La settima “Leopolda” va in onda proprio a un mese meno un giorno dal voto sul referendum costituzionale, con l’entusiasmo dei partecipanti, ma con sberle e cartellonate in testa per le strade di Firenze, tra manifestanti anti-Renzi e polizia, che fanno indignare soprattutto uno dei luogotenenti del premier, il sindaco della città, l’iper-renziano Dario Nardella, che s’incavola quasi come Rudolph Giuliani, il “mastino” di Donald Trump nella difesa della “tolleranza zero”.
Ma le indignazioni servono a poco per spiegare un clima che si sta avvelenando e deteriorando sempre di più, indicando un Paese che appare sempre più spaccato. All’interno dell’antica stazione fiorentina sfilano i ministri Pier Carlo Padoan, Paolo Gentiloni, Giuliano Poletti, Carlo Calenda e soprattutto Maria Elena Boschi, che spiega, per filo e per segno, la riforma costituzionale. Matteo Renzi diventa una sorta di regista di questa sua manifestazione, ribadendo le scelte e la linea del governo. “Orejas y musica”, avrebbe commentato il grande Gianni Brera.
Renzi ha aperto questa “Leopolda” venerdì scorso, insieme a un vecchio amico e compagno di partito con cui si è riconciliato pienamente, Matteo Richetti, dopo un periodo di incomprensione. Ha avuto anche notizie abbastanza positive su Gianni Cuperlo, che si dichiara d’accordo sulla mediazione per la riforma della legge elettorale dopo il referendum.
Ma nello stesso tempo il presidente del Consiglio e segretario del Partito democratico deve incassare ancora il No di un’irriducibile minoranza interna al Pd, che non è d’accordo neppure con Cuperlo, e soprattutto deve digerire la contestazione che gli arriva dalle strade di Firenze, dove c’è una rappresentanza generale del malcontento italiano: giovani dei centri sociali, certamente, ma anche gli esponenti del Comitato contro il salva-banche e varie categorie sociali che sembrano esasperate dall’incertezza della situazione economica.
Così, tra un lancio di ortaggi e una carica di polizia, gli organizzatori della manifestazione di protesta possono gridare: “Siamo qui per rappresentare una realtà sociale che alla Leopolda non è rappresentata: quella dei giovani che lavorano con i voucher, delle persone sotto sfratto. La nostra è una piazza aperta”.
All’interno della “Leopolda”, la bellissima Maria Elena Boschi ripete: “Non è la mia riforma, è la riforma di tutti gli italiani”. Ma fuori c’è un’aria di disordine che non piace a nessuno.
Più composta ovviamente la manifestazione del No a Roma, con un intervento in video-messaggio di Silvio Berlusconi, che da un lato ribadisce il No, ma dall’altro, sotto sotto, suggerisce la soluzione di volere subito dopo una riforma, tutti insieme. La condanna degli errori fatti da Renzi è di prammatica. Alla fine, il Cavaliere da l’impressione di essere preoccupato soprattutto di contenere l’avanzata e la vittoria dei grillini. Con i quali è al momento temporaneamente e oggettivamente “alleato”.
Se si cerca di dare uno sguardo freddo e razionale, non si può che concludere che ormai, a meno di un mese dell’ordalia referendaria, ci si trova in un Paese sull’orlo di una crisi di nervi, che, oltre a tutto, deve guardare al risultato americano e agli sviluppi politici europei. Non tanto alla Brexit, ma piuttosto alla Germania che non risparmia critiche al Presidente della Bce, Mario Draghi, per la sua politica di intervento nell’acquisto dei titoli di Stato, il famoso Qe, che la Bundesbank sembra non voler più digerire.
A ben guardare, si potrebbe dire che di fronte alle scadenze che ci dobbiamo aspettare a partire da lunedì, questo primo week-end di novembre potrebbe essere uno degli ultimi “fine settimana di quiete”, prima delle inevitabili scelte che si dovranno fare e alle quali saremo chiamati.
Incredibile, nel frattempo, notare la confusione che regna anche nel mondo dell’informazione. Per fare un esempio: tutti i famosi analisti e commentatori che, solo un anno e mezzo fa, davano Donald Trump al 2 per cento, sono al momento terrorizzati sotto un tavolo.
Ma per restare alle vicende italiane, quelli che in questi anni hanno sostenuto tutte le svolte, dal 1992 a oggi in Italia, sembrano profondamente delusi. Qualcuno si spinge all’autocritica. C’è chi si lamenta, adesso, della famosa svolta di Enrico Berlinguer con la “questione morale”, che fu invece attaccata subito da Giorgio Napolitano. Ma è noto che la memoria in Italia è molto labile. C’è poi chi dalla denuncia della “casta” arriva a definire oggi l’Italia “La repubblica dei brocchi”.
Sarà necessario fare presto un’attenta lettura di queste nuove “analisi” per vedere quanti “sfondoni e dimenticanze”, quante “smemoratezze” si portano dietro. Anche per evitare che nei vari passaggi, dopo la caduta della “prima repubblica”, non ci sia una specie di “gioco dell’oca”.
Prima andavano bene i magistrati, poi si sono alternati Berlusconi e Prodi, poi con il suggerimento “epico” di alcuni illuminati si è arrivati alla denuncia della “casta”, quindi è arrivato Monti, poi Renzi. Ora, nonostante gli exploit di Virginia Raggi, prendono piede i grillini. E se deludono anche questi? Problematico un ritorno alla prima repubblica.