Nell’incontro per il Natale 2016 con la stampa, il giorno dopo la fiducia del Parlamento al Governo Gentiloni, la Presidente della Camera Laura Boldrini ha voluto sottolineare come ora che il governo si è formato e il Parlamento è di nuovo legittimato a proseguire con le funzioni normali, bisogna subito far partire la discussione e la formazione di una nuova legge elettorale. «Il Parlamento potrebbe iniziare da subito a lavorare alla legge elettorale. Poi ci sarà la sentenza della Consulta, ma intanto ci sono diverse proposte. Si può già cominciare a lavorare. Spero prevalga la possibilità di un consenso allargato per una buona sintesi», segnala la Boldrini cercando di stabilire anche i tempi della discussione parlamentare. «ci sono due esigenze: dare peso alla rappresentanza e alla governabilità, entrambe espressioni significative e valide che devono trovare una sintesi. Su questo si dovrà lavorare, perchè non ci sia squilibrio. Tra i compiti del nuovo governo c’è la riforma della legge elettorale, ed ho apprezzato il presidente Gentiloni quando ha detto che il governo accompagnerà il Parlamento nell’iter. E’ giusto che sia il Parlamento ad elaborare la nuova legge elettorale».



Nella formazione del Governo Gentiloni “il capo dello Stato doveva avere molto più coraggio e rendersi conto della situazione politica post referendum”: sono le dure parole usate da Danil Toninelli, esponente di spicco del Movimento 5 Stelle, intervistato da Radio Cusano Campus, in una intervista questa mattina. Il capogruppo Cinque Stelle in commissione Affari Costituzionale, ha sparato dritto contro il Governo e chi lo ha messo lì: «Io me l’aspettavo, ho la sfortuna di vederli in faccia da tre anni e mezzo. Sono scollegati dalla realtà. La cosa che li porterà alla sconfitta è che hanno anche perso l’autocritica e l’umiltà. Quando pensi che le tue decisioni sono sempre giuste senza valutare le emozioni del popolo italiano, pensi di esserti sostituito alla democrazia intesa come sovranità popolare». A norma di Costituzione,  ha detto Toninelli del Capo dello Stato, Mattarella dovrebbe rappresentare l’unità nazionale: «io non sono nella sua testa, non posso permettermi di dire cosa avrei fatto se fossi stato in lui però penso che ci voleva più coraggio. Il voto referendario nella percentuale dei cittadini che hanno detto no è stato spodestante e siccome coloro che lo hanno proposto lo hanno anche politicizzato, probabilmente ci sarebbe voluto un po’ più di coraggio».



Paolo Gentiloni esordisce al Consiglio Europeo da nuovo capo del Governo italiano e subito scattano le prime polemiche: immigrazione e rifugiati, questi i temi su cui Gentiloni non trova ancora un accordo significativo e positivo dopo il piano di Dublino. «Oggi – ha detto dopo aver lasciato la riunione prima del vertice europeo – la questione principale, tra le tante, (al Consiglio europeo) sarà la questione dell’immigrazione. E da questo punto di vista l’Italia è molto esigente perché non siamo ancora soddisfatti della discussione sul regolamento di Dublino che fissa le regole sull’accoglienza dei rifugiati». Gentili e il governo Renzi precedente, ha lanciato un programma per fronteggiare i fenomeni migratori dall’Africa: «lo abbiamo lanciato a gennaio, ci aspettiamo risultati concreti. Oggi – ha proseguito – sarà fatto un passo avanti che ritengo importante perché insieme a Francia e Germania firmeremo un primo accordo con il Niger che vale un centinaio di milioni. Si cerca di mettere più forza nella gestione dei flussi migratori dal Niger verso la Libia. Consideriamo che il Niger è l’anticamera dei flussi migratori verso la Libia. Quindi, nel contesto di una politica che deve fare molti passi avanti, adesso insieme a Francois Hollande e Angela Merkel e con il presidente nigeriano Issoufou ne facciamo uno piccolo ma significativo», chiude ancora il premier all’Ansa. 



Mentre il Premier Gentiloni è arrivato a Bruxelles per il primo consiglio europeo post-Renzi, in questo momento riunito nella direzione del Pse, in Italia ancora si commenta quanto avvenuto negli ultimi intensissimi giorni. Matteo Salvini questa mattina parla alle penne di Panorama con una intervista esclusiva dove affronta tutti i temi attuali della politica; per il leader della Lega Nord, il «Governo Gentiloni di una fotocopia sfigata di Matteo Renzi e reclama le elezioni in primavera: “Bastano anche dieci giorni per la legge elettorale. Noi siamo disponibili a qualunque scelta, ci va bene anche il Mattarellum. In primavera ci aspettano scadenze economiche importanti, in maggio c’è il G7 a Taormina. E noi chi ci mandiamo: Gentiloni? Ce lo vedete Gentiloni con Donald Trump e con Vladimir Putin?». Interessante più che altro il passaggio sul Movimento 5 Stelle, visto in tanti come il possibile approdo di “cartello” per la fronda estrema di Lega Nord e Fratelli d’Italia, contro cioè i partiti tradizionali. «Bah. Su alcuni temi siamo su posizioni molto lontane: immigrazione, sicurezza…un conto sono le parole, un altro i fatti. Nei Comuni dove governano, ma anche a Roma e a Bruxelles, i grillini sono più a sinistra del Pd. Sono per l’accoglienza indiscriminata. E addirittura all’Europarlamento hanno votato per il re-inserimento sociale dei ‘foreign fighter’, i guerrieri islamici. Figuriamoci. Che accordo ci puoi fare?».

Ieri ha incassato la fiducia al senato, oggi il primo Consiglio Europeo: il nuovo Governo Gentiloni si appresta ai primi esami anche all’estero, ma intanto può dormire per un po’ sonni tranquilli in patria per quanto riguarda la fiducia nei due rami del Parlamento. Da un lato la Camera ha la consueta larghissima maggioranza dovuta al premio del Porcellum, dall’altra il Senato nonostante lo strappo di Verdini non ha reso impossibile il voto di fiducia, ottenuto con gli stessi voti del Governo Renzi due anni fa (169 Sì, 99 No) e si prepara così ad impostare i lavori per i prossimi mesi decisivi sul confronto per la legge elettorale. Va detto che quei 8 voti di maggioranza sono stati consentiti da almeno tre Sì “inattesi” giunti a favore del Governo Gentiloni da Mario Monti, il più inaspettati di tutti, e poi due sensori ex Sel che hanno deciso di appoggiare l’esecutivo. Il senatore a vita dopo aver votato No al referendum ed essersi speso contro il premier uscente Matteo Renzi, ha deciso di appoggiare Gentiloni e il nuovo corso per portare il Parlamento verso una nuova legge elettorale e verso le prossime scadenze. Con Gentiloni votano anche Dario Stefano e Luciano Uras, e dovrebbe mantenersi fino alla fine della Legislatura: basteranno per superare i tanti esami di fiducia nei prossimi mesi?

Prima fiducia al Senato per Paolo Gentiloni: il nuovo presidente del Consiglio ha pareggiato il numero di voti a favore raccolti da Matteo Renzi alla sua prima volta a Palazzo Madama. L’ex premier il 24 febbraio 2014 ottenne, infatti, 169 sì contro 139 no su 308 votanti e senza alcun astenuto. Rispetto ad allora ci sono stati 268 votanti, inoltre si sono verificati passaggi dalla maggioranza alla minoranza e viceversa. É nato, ad esempio, il gruppo di Ala, a sostegno di Renzi che ieri non ha partecipato al voto. Nel frattempo il Wall Street Journal ha commentato le ultime notizie sulla politica italiana: “Gli italiani hanno un nuovo primo ministro e una nuova opportunità di riformare la loro economia disfunzionale”, scrive il giornale americano, secondo cui la politica moderata di Paolo Gentiloni “non può essere sufficiente per salvare l’Italia, ma è un inizio”. Per il WSJ il problema dell’Italia dopo il referendum è che nessuno, né Pd né Forza Italia, “sta offrendo un vero e proprio programma di riforme per la crescita”. Oggi comunque battesimo all’estero per Paolo Gentiloni nelle vesti di premier: come riportato da Repubblica, parteciperà al Consiglio europeo.

I toni si sono abbassati rispetto a quelli a cui ci ha abituati, ma colpisce ancora nel segno il senatore Vincenzo D’Anna. Fece discutere per la difesa al collega Barani per un brutto gesto rivolto alle senatrici del Movimento 5 Stelle, ma la colonna dei verdiniani di Ala preferisce usare il gioco di parole per commentare il rifiuto dei 18 senatori del partito di cui fa parte di dare la fiducia al governo Gentiloni. Dopo essere stati esclusi dal governo ed essere rimasti all’opposizione, restano di buon umore all’interno dell’Alleanza liberal-popolare per le autonomie. “Una giornalista mi ha chiesto, sbagliando: ‘Allora niente sottoboschi?’. E io ho risposto: ‘No, niente ‘sottobosco’. ‘Sotto-boschi’ avremmo ceduto”, la battuta a cui si lascia andare D’Anna, come riportato dall’agenzia Dire al termine della lunga riunione nella sede di via Poli. Il riferimento è all’ex ministro delle Riforme Maria Elena Boschi. Il collega Ciro Falanga lo riprende: “Non dire così, che poi ti chiamano sessista”.

Un altro referendum agita le acque nel Pd, cioè quello sul Jobs Act proposto dalla Cgil, per il quale ha raccolto 3 milioni di firme. La Corte costituzionale esaminerà l’ammissibilità il prossimo 11 gennaio: nel caso in cui la Consulta desse il via libera alla consultazione referendaria, il governo dovrebbe fissarne la data tra il 15 aprile e il 15 giugno. Diversamente dal referendum costituzionale, in questo caso ci sarebbe il quorum. Nel Pd ci si interroga su come scongiurare il rischio di una seconda sconfitta al referendum dopo quella rimediata per la riforma della Costituzione. Secondo Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, il referendum sul Jobs Act crea incertezza: “Abbiamo fatto il Jobs Act e adesso se arriva il referendum cosa accade? Io imprenditore attendo e non assumo”. Il referendum riguarderebbe tre quesiti abrogativi sulle disposizioni in materia di lavoro: la cancellazione delle norme del Jobs Act che hanno modificato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, il ritorno alle garanzie per i contributi dei lavoratori delle ditte che subappaltano lavori e l’eliminazione dei cosiddetti voucher, cioè i buoni lavoro per il pagamento delle prestazioni accessorie.