La giornata di ieri si è conclusa con il nome di Paolo Gentiloni in pole position per la presidenza del Consiglio. L’ipotesi è cresciuta nelle ultime ore, quando il ministro degli Esteri si è recato due volte a Palazzo Chigi a colloquio con Matteo Renzi, due appuntamenti che sono sembrati consultazioni “parallele” a quelle vere, istituzionali, di Sergio Mattarella, che oggi vedrà le delegazioni di Forza Italia, M5s e Pd. Una corsa contro il tempo, perché il presidente della Repubblica intende chiudere la partita in tempo per il Consiglio europeo di giovedì 15 dicembre. Secondo Ugo Finetti, giornalista, vicepresidente della Regione Lombardia dal 1985 al ’92, direttore di Critica Sociale ed esperto di storia della sinistra, la giornata di ieri cela un vero colpo di scena: Sergio Mattarella avrebbe smascherato il gioco di Renzi, facendo saltare una volta per tutte il suo progetto di tornare a Palazzo Chigi.



Finetti, come si arriva all’ipotesi Gentiloni?

Dal braccio di ferro che c’è stato in questi giorni, e che probabilmente è ancora in corso, tra Mattarella e Renzi. Il quale ha commesso un errore: dimettersi precipitosamente la notte del 4 dicembre credendo che il presidente della Repubblica concedesse le elezioni anticipate. Questo è stato il primo tentativo di Renzi di forzare la mano. Ma Mattarella ha detto no. 

Un no arrivato lunedì stesso, quando il capo dello Stato ha detto a Renzi di rimanere al suo posto per approvare la legge di bilancio.

La seconda prova di forza c’è stata con Alfano, quando il ministro dell’Interno ha detto che non c’era più la maggioranza. L’obiettivo era sempre lo stesso, indurre il capo dello Stato sciogliere le camere senza cambiare la legge elettorale. La risposta di Mattarella è stata secca: “inconcepibile” andare al voto senza legge elettorali omogenee per Camera e Senato. E siamo a martedì sera.

Poi mercoledì è arrivata la direzione del Pd.

Nella quale Renzi è tornato alla carica. Lo scopo della direzione è stato quello di formalizzare il mandato della delegazione che domani (oggi, ndr) andrà al Quirinale con le due soluzioni auspicate da Renzi: il “governo di tutti” o le elezioni anticipate. Due strade entrambe impraticabili, già “bruciate” prima del tempo.

Perché, Finetti?

Chi vorrebbe andare al governo con Renzi prima delle elezioni, assumendosi l’onere di tutto ciò che Renzi non ha concluso, o ha concluso male? Può fare la legge elettorale un governo che è stato sfiduciato dal 60 per cento del paese? Cambiare l’Italicum toccherà alle commissioni affari costituzionali di Camera e Senato, non a Maria Elena Boschi. Anche di questo Renzi dev’essersi reso conto in ritardo. 

Ma allora la strada qual è?

Un governo con questa maggioranza che sia diretto o da Renzi o da un esponente Pd da lui scelto.

Non pensa che lo stesso Renzi voglia rimanere a Palazzo Chigi? 

Certamente. Anzi, la mia chiave di lettura è che dopo aver visto chiusa la strada delle elezioni subito, abbia maturato il proposito di restare al governo. E che i tentativi di forzare la mano a Mattarella siano stati fatti proprio con questo scopo.

 

Un momento. Prima Renzi chiede a Mattarella di andare subito al voto, poi cambia subito idea e vuole rimanere al governo?

L’auspicio di Renzi era che il primo giro di consultazioni andasse a vuoto e che nel deserto delle soluzioni  riemergesse il suo reincarico, vale a dire il rinvio alle camere. E’ in quest’ottica che va letto il mandato consegnato in direzione Pd a Rosato e Zanda. Mattarella però ha fatto capire a Renzi di non voler essere preso in giro. Vuole che la delegazione Pd vada da lui con delle soluzioni vere, percorribili. Non lo sono né il governo istituzionale né il voto anticipato.

 

Con le quali Renzi ha cercato di guadagnare tempo. Ma Mattarella se n’è accorto e lo ha fermato.

Esatto. Il presidente vuole che la delegazione vada da lui con una proposta seria. In questo modo Mattarella ha smascherato Renzi, che il rinvio alle camere non riesce ad averlo. 

 

Perché no?

Se lo voleva, doveva dirlo subito. Ora non può più, primo perché si è dimesso senza consultare il capo dello Stato, secondo perché questa ipotesi non è mai stata discussa in direzione Pd. Renzi ha tentato di far maturare il rinvio alle camere allungando i tempi, per fare vedere che non c’erano soluzioni tranne lui. Ma Mattarella non c’è cascato. 

 

E Gentiloni?

Gentiloni è l’ipotesi che ha portato il gioco di Renzi allo scoperto. E al momento è l’unica soluzione a disposizione di Renzi.

 

A questo punto il Pd che margini di manovra ha?

Pochi. Rosato e Zanda non possono più prendere in giro il capo dello Stato.

 

Mattarella vuole un capo di governo con pieni poteri al Consiglio europeo del 15 dicembre. C’è tempo per fare un nuovo governo?

Direi di sì; queste trattative si fanno in pochi, due-tre persone al massimo. Se poi c’è una sovrintendenza del Quirinale, il passaggio può essere molto rapido. 

 

E Gentiloni potrebbe non dispiacere affatto al capo dello Stato.

Infatti. E’ ministro degli Esteri, è una persona di mediazione, è amico di Renzi ma parla anche con il capo dello Stato e con i gruppi parlamentari. Proviene dalla stessa tradizione politico-culturale di Mattarella. E non è un burattino di Renzi: gli è stato imposto da Napolitano quando il premier voleva Lia Quartapelle al posto della Mogherini.  

 

Renzi è rimasto solo? 

Il referendum ha cambiato completamente il quadro all’interno del partito: si è ricostituita la “ditta” e anche l’area democristiana si è riorganizzata. Se ora Renzi alza i toni, un istante dopo Bersani e Franceschini possono allearsi per frenarlo. Il Pd va incontro a una sorta di collegialità. Anche se il vero problema in quel partito è la mancanza di una riflessione politica.

 

Lei ha detto che Renzi puntava ad un reincarico. E forse lavora ancora per questo. Perché?

Renzi sa che se lascia Palazzo Chigi consegna all’opinione pubblica un bilancio negativo dell’azione di governo. Non solo: con un altro esponente del Pd al suo posto rischia di finire come Berlusconi con Dini. Ci sono un bel po’ di nomine da fare — Eni, Enel, Finmeccanica, Rai — e sono tutte poltrone che gli interessano molto. Inoltre senza Palazzo Chigi rischia di perdere la maggioranza del Pd e dei parlamentari e smette di essere un capo carismatico: difficilmente come segretario del Pd può andare tutte le sere in tv. Infine non riuscirebbe a evitare congresso e primarie e ne uscirebbe fortemente ridimensionato.

 

Un vero guaio. Che errore dimettersi precipitosamente dopo il referendum…

Direi proprio di sì.

 

Di che cosa dovrebbe rimproverarsi?

Di non aver mai fatto un’analisi seria dei risultati elettorali, dal 40 per cento alle europee 2014 passando per le amministrative di quest’anno fino alla notte del referendum, con quel surreale e infantile “ripartiamo dal 40 per cento”; di aver fatto una campagna referendaria senza sorreggerla con un serio percorso di riforme; di occupare la scena da solo, facendo l’antipolitico dalla poltrona di Palazzo Chigi, e di dividere il paese anziché unirlo, facendo il pretoriano di una minoranza, la sua. E poi, di ragionare come un regista holliwoodiano: se il film va bene sono bravo io, se va male è colpa del cast.

 

(Federico Ferraù)