Il giorno dopo la “Leopolda“, l’atmosfera in casa del Partito democratico appare sempre più surriscaldata, con Pier Luigi Bersani e altri della minoranza che prendono le distanze dalla mediazione di Gianni Cuperlo e fa balenare, di nuovo, una possibile scissione, anche se è al momento veramente difficile immaginare lo scenario della futura sinistra italiana. Oggi Matteo Renzi cerca di calmare le acque dicendo “Noi non cacciamo nessuno”. Ma è del tutto evidente ormai che la partita del referendum costituzionale sarà uno “spartiacque” della politica italiana e segnerà le sorti, anche il futuro assetto del Pd, dove ormai i contrasti sono diventati sempre più aspri e dove si stanno covando soprattutto gravi risentimenti.



Proprio di “spartiacque di dicembre” parla Stefano Folli, uno dei più bravi analisti politici italiani, ex direttore del Corriere della Sera e attualmente editorialista di Repubblica.

Come giudica questa settima edizione della “Leopolda”, Folli?

Devo dire che questa volta Renzi aveva un’occasione formidabile, quasi irripetibile per trovare i toni giusti. L’obiettivo era ottenere una dialettica più costruttiva all’interno del partito e cominciare a costruire una piattaforma di collaborazione unitaria. Poteva almeno provare a fare un tentativo, utile a evitare un confronto duro al suo interno e nello stesso tempo proiettato all’esterno per conquistare l’area degli indecisi, su cui si gioca il risultato del referendum. Quelli che hanno già scelto, da una parte o dall’altra, non dovrebbero più essere l’obiettivo della sua linea politica.



Sembra a che a tutto questo Renzi non ci abbia proprio pensato.

In effetti si è fatto prendere la mano. Ed è finita come tutti hanno potuto vedere, con la platea in piedi che grida “fuori, fuori” e lui che arringa con un tono veramente sopra le righe. Non è stato un bello spettacolo.

Poteva essere una dimostrazione di forza.

Ma alla fine non è stato neppure un atto di forza, che in tutti i casi può sempre diventare controproducente. In questo modo Renzi dimostra in parte il suo nervosismo e le sue paure. Alla fine, si può dire che rimanga un leader politico di valore, molto bravo in alcune circostanze, ma che non riesce a controllare il suo temperamento. Io penso che sia proprio una questione di temperamento. Il che può essere un limite.



Poteva essere anche un richiamo alla sua platea, agli evanescenti “comitati del Sì”.

E’ una considerazione legittima, ma la riunione della Leopolda doveva avere un respiro un po’ più ampio, per usare un eufemismo. Non è che si può convocare una riunione di questo tipo, con tutta l’enfasi che c’è stata, avendo come obiettivo solo quello di galvanizzare della gente che è già convinta di quello che andrà a votare. In questo modo si scivola in una strategia a scarto ridotto.

Probabilmente si sente isolato, attraverserà anche momenti di tensione, di paura in attesa di questo risultato e sente la pressione che gli sta intorno. 

Tutto questo contiene sicuramente una parte di verità. A ben vedere Renzi non ha governato male sinora, non ha fatto della “macelleria sociale” in una situazione italiana economicamente molto compromessa. Si è dimostrato indubbiamente un leader, ma non ha dimostrato ancora la statura dello statista, per motivi forse di temperamento o forse anche culturali. Ha incalzato gli italiani con una serie di promesse che non poteva oggettivamente onorare. Perché lo abbia fatto non lo si capisce davvero. Si comprende che volesse rassicurare un paese rassegnato, ma uno statista deve anche abituare il Paese a prendere atto di realtà che sono dure, difficili da affrontare.

 

Anche le frasi che accompagnarono l’approvazione dell’Italicum erano abbastanza sopra le righe: “Il modello che fra poco tutto il mondo vorrà imitare”.

E’ vero anche questo, nel momento in cui sostiene che dopo il 4 dicembre è pronto a modificarlo. Ma il centro del problema è un altro. Mi sembra che questa Leopolda abbia dimostrato di essere un rapporto esclusivo e carismatico con il suo leader. Mentre invece un leader deve affrontare il problema dell’unità di un Paese, soprattutto su un tema come quello della Costituzione, della riforma costituzionale. Non è uno scherzo, non è una legge qualsiasi. E’ la carta fondamentale della Repubblica e non si può rimanere divisi anche dopo il risultato del referendum, qualunque esso sia. E’ questa ricerca di unità che deve ispirare la politica di Renzi, mentre tutto ormai sembra spostato dopo il referendum: banche e Monte dei Paschi, Italicum e persino lo scontro con l’Europa che si è fatto più duro.

 

(Gianluigi Da Rold)