1. Dalle pagine di questo giornale sono state chiaramente evidenziate le lacunosità tecniche della riforma costituzionale, gli obiettivi reali a cui essa mira, le pericolosità che la stessa nasconde.
Su quest’ultimo punto, soltanto per quei tre/quattro — o anche meno — lettori ed elettori ai quali resta poco evidente la più volte sottolineata stretta connessione funzionale tra il senso e le soluzioni di questa riforma e la disciplina elettorale oggi vigente per l’elezione della Camera dei deputati (l’Italicum), provo ad esporre qui un richiamo sintetico ed essenziale ai punti che maggiormente rivelano i tratti di tale connessione e l’ effetto preoccupante — perché pericoloso — che quest’ultima determina.
A tal fine mi paiono indispensabili almeno tre premesse:
A) la legge elettorale può, in generale, senz’altro ascriversi all’area ampia della “materia” costituzionale, che comprende anche discipline non di stretto rango costituzionale ma idonee comunque ad orientare in un senso o nell’altro il funzionamento a regime dei meccanismi istituzionali di vertice. Il fatto che tale legge resti al di fuori dello spazio costituzionale in senso stretto (almeno nel nostro ordinamento), quello cioè occupato dalle previsioni della Costituzione o comunque contenute in atti di natura formalmente costituzionale, è la conseguenza della scelta, operata dagli stessi Costituenti, di evitare ingessature di tale regolamentazione che avrebbero reso, in futuro, ben più difficile la possibilità di modificarla.
Pertanto, come ha più volte sottolineato il giudice costituzionale, la scelta di formule e sistemi elettorali ne traduce al più alto grado l’essenza politica (cfr. le sentenze della Coste Costituzionale 107/96; 242/2012 e, da ultimo, , sempre che non superi, si intende, i confini della legalità costituzionale.
Per questo verso, le vari soluzioni al riguardo non rappresentano qualcosa di intrinsecamente buono o di cattivo ma si prestano ad operare in funzione delle aspettative di razionalizzazione dell’assetto di rappresentanza politica che si mira a realizzare. Così, ad esempio, è noto che sistemi proporzionali favoriscono, di regola, un più strutturato pluralismo rappresentativo rispetto a quello prodotto, di massima, da sistemi maggioritari.
B) La Costituzione italiana non impone alcun modello di disciplina elettorale anche se l’Assemblea costituente aveva all’epoca approvato un odg in cui manifestava il favore per un sistema elettorale di tipo proporzionale. Tale premessa può servire a orientare meglio la lettura dell’intera parte della Costituzione dedicata alla rappresentanza politica ed alla forma di governo, in particolare per ciò che attiene ai profili di più stretta consistenza garantista (approvazione dei regolamenti parlamentari, elezione dei Presidenti delle Camere, elezione del Capo dello Stato).
C) La stretta correlazione funzionale tra la legge 52/2015 (Italicum) ora vigente e la riforma costituzionale è sottolineata dagli stessi proponenti e sostenitori della riforma (Renzi-Boschi). In particolare tanto il presidente del Consiglio quanto il ministro per le Riforme istituzionali hanno tenuto ad esaltare tale correlazione che, peraltro, serve anche a giustificare la limitazione dell’efficacia della nuova legge alla sola Camera dei deputati.
2. Formulate tali premesse, passiamo a citare i connotati essenziali della legge elettorale (Italicum) in questione:
Si tratta di una legge elettorale di tipo maggioritario, a collegi plurinominali, con la sola eccezione delle circoscrizioni della Valle d’Aosta e del Trentino Alto Adige/Südtirol, per cui si prevedono disposizioni particolari (art.1, lett. a));
Sussiste il divieto di candidatura in più collegi per ogni circoscrizione, salvo che per il capolista tuttavia “nel limite di dieci collegi” (art.1, lett. b);
È prevista la possibilità per l’elettore di esprimere fino a due preferenze, ad ogni modo, “per candidati di sesso diverso tra quelli che non sono capolista” (art.1, lett. c);
È fissata una clausola di sbarramento relativa al mancato conseguimento di almeno il 3% dei voti su base nazionale (con il 3% si accede al riparto dei seggi) (art.1, lett. e);
Il numero complessivo di 340 seggi (pari a circa il 52% dei rappresentanti parlamentari) è assegnato alla lista — esclusa dunque la possibilità di formare coalizioni di liste — che ha conseguito, su base nazionale, il 40% dei voti validamente espressi “o, in mancanza, a quella che prevale in un turno di ballottaggio tra le due con il maggior numero di voti, esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i due turni di coalizione” (art.1, lett. f).
Sono eletti, in ragione dei seggi spettanti alle singole liste, innanzitutto i capolista nei singoli collegi, quindi “i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di preferenze” (art.1, lett. g).
I profili di maggior rilievo di questa legge (Italicum), che la diversificano da quella per la Camera dei deputati non più vigente (legge 270/2005, cosiddetto Porcellum) e censurata in (gran) parte dal giudice costituzionale (sentenza 1/2014) possono così semplificarsi:
Divieto di coalizioni (al primo turno) e/o di apparentamenti (tra il primo ed il secondo turno). Ciò determina, com’è evidente, un rafforzamento di posizione delle liste più forti su base elettorale che, dunque, potranno eventualmente concordare patti di sostegno pre-elettorali con forze politiche di minoranza, senza aggregarle all’ interno di un polo unitario di alleanza.
Previsione di una soglia minima di consenso, al primo turno (40% dei voti su base nazionale), quale presupposto per l’ attribuzione del pacchetto complessivo dei 340 seggi. Bene, si dirà, in questo modo la nuova legge corrisponde ai dettami del giudice costituzionale (sentenza 1/2014) che ha censurato premi di maggioranza del tutto sganciati dalla previsione di una ragionevole soglia minima di consensi.
Tuttavia — si badi bene — in caso di mancato raggiungimento di tale soglia al primo turno (caso del tutto prevedibile…) si determina un turno di ballottaggio a cui sono ammesse le uniche due liste maggiormente votate, quantunque il risultato in termini di consenso conseguito da ciascuna di esse possa risultare affatto modesto (per esempio, la prima lista raccoglie circa il 26% e la seconda circa il 23%). Al ballottaggio, poi, chi vince prende tutto, senza che operi alcuna soglia di consenso o di partecipazione alla tornata elettorale (così, sempre per continuare nell’esempio, parteciperebbe al voto soltanto il 32% dell’ elettorato, la prima lista conseguendo, mettiamo, il 18% e la seconda il 13% dei consensi validamente espressi, con un residuo minimo di schede invalide o nulle).
Alla lista vincitrice del ballottaggio andrebbe comunque un pacchetto di 340 seggi che ne determinerebbe, di fatto una sovra-rappresentazione rispetto alla realtà della forza elettorale di cui la stessa lista può disporre. Si sarebbe nuovamente in quella condizione che la Corte costituzionale, già con riguardo al menzionato Porcellum, aveva ritenuto incompatibile con le previsioni della Costituzione.
3. Cosa c’entra tutto questo con la riforma costituzionale?
I punti di contatto che influenzano il rendimento della riforma, a mio avviso, sono molteplici, il disegno che emerge alquanto pericoloso o quanto meno insidioso. Ne segnalo qui almeno tre:
1. La legge elettorale è in grado di generare una semplificazione della rappresentanza politica che può essere ragionevole in un assetto istituzionale in cui entrambe le Assemblee sono rappresentative del popolo, lo è molto meno (per usare un eufemismo) laddove tale rappresentanza — come prevede la riforma in questione — finisce per concentrarsi in una sola Assemblea.
2. Poiché nella legge elettorale si predilige il riferimento alla lista — non alla coalizione — la vittoria elettorale di quest’ultima la renderà, nel contesto della forma di governo parlamentare, l’unica, benevola interlocutrice dell’Esecutivo, che in tal modo esce assolutamente rafforzato nella sua capacità decisionale (molto meno, invece, per non dire del tutto depotenziato con riguardo alla razionalità delle sue argomentazioni). Ogni previsione della riforma che inerisce ai poteri del Governo in Parlamento, alla possibilità, ad esempio, di contingentare i tempi della discussione su un ddl, vanno inquadrati nell’ottica di un’Assemblea dei deputati tendenzialmente prona ai voleri dell’Esecutivo e, pertanto, disposta ad assecondarne ogni richiesta. Lo stesso dicasi con riguardo al complesso delle disposizioni “di garanzia”, che la Costituzione espressamente detta, in cui il richiamo alla maggioranza assoluta, pensato nell’ottica di un assetto parlamentare composito e fortemente rappresentativo del pluralismo politico-sociale, finisce per declinarsi di fatto come un dominio del partito di maggioranza e, quindi, dell’Esecutivo che in qualche modo lo rappresenta.
3. Tale sovraesposizione del partito di maggioranza corrisponde ad una ampliamento della forza rappresentativa e decisionale del suo leader che, una volta assunto il ruolo di presidente del Consiglio, si vedrà accreditato di una capacità di guida dell’azione politica dello Stato e di decisione politica effettive di gran lunga superiore a quanto la Costituzione non preveda per questo organo istituzionale.
Così descritto, non sembra esagerato ritenere che l’abbinamento di riforma costituzionale e legge elettorale, come sopra esposto, delinei i tratti di una mutazione della forma di governo parlamentare, favorendone la torsione in senso accentuatamente monocratico. Ma a tale torsione l’intero assetto costituzionale non è preparato perché il disegno tracciato dalla riforma non è “legittimato” nemmeno da un corrispondente innalzamento del livello delle garanzie costituzionali che, anzi, risultano di fatto indebolite e sbiadiscono.
Potrà forse eccepirsi che si annunciano ritocchi alla disciplina elettorale, ma a parte il fatto che tali ritocchi al momento mancano e, peraltro, nemmeno si capisce ancora bene quali profili di tale disciplina essi riguarderanno; è importante, ad ogni modo, prendere coscienza della trama che sottende l’intera riforma. Come un rovello enigmistico di cui inizialmente si conoscono solo i singoli elementi, siamo ora giunti fino in fondo al gioco: abbiamo unito tutti i puntini della “pista cifrata” e il disegno che compare, in verità, non ci piace per niente.