, il “gran ritorno” per lo scontro con Marine Le Pen. Poi è improvvisamente diventato favorito Alain Juppé, classico conservatore, uno dei fondatori dell’Ump e attuale sindaco di Bordeaux. Sarebbe toccato a lui difendere lo “spirito della Repubblica”. Alla fine, al primo turno, ha vinto Francois Fillon, già primo ministro “bistrattato” di “Sarkò”, cattolico e gollista “doc”, piuttosto sconosciuto all’estero tanto da farlo scambiare per un ciclista del Tour, mentre è stato solo un corridore automobilistico che ha partecipato alla “24 Ore” di Le Mans. Certo c’è sempre un ballottaggio da affrontare, domenica prossima, ma su quattro milioni di votanti (una partecipazione impressionante) Fillon si è aggiudicato il 44,2%, mentre Juppé si è fermato al 28,4%.



Per la cronaca, Nicolas Sarkozy, l’uomo che ha interpretato con Angela Merkel l’asse franco-tedesco europeo dopo la crisi mondiale del 2007, che ha decretato insieme alla Cancelliera tedesca (che si ripresenta per la quarta volta in Germania) la possibilità del fallimento di uno Stato dell’Unione europea, che ha irriso all’Italia e, senza avvertire nessuno, ha mandato i “Mirages” a bombardare la Libia di Gheddafi, creando il pandemonio finale in Medio Oriente; ebbene, questo “Sarkò” ha ottenuto solo il 20% e ha già annunciato il ritiro dalla politica a 61 anni. Ma non c’era bisogno della sua dichiarazione di commiato, perché sono stati i suoi elettori a mandarlo a casa, clamorosamente.



Occorre vedere, a grandi linee, il significato di queste primarie del centrodestra nella Francia colpita ripetutamente e duramente dai killer dello Stato Islamico e condotta attualmente da un Presidente, il socialista Francois Hollande, che è forse uno degli uomini più impopolari nel suo Paese ed è ritenuto un perfetto “incapace” anche in ambito europeo.

La grande partecipazione alle primarie (quattro milioni, mentre Sarkozy pensava che se ne presentasse alle urne solo un milione) ha il significato innanzitutto di una protesta della vecchia destra gollista, che, pur con tutti i suoi limiti, vanta una tradizione democratica e non tollera una vittoria del Front National, della figlia di Jean Marie Le Pen. È come se i vecchi supporter della “grandeur” del generale De Gaulle si fossero ribellati e avessero suonato una “sveglia” a questi “pasticcioni” che hanno ereditato la Quinta repubblica dopo il grande dramma dell’Algeria.



Questi francesi hanno compreso che la situazione è veramente compromessa. Perché le stragi dopo “Charlie Hebdo”, dopo il “Bataclan” e dopo la Promenade des Anglais rappresentano allo stesso tempo un attacco al “cuore laico” dell’Europa e sono il frutto di una politica di integrazione completamente sbagliata. Le banlieues parigine sono l’esempio più lampante di una società che dimentica completamente anche i suoi “nuovi figli”, quelli che ha ospitato, dopo il grande processo di decolonizzazione, in nome dell’antica tolleranza. Le banlieues sono l’esempio più lampante dell’esclusione, del “nuovo ghetto” che non riesce a comunicare con il resto delle città.

Mai come in questo momento bisognerebbe prendere in mano il vecchio “classico” di Albert Camus “L’uomo in rivolta”, per comprendere parte di quello che sta accedendo sotto gli occhi di tutti. Invece la Francia è stata per anni con un’aria scanzonata e superficiale alla finestra, accontentandosi di un asse preferenziale con Berlino sulla vicenda europea che ora appare in profonda crisi. François Fillon è in fondo la risposta più classica di una destra gollista, cattolica, che vuole frenare i flussi migratori, vuole regolamentarli, ma nello stesso tempo intende difendere lo spirito de “la république”. Basterà, se Fillon si aggiudicherà domenica prossima il ballottaggio contro Juppé, vincere una delle battaglie decisive per la politica francese ed europea, lo scontro tra aprile e maggio con Marine Le Pen?

Se quello che avviene al di là dell’Atlantico, negli Stati Uniti, ha ormai un effetto dirompente anche nell’emulazione sul mondo intero, la Francia, storicamente, ha sempre avuto un ruolo decisivo nelle grandi svolte politiche. Una sconfitta delle destra democratica in Francia sarebbe l’autentica fine dell’Europa e l’apertura di uno scontro drammatico. Non vincerebbe tanto il cosiddetto generico “populismo”, con cui tutti si “sciacquano ormai la bocca”, ma vincerebbe una concezione xenofoba, antipolitica e antidemocratica, che aprirebbe scenari imprevedibili, senza escludere lampi sinistri di guerra.

Forse qualcuno, a forza di pensare alle turbolenze finanziarie, si è dimenticato che poi la politica si vendica e la storia detta inevitabilmente le sue dure pieghe e, a volte, le sue tragiche scadenze.