Sul referendum costituzionale sempre più centro della politica italiana si uniscono praticamente ogni voce e movimento politico da mesi a questa parte e così sarà ancora di più per questo ultimo mese di campagna elettorale: il voto del 4 dicembre vede il premier Renzi in prima fila come primo (e spesso unico, con la presenza di Maria Elena Boschi a seguire) volto che si spende per il Sì. È il suo referendum dunque, anche se lo stesso premier rifiuta l’attribuzione: «Questo non è più il mio referendum. Quello che dovevo fare l’ho fatto. Il Presidente della Repubblica mi ha detto di fare le riforme e le ho fatte: superiamo così il bicameralismo perfetto che tutti fino a ieri dicevano essere il peso della Repubblica». Secondo Renzi il Governo deve preoccuparsi di avere fiducia in entrambe le camere, «se manca in una è finito. Con la Riforma la Camera che dà la fiducia ha la produzione legislativa. Il Senato rappresenta simboli e autonomie territoriali», prosegue nel suo comizio a Latina questa mattina, proprio in vista del referendum costituzionale. Interessante anche il passaggio sull’eventuale complotto del Sì contro il No, rispondendo a tono alle accuse di M5s e alcuni costituzionalisti: «La Riforma costituzionale non è un complotto, sono 35 anni che si dice di ridurre il bicameralismo, semplificare e abolire il Cnel. Ma quale complotto? Siamo arrivati al punto che in una città qui vicina a fronte di un’autorevole presenza di frigoriferi la sindaca dice ‘secondo me c’è qualcosa sotto’, invece manca un bando per il ritiro rifiuti ingombranti. Si chiama cattiva amministrazione. Non complotto».
Il referendum del prossimo 4 dicembre rischia di avere brogli elettorali: l’allarme viene lanciato però dal Movimento 5 Stelle che in questi giorni, assieme ai vari comitati del No, cerca di decostruire l’impianto del governo, vero obiettivo delle opposizioni in questa campagna elettorale schizofrenica. «Qualcuno teme brogli sul voto degli italiani all’estero? E perché, su quello degli italiani in Italia? Ricordiamo parentesi non certo fantastiche di momenti in cui davanti ai seggi elettorali c’era la compravendita dei voti». Lo afferma Paola Taverna, senatrice del Movimento Cinque Stelle, a Radio Cusano Campus. Un rischio paventato anche da altri nelle scorse settimane ma che di certo non aiuta una serena marcia verso il voto costituzionale di dicembre, addirittura gettando ombre di brogli ad un mese dal voto. «Il rischio brogli esiste, non solo per i voti degli italiani all’estero ma anche per il voto degli italiani in Italia. Votare online? Non solo sarebbe possibile, ma si renderebbe il voto meno gestibile. Si eliminerebbe il pezzo di carta, la matita che qualcuno sostiene possa essere cancellata, non c’è lo scrutatore, il presidente di seggio…Questo è il medioevo». Quindi voto online, come le comunarie M5s, anche se va detto qualche “problemino” in questi anni è stato creato anche in seno al Movimento per questa modalità di voto. Intanto nell’intervista alla Taverna arriva anche l’appello per il voto No al referendum: «Il 4 dicembre spero che dagli italiani arrivi un no perché la prima cosa che vogliono togliere è quella di votare i senatori, mentre il primo articolo della Costituzione dice che la sovranità appartiene al popolo. Vogliono togliere agli italiani il diritto di essere popolo sovrano. Questa riforma non è pericolosa per quello che dice, è pericolosa per quello che non dice».
Non si placa l’opposizione di Valerio Onida contro il referendum costituzionale e di tanti altri suoi colleghi costituzionalisti e con in passato ruoli di rilievo nella Consulta e nella Magistratura: dopo l’ennesimo confronto ieri sera a Otto e Mezzo, questa volta contro il ministro titolare della riforma al voto il prossimo 4 dicembre 2016, Maria Elena Boschi, arrivano altri attacchi a Renzi e alla struttura del referendum che consegnerebbe il Paese ad una presunta dittatura. «Come cittadino sono preoccupato per cosa c’è nello statuto del Partito democratico, il quale è congegnato sulla elezione diretta del segretario che coincide con la carica del presidente del consiglio, proprio quello che prevede l’Italicum», ha esordito il professore su La7 ieri sera. Per Onida se dovesse vincere il Sì – e per questo motivo ha insistito con il suo ricorso al tribunale di Milano, ancora in attesa del risultato – si rischia di far acquistare un forte potere nella formazione delle liste, « C’è una forte personalizzazione e concentrazione del potere, ma non è alla porte un regime autocratico: Nella storia dei partiti c’è sempre stata una distinzione tra partito e governo in modo da mediare tra società e istituzioni».
Una lotta continua sulla campagna elettorale, un referendum costituzionale che si avvicina al 4 dicembre con la durissima battaglia tra No e Sì che purtroppo per colpe un po’ di tutti si è trasformata quasi fin da subito mesi fa come una forma di rifiuto o plebiscito a Renzi e non alla riforma in sé. Pratica interessante, anche se evidentemente di parte, è quella che ha compiuto il presidente del Consiglio insieme ai colleghi di Fanpage (come vi abbiamo raccontato giorni fa durante la Leopolda). Sette domande e sette “credenze” del No che Renzi prova a smontare per consegnare almeno un piccolo dibattuto sui veri contenuti della riforma alla prova del referendum costituzionale. I punti più interessanti riguardano la questione intrecciata tra Italicum, legge elettorale e riforma costituzionale e la composizione dell’articolo 70: «la riforma è stata approvata da un parlamento illegittimo eletto con una legge elettorale (Porcellum) dichiarata incostituzionale», da questo punto parte la disamina di Renzi che replica in maniera semplice. «La sentenza 1 del 2014 della Corte Costituzionale, nel dire che la legge elettorale non va bene, chiarisce esplicitamente che il Parlamento è completamente titolato a fare le riforme. Se si leggono le sentenze, bisogna leggerle tutte, non dico capirle, ma almeno leggerle». Ma dunque una riforma così non crea nel famoso ormai “combinato disposto” con l’Italicum un premierato troppo forte? Renzi attacca quella che sostanzialmente è l’accusa pesante del professore Zagrebelsky: «a tesi del professor Zagrebelsky è ardita e suggestiva ma non ha alcuna corrispondenza alla realtà: da nessuna parte il premierato è più forte del presidenzialismo. Detto questo, contesto in radice la riflessione: ho chiesto a Zagrebelsky in quale articolo di questa riforma cambiano i poteri del premier e lui mi ha citato un articolo del suo libro, io intendevo della Costituzione». Ultimo punto riguarda l’articolo 70 definito da molti (e forse a ragione) come incomprensibile e pasticciato, ovvero il rinnovamento del Senato che diventa non elettivo abolendo il bicameralismo perfetto: Renzi su questo prova più in difesa, spiegando come in un solo articolo, il nostro 70, ci sono otto articoli della costituzione tedesca. «Certo, oggi è più semplice perchè fanno tutti e due le stesse cose. Ma nel momento in cui il Senato diventa una camera con meno poteri e meno responsabilità, bisogna spiegare punto per punto che cosa fa e cosa no. Non mi sembra difficile». (Niccolò Magnani) Clicca il pulsante > qui sotto per le 7 ragioni del No smontate dal premier Renzi