L’Italia riprende sempre più la sua caratteristica di nazione capace di trasformare la tragedia in farsa. Mi spiego. Attorno a noi in Europa assistiamo alla tragedia del crollo delle due grandi subculture che hanno retto l’Europa, dal dopoguerra a oggi: quella cristiano-sociale e quella socialista. Naturalmente sappiamo che ne esiste una terza e potentissima, ma che è invisibile e non si confronta nell’agone elettorale: quella massonica illuministica di rito scozzese accettato a partire dalle Logge Viennesi di Richard Nikolaus Coudenhove Kalergi per finire con quelle francesi che configurarono con Jean Monnet il profilo funzionalistico e antinazionalistico che doveva dar vita alle tecnocrazie europee. L’arrivo in forza, con la prima presidenza europea di Samuel Brittan, chiuse il cerchio della creazione tecnocratica innescando i principi common law su quelli romano germanici.
Com’è noto, da tutto questo insieme di poteri visibili e invisibili, vinse la capacità della cultura ordoliberista attraverso una negoziazione incessante e sempre vincente di modellare a poco a poco non solo le tecnostrutture ma anche i parlamenti nazionali con gli ordo inseriti nelle varie costituzioni nazionali, così da affermare i principi tipici della scuola di Friburgo, ossia il divieto di debito, l’angoscia per l’inflazione, ecc.
Adesso i nodi sono venuti al pettine. Le elezioni prossime venture in Francia, Germania, Olanda e Austria, pur coi loro profili diversi, segneranno un innegabile spostamento verso le destre e quindi verso un più acceso nazionalismo di gran parte degli elettorati europei. Finalmente si smetterà di parlare di populismo e si comincerà a parlare delle cose con i loro nomi: avvento di un composito gruppone di comando della corsa elettorale di seguaci dell’idea nazionale. Portano magliette diverse da quelle dell’Action Francaise o dell’Oas per quel che riguarda i lepenisti oppure di una nuova Vandea nobilitata dagli ideali gaullisti per quel che concerne Fillon oppure la xenofobia anti-emigranti di Alternative für Deutschland o di Wilders, oppure ancora il radicalismo nazionalista polacco che ben si differenzia dagli altri non meno spaventosi neofascisti ungheresi e slovacchi. Per non evocare poi i fantasmi delle destre scandinave che non hanno mai dismesso gli orribili riti nazisti. Il tutto naturalmente si fonda su buone dosi di antisemitismo, che sta via via privando la Francia delle componenti più colte delle sue classi dirigenti di origini ebraica che fuggono verso Israele o gli Stati Uniti.
È una prospettiva angosciante, anche perché dinanzi a essa quella che è stata la sua storica antagonista è stata colpita da una paralisi: la socialdemocrazia tedesca si accontenta di un presidente della Repubblica e di uno sfidante della Merkel che sembra un domatore del Circo Togni (il signor Schulz). I socialisti francesi si dividono tra presidenti di incredibile stupidità e primi ministri di un’arroganza da alta finanza che è la peggior esca per pescare nei ceti popolari; i verdi austriaci, inoltre, si giocano la sopravvivenza sul filo di lana di fronte a un candidato dichiaratamente neonazista. Per non farci mancare nulla, il Regno Unito nel suo sonno della ragione continua a produrre mostri, ossia la volontà di Tony Blair di ricandidarsi e di guastare la festa così al lavoro artigiano di Jeremy Corbin di ricostruire un’alleanza tra Trade Unions e laburismo. Un lavoro, nobile, nobilissimo, necessario e che solo può rifondare un’alleanza socialista e non solo per l’Inghilterra.
Quale che sia il giudizio che si voglia esprimere in base alle proprie preferenze politiche, il panorama europeo è preciso e drammatico assieme: le destre, estreme o moderate che siano, sono in grande spolvero; i socialisti arrancano, ma, anche senza candidati di spicco, combattono; il centro cattolico tedesco, che dai tempi di Weimar è stato l’architrave della democrazia moderata europea, certo non si rinnova, gioca la vecchia carta di una politicienne d’abord come la avrebbe definita Pietro Nenni, ma che in ogni caso, povera Cancelliera, mette in gioco se stessa e tutta la sua vita politica per affermare le sue idee, anche se sono terribilmente nefaste.
In Italia nulla di tutto questo. L’incredibile imperizia parlamentare dei cosiddetti renziani che non sono stati in grado di raccogliere i voti parlamentari sulla riforma costituzionale tali da impedire il referendum ha sprofondato il Paese nella disgregazione politica. Essa si affianca a quella economica che è in corso da anni e che erode tutte le nostre capacità produttive in un costante calo demografico, in un costante calo degli investimenti, in una costante incapacità di organizzare i migranti imponendo loro regole di vita e di lavoro obbligatorie, così da insegnar loro la lingua, una professione e di formare un carattere che non si costruisce ciondolando per le strade.
Solo gli eserciti del lavoro possono fondare la sicurezza. Invece in Italia siamo in una situazione di caos: tutti contro tutti. Si nasconde eufemisticamente questo problema dicendo che le opinioni del Si e del No hanno provocato atteggiamenti trasversali, ma in verità ciò che hanno provocato è un’ulteriore divisione di ceti politici, di sistemi di capi e di cacicchi che governano l’offerta elettorale e insieme il potere situazionale di fatto, abbarbicato ai poteri degli imprenditori assistiti, e dei grandi banchieri stockoptionisti.
I Cavalieri dell’Apocalisse avanzano e noi balliamo non la tarantella ma una spettrale edizione della tarantolata ben descritta da Ernesto De Martino.