Avvertenza: a sei giorni dal voto a qualunque dichiarazione politica deve essere fatta cento volte la tara, soprattutto a quelle di chi, come il presidente del Consiglio, il 4 dicembre si gioca tutto, o quasi. E quindi tutto (o quasi) è lecito dire. Per scoprire la sua strategia e le mosse che ha in testa per il dopo bisogna smontare le sue sparate da campagna elettorale. 



E quella del giorno è una specie di bomba atomica, cioè lo spauracchio del governo tecnico, agitato in faccia soprattutto a quei moderati che sono stati profanamente delusi dal governo Monti, evocato con tanto di nome e cognome. “Con il governo tecnico Italia subalterna in Europa”, scandisce il premier, appuntamento dopo appuntamento. E nella stessa direzione va l’appoggio al Sì del presidente della Commissione Europea Juncker, che pure certo non ha l’appeal di una rockstar, o di un attore di grido. Anzi, i voti rischia di indirizzarli nella direzione opposta.  



Sono i moderati il primo obiettivo dell’offensiva finale di Renzi, che punta sull’elevato numero di indecisi per ribaltare una tendenza che gli sembra avversa. Per solleticarli Renzi le prova tutte. Cerca, ad esempio, di volgere a suo favore la bocciatura della riforma della pubblica amministrazione da parte della Corte costituzionale, spiegando che adesso per licenziare i “furbetti del cartellino” serve il consenso di Zaia (visto che è stato il ricorso della Regione Veneto a portare alla sentenza della Consulta). Promette poi una sanità uguale per tutti, da nord a sud, soprattutto per intercettare i voti delle regioni meridionali, e chi non ci sta a farsi rappresentare da Salvini. 



Anche nei confronti dell’elettorato del suo partito intende essere rassicurante, quando giura e spergiura che la legge elettorale verrà cambiata, sulla base dell’intesa raggiunta nella commissione cui ha preso parte Gianni Cuperlo. E per gli elettori 5 Stelle c’è l’assicurazione che è lui, il premier, il vero nemico della casta che vuole ridurre il numero dei parlamentari, e conseguentemente i costi della politica.

Ce n’è per tutti, dunque, in una strategia di attacco a tutto campo, che ha un filo conduttore unico, quello di presentarsi come unico argine al caos: apres moi, le deluge. No agli inciuci, giura Renzi, se vince il no “al tavolo Berlusconi sederà con Grillo, D’Alema e Salvini”.

Tra le cortine fumogene della campagna elettorale, però, alcuni sprazzi di verità si intravedono, soprattutto quando Renzi dichiara che dal 5 dicembre “l’Italia deve andare avanti insieme”, qualunque cosa accada. E’ quello che Mattarella sembra abbia chiesto al premier nell’ultimo colloquio che i due hanno avuto al Quirinale. E a confermarlo è ancora una volta il fondo domenicale di Eugenio Scalfari.  

Come anticipato proprio su ilsussidiario.net l’esortazione del Capo dello Stato a Renzi è quella di rimanere al suo posto anche in caso di vittoria del No, non essendoci legame alcuno, almeno formalmente, fra referendum e maggioranza parlamentare che sostiene il governo. Non è stata solo un’argomentazione formalistica quella utilizzata da Mattarella, ma sostanziale, pensando alle tante cose da fare dopo il referendum, dalla legge elettorale da riformare (tanto l’Italicum, quanto le regole per il Senato), sino alla legge di bilancio e alla gestione della presidenza del G7 il prossimo anno. 

Un atto formale di dimissioni nel caso di vittoria del No al Quirinale se lo aspettano, ma gli scenari del dopo variano fra il rinvio del governo alle Camere e il Renzi bis. Molto dipenderà dal risultato, se cioè la vittoria del No sarà ampia, o risicata. 

Quel che agli occhi del Colle appare certo è che si deve ripartire da quell’avverbio usato da Renzi, “insieme”. Coinvolgendo nella discussione sulle regole elettorali la maggior parte possibile dell’opposizione. Berlusconi è pronto a sedersi (con Renzi) a quel tavolo, e conta i giorni che — a suo dire — mancano alla sua riabilitazione politica, che dovrebbe arrivare dalla sentenza della Corte di Strasburgo. E’ talmente sicuro di vincere da spingersi ad annunciare che in quel caso il centrodestra non avrebbe bisogno di un nuovo leader, basterebbe quello vecchio. Uno scenario che rischia di far definitivamente esplodere il centrodestra, dove Salvini e Meloni vogliono primarie per tutti, anche — eventualmente — per lo stesso Berlusconi. Ma di questo l’uomo di Arcore sembra non preoccuparsi affatto. 

E che Renzi sia pronto a sedersi a trattare con il vecchio leader di Forza Italia vengono a confermarlo alcune parole dello stesso premier, quando si dice pronto a modificare con Berlusconi l’Italicum, anche se gli raccomanda di non cambiare idea, come sulle riforme costituzionali. Salvo cataclismi si ripartirà da qui, dalla necessità assoluta di tessere intese per evitare il caos istituzionale, consegnando con ogni probabilità il paese a Grillo e ai suoi. Uno scenario che interessa a molti evitare.