Nel Governo Gentiloni il primo ministro che viene attaccato praticamente da ogni parte politica è il nuovo titolare del Miur, quella Valeria Fedeli ormai ex vice presidente del Senato e sostituta dell’unico ministro “silurato”, Stefania Giannini: Il governo Gentiloni deve infatti sottostare a molti attacchi sulla “rossa” ministra del Miur visto che oltre a qualche problema di troppo sulla laurea con titolo non esatto che figurava sul suo curriculum fino a che non è stato esposto sui social, a quel punto immediatamente rimosso. Il problema pare arrivare su un altro fronte, quello della “maturità” sollevata dal giornalista Mario Adinolfi: «Vediamo se qualche giornalista riesce a fare una domanda semplice: ministra Fedeli, lei ha mai sostenuto l’esame di maturità? La risposta è una sola: no». Secondo Adinolfi, contrario al ministro Fedeli anche perché promotrice di progetti di immissione educazione Gender nella scuola, attacca su Repubblica: «Fedeli – assicura Adinolfi – non ha mai fatto neanche la maturità, ma solo i tre anni di magistrali necessari a prendere la qualifica di maestra d’asilo e poi il diplomino privato all’Unsas da assistente sociale, quello spacciato per diploma di laurea in Scienze sociali. Abbiamo il record mondiale di un ministro della Pubblica istruzione che non solo mente sui propri titoli di studio, non solo non è laureato, ma non ha mai neanche sostenuto quell’esame di maturità che ogni anno agita così tanto centinaia di migliaia di studenti». Problemi piccoli, certamente, ma che riflettono una natura non proprio inattaccabile di alcuni ministri del nuovo Governo già contestatissimo.



Il futuro del Governo Gentiloni, inutile negarlo, è legato a doppio filo alla persona e personalità politica di Matteo Renzi: le sue dimissioni, la sua scelta di andare al Congresso Pd, il possibile accordo o meno sulla legge elettorale, il futuro delle prossime elezioni. Il nuovo esecutivo, molto simile al vecchio con in sella però un nuovo protagonista, si appresta a mesi difficili per una maggioranza non proprio stabile, soprattutto per “colpa” del maggior partito di maggioranza, quel Pd profondamente diviso al suo interno (qui sotto ne diamo un assaggio ulteriore). Ebbene, in tutta questa cornice domenica prossima a Milano con l’assemblea Nazionale del Pd, Matteo Renzi chiederà a gran voce il Congresso, atteso un po’ da tutti, e in qualche modo darà la cifra anche delle prossime mosse dell’esecutivo Gentiloni, specie su quali scenari dove proiettarsi e contro quali nemici dovrà vedersela. Eccolo dunque, il grande ritorno dopo giorni di silenzio “assordante” dell’ex premier e ancora segretario Pd, da Pontassieve con furore: «Ripartiamo dall’Italia è il titolo dell’Assemblea del Pd di domenica prossima. Abbiamo subito una sconfitta dura nel referendum. E io mi sono dimesso da premier. Domenica discuteremo di molte cose, in modo trasparente e chiaro, come deve fare chi ama la politica e crede nel servizio per il bene comune». Lo scrive su Facebook l’ex premier e segretario del Pd Matteo Renzi. Via le polemiche, dentro i sondaggi e le domande ai suoi followers, un ritorno alle origini? «Non avendo più gli obblighi istituzionali di governo mi piacerebbe tornare a usare questa pagina soprattutto per ascoltarvi, più che per raccontare le cose fatte. E allora proviamoci: abbiamo a lungo discusso dei mille giorni del nostro governo. Ma ditemi voi: quale scelta vi ha colpito di più in positivo e quale vi è sembrato l’errore più grande di questi tre anni? Delle tante riforme dalla scuola al lavoro, dal sociale ai diritti, dall’Expo alle tasse cosa cambiereste? E soprattutto qual è la priorità secondo voi per i prossimi mille giorni? Perché la politica non è mai Amarcord, ma sempre paziente costruzione di futuro. Vi leggo volentieri».



Se Renzi ha fissato il suo ritorno, se il Governo Gentiloni vive attimi importanti per l’inizio della discussione sulla legge elettorale e sulle prossime scadenze europee, il Pd sta cercando di riorganizzarsi in vista dell’assemblea nazionale di domenica prossima dove il segretario molto probabilmente lancerà la proposta di data per il Congresso Nazionale Direttivo dei democratici, entro pochi mesi, forse già a febbraio. Il primo avversario, anche per la scelta anticipata a ben prima dell’estate, è un altro toscano e governatore della Regione. Enrico Rossi lancia la sua corrente con la quale sfidare non solo i renziani toscani, ma anche le altre correnti interne al Pd: «ecco i curdi, Diversa da quella bersaniana e anche da quella dei “giovani turchi”. Perché chiamarsi “curdi”? Perché come i curdi sfidano la doppiezza di Ankara e le ambiguità di Erdogan, i “curdi ” di Rossi competono “con la sinistra subalterna di Orlando e Orfini e con il califfato rappresentato dal capitalismo finanziario. Evocare i turchi e il genocidio degli armeni fu infelice: almeno i curdi, che non vorremmo certo replicare per litigiosità, si battono eroicamente contro nemici più grandi loro», spiegano su Repubblica i collaboratori del Governatore Rossi. Un Pd diviso, una guerra civile che non è ancora davvero scattata ma che promette già così molti “feriti” e molte “vittime” politiche, probabilmente… (Niccolò Magnani)

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