Angelino Alfano, ministro dell’Interno, era stato perentorio nel suo “possibilismo” a rinviare il referendum costituzionale del 4 dicembre. Ma altrettanto perentorio e decisionista è stato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nel rigettare “qualsiasi rinvio”. Questa contrapposizione tra i due più importanti esponenti del Governo potrebbe (involontariamente, s’intende!) diventare una delle più intriganti sceneggiate dai tempi del capolavoro Le baruffe chiozzotte di Carlo Goldoni. Va chiarito che Alfano si è subito ricreduto, ma intanto c’è sempre un problema che si profila e che potrebbe ingarbugliare ancora di più la matassa del referendum costituzionale.



Il Tribunale di Milano, giudice Loreta Dorigo, doveva decidere l’altro ieri, 2 novembre, su un ricorso presentato da Valerio Onida che chiede di investire la Consulta circa l’incostituzionalità della legge 352/1970 che istituisce il referendum, laddove non prevede l’obbligo di scissione del quesito quando ci sono più temi. L’oggetto del ricorso è il quesito unico referendario, che violerebbe la libertà del voto degli elettori garantiti dagli articoli 1 e 48 della Costituzione. Per farla breve, si contesta che all’interno dello stesso quesito ci siano appunto questioni diverse. Chi ricorre dice: un elettore potrebbe essere favorevole all’abolizione del Cnel, ma al tempo stesso contrario al superamento del bicameralismo perfetto. Come si risolve questo problema?



Bene, che cosa fa il Tribunale di Milano a un mese dalla data del voto? Rinvia la sentenza di dieci giorni. Praticamente più o meno intorno al giorno 13 novembre (numero fortunato?), a venti giorni dal referendum, sapremo la risposta.

Tutto finito? Ma neanche per l’anima!

Che succede se il giudice Loreta Dorigo decide che il ricorso è ammissibile? Si sospende il referendum e sia Alfano che Renzi salvano la faccia dopo il loro atteggiamento antitetico ma perentorio che è durato solo un giorno? Il problema è ovviamente controverso e problematico. Secondo l’Avvocatura dello Stato, anche se il ricorso dovesse essere accolto, la Corte costituzionale non potrebbe sospendere il referendum, perché questo potere è previsto solo nel caso di referendum relativi a conflitti tra Stato e Regioni.



Ma di parere diverso è Valerio Onida, che è stato anche presidente della Consulta, secondo cui il tribunale civile non può che rimettere la decisione alla Corte, ma non sospendere l’atto. Potrebbe farlo la Consulta — sempre secondo Onida — utilizzando, anche per analogia, i poteri di urgenza che già le si riconoscono, potendo sospendere l’efficacia delle leggi in caso di conflitto tra Stato e Regioni e gli atti impugnati con un conflitto di attribuzioni. L’analogia in giurisprudenza è quasi una parola magica e quindi è proprio su questa “analogia” che si dividono gli esperti. In definitiva, però, il rischio che il referendum possa saltare non è affatto scongiurato del tutto. 

Questo ovviamente è il palcoscenico, con gli attori principali e il canovaccio, che si ascolta e che si può vedere. Ma la sensazione è che ci sia anche un nutrito backstage, più una vecchia “buca da suggeritore”, che cercano di correggere, dove è possibile, la grande vicenda che sta andando in scena da mesi.

Ci sono un ex e un attuale “inquilino” del Quirinale che hanno delle legittime e più che giustificate preoccupazioni su quello che può accadere il 5 dicembre, a urne aperte e a risultato acquisito. Niente di drammatico, per carità, ma qualche fastidio sulla possibile divisione del Paese tra il fronte del Sì e quello del No. Una vittoria risicata su una questione di riforma costituzionale non fa bene a nessuno. Se poi dovesse, in base ai numeri dei “dannati sondaggi”, prevalere il No, i fastidi si moltiplicherebbero.

Quanto sarebbe bello “spacchettare” tutto, riformare anche la legge elettorale, diluire nel tempo i quesiti referendari e avvicinarsi alla fine normale di una legislatura, senza traumi per l’attuale governo.

In più la situazione economica del Paese non è affatto sfavillante e i problemi con l’Europa stanno diventando fastidiosi, anche perché i tedeschi non fanno le pulci solo all’Italia, ma persino alla Bce di Mario Draghi con il Qe, che ha fatto respirare l’Italia in questi anni. Insomma la sequenza dei problemi che si trascina dietro il referendum è lunga.

Infine c’è stata la tragica e sfortunata sequenza del terremoto del centro Italia, che obbliga il governo a interventi di emergenza e di urgenza. Fatto che, occorre riconoscere, sta facendo con il massimo impegno e con tutte le possibilità a disposizione.

In questo caso, non c’è proprio nulla di ironico e tanto meno da scherzare. Anche se la campagna referendaria è stata così aggressiva e divisiva, anche se la famosa “moratoria” è una comica, perché ogni giorno si litiga a più non posso in ogni trasmissione televisiva, un appello alla solidarietà nazionale, con una breve dilazione dei tempi referendari, poteva forse essere accettata. Bisognava avere grande classe politica e nervi saldi, ma si poteva affrontare.

Invece, l’ironia della storia ti prepara l’imprevisto. La sensazione che viene anche dal rinvio della sentenza del Tribunale di Milano, con tutto il rispetto e la riconosciuta indipendenza del giudice Dorigo, è che più che alla tragedia del terremoto appenninico ci sia chi pensa a un altro terremoto, di natura diversa, non geologica, ma politica che è in corso a Washington.

Da una decina di giorni, per un pacco di e-mail, non si capisce bene come finirà questa partita delle presidenziali americane. E’ evidente che la superpotenza americana detta quasi sempre i tempi della storia prossima ventura. Determina le alleanze militari, indirizza lo sviluppo economico in senso positivo o negativo, condiziona la politica europea.

In breve, in questo momento aver ottenuto un grande endorsement da Barack Obama, lo sponsor di Hillary Clinton, non agevola i rapporti con un personaggio come il “rampante” Donald Trump e bisogna comprendere che cosa potrebbe significare negli equilibri mondiali un simile ribaltamento politico alla Casa Bianca.

Sarà un caso, ma il fatto che la sentenza sul ricorso Onida arrivi dopo il risultato delle elezioni americane, permetterà di valutare le future mosse italiane. Probabilmente offrirà anche consigli utili per il prossimo referendum. Questo può essere un mese carico di sorprese, in un senso o nell’altro.

In tutti i casi, meglio aspettare e vedere, piuttosto che decidere subito. La correttezza istituzionale? Ricordiamoci del grande Talleyrand: “Et surtout pas trop de zèle”. Soprattutto non troppo zelo.

Intanto i giornali stanno ritornando a parlare della Brexit. Conviene.