Stavolta è possibile che il Pd – ripiombato nell’incubo della possibile sconfitta elettorale a opera degli odiati Cinquestelle – trovi un nuovo leader a 24 carati capace di contendere a Matteo Renzi il futuro del partito: di tutto il partito, non della sua ala sinistra. Il papabile unico – lo si poteva capire da almeno un paio d’anni, a voler ben guardare – è Michele Emiliano, l’attuale presidente della giunta regionale pugliese. Ha tutte le frecce giuste al suo arco. Ha i voti: in Puglia ne ha presi 793 mila. Ha le capacità amministrative: da sindaco, ha spinto Bari a una rinascita in cui pochi speravano e in quest’anno e mezzo da governatore – pur clamorosamente e indegnamente boicottato dal governo per i suoi molti “no” alla linea renziana, primo fra tutti quello sulle trivelle – ha dimostrato di saper fare i fatti, senza peraltro mancare di arte oratoria e di comunicativa popolare, ciò in cui eccelle il suo collega di partito, ma non di “corrente”, Vincenzo De Luca, fin troppo bravo a promettere e ad avallare le promesse renziane.
Insomma, Emiliano ha leadership, ma – si direbbe – ha anche qualche convinzione democratica in più di quelle la cui scarsità oggi, dopo la sconfitta referendaria, quasi tutti gli ex sostenitore rimproverano a Renzi. Inoltre, il governatore della Puglia è una persona seria: tende a fare le cose che dice. E ha all’attivo una storia professionale di rara solidità: a 57 anni compiuti in luglio, Emiliano ha all’attivo vent’anni di frontiera giudiziaria dapprima ad Agrigento, come pm a fianco di Rosario Livatino (poi trucidato dalla mafia: Cossiga l’aveva definito “il giudice ragazzino” e oggi “servo di Dio”, in quanto nel 2011 la Chiesa ha avviato su di lui il processo di beatificazione), e successivamente a Bari, come sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia. Anche per questo, ha sempre detto di sé: “Non sono un politico di professione e posso in ogni momento tornare al mio mestiere, che è il più bello del mondo, visto che a esso è dedicata una buona metà della fiction che si produce ovunque”. Renzi non può dire nulla di simile per la semplice ragione che non ha mai lavorato in vita sua, al di fuori di quel lavoro del tutto particolare che è fare politica e della settimana di attività nell’azienda del padre, inquadrato come dirigente, per poter conservare i relativi pingui contributi previdenziali quando, sette giorni dopo l’assunzione, con miracoloso tempismo, decorse la nomina a presidente della Provincia di Firenze.
Ma tutto questo perché dovrebbe, oggi, spingere Emiliano a sfidare Renzi nell’ambito in cui l’ex premier ha covato il suo potere, cioè il Pd? Perché continua a sbagliare, e quando è troppo, è troppo. Il governatore pugliese aveva finora sempre manifestato la sua opposizione ad alcune delle tesi di Renzi intervenendo del merito; ma si era anche sempre tenuto in disparte rispetto alle polemiche della minoranza interna, quasi a voler sottolineare che si sente chiamato ad assolvere a un compito, il governo della Puglia, che mal si concilia con impegni politici nazionali.
Però stavolta è sbottato: “Come volevasi dimostrare – ha dichiarato e scritto dopo la pseudo riunione di direzione celebrata dal Pd martedì 6 per prendere atto del discorso del premier dimissionario senza poterlo discutere – non è stato dato alcuno spazio al dibattito durante la Direzione nazionale che è durata pochi minuti e che è servita solo a creare la scena di una dichiarazione prevedibile e priva di volontà di dibattito politico”. “Convocare centinaia di persone da tutta l’Italia per confezionare una scena del genere è una mortificazione della democrazia interna e della dignità del partito. Sono senza parole”, ha aggiunto.
Chi lo conosce sostiene che il comportamento di Renzi dopo la sconfitta sarebbe stato, per Emiliano, la classica goccia che fa traboccare il vaso, convincendolo a scendere in campo sul piano nazionale. La parola che i suoi estimatori si aspettano di sentirgli dire è un “sì” alla prospettiva di essere nominato segretario dopo Renzi e contro Renzi. Non avallando la scissione del partito, non capeggiando un Pd “di sinistra”, ma sfidando e battendo Renzi dentro il partito, certo contando sul sostegno di Bersani, D’Alema, e i vari capetti del dissenso – da Cuperlo e Speranza a Gotor o al desaparecido Civati -, ma soprattutto rimettendo il Pd sui suoi binari, per esempio quelli della carta dei valori in vigore che, per esempio, se applicata – come lo stesso Emiliano ha ricordato sulla sua pagina Facebook – avrebbe posto il partito al riparo dalla deriva leaderista inoculata nel referendum: “La sicurezza dei diritti e delle libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione”, è scritto nella carta dei valori del partito che Renzi ha guidato contro la Costituzione!, “nella certezza che essa non è alla mercé della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti i poteri”.
Ma Emiliano potrebbe farcela, contro Renzi, nella corsa alla segreteria? Diciamo che è l’unico oggi a poterci provare. Rappresenta un modello di leadership altrettanto forte di quello del toscanaccio di Pontassieve, ma diversamente incisivo. E non solo per l’elettorato meridionale. Anche per l’elettorato pentastellato, che vedrebbe in un ex Pm una garanzia di affidabilità clamorosamente mancata sin dal giorno 1° al governo Renzi, a causa non di chissà quali magagne, ma della proterva indifferenza alle ragioni di opportunità che, dopo lo scandalo di Banca Etruria, avrebbero dovuto indurre il premier a ridimensionare la sua (allora) prediletta Boschi, innocente come l’acqua delle baggianate avallate da suo padre, ma pur sempre di lui figlia.
Emiliano è un decisionista che sa lavorare in squadra, come ha dimostrato anche nei due mandati da sindaco di Bari: “Se Renzi vuole gestire la transizione al congresso, dopo le dimissioni da premier dovrebbe presentare anche quelle da segretario del pd. Ma – ha aggiunto Emiliano in un’intervista ad Agorà – Renzi ora non può scomparire. Deve restare in campo responsabilmente. Non deve fare il gioco di chi perde la partita e se ne va col pallone. Deve partecipare, non se ne può andare dalla nonna”.
Una spina nel fianco di quelle che fanno male, per Renzi. Ben più male dell’iniziativa di Giuliano Pisapia, che ipotizzando una forza di sinistra “a sinistra del Pd”, capace nei suoi intenti di rappresentare un “memento” contro le derive eccessivamente centriste e leaderiste di Renzi, si ritroverebbe in definitiva a fungere da “utile idiota” nel sostenere anche parlamentarmente un premier decisissimo in realtà a continuare a fare di testa sua. Emiliano ha il peso specifico, il coraggio (quello vero) e la credibilità per proporsi come leader nazionale, almeno a livello di partito, incarico peraltro compatibile con quello di governatore. Forse sta nascendo il vero anti-Renzi della sinistra…