Il proporzionale puro durante la “prima repubblica”. Poi i referendum del 1991 e 1993 e l’introduzione di un sistema misto, maggioritario e proporzionale (il Mattarellum) con il quale gli italiani hanno votato alle politiche del 1994, del ’96 e del 2001. Nel 2005 si cambia ancora: arriva la legge Calderoli (270/2005), poi ribattezzata Porcellum, e dichiarata incostituzionale dalla Consulta nel gennaio 2014. Infine la legge 52/2015, il cosiddetto Italicum, in vigore dal maggio 2015, mai applicata e investita da una pioggia di ricorsi sollevati dinanzi a vari tribunali italiani. La Corte costituzionale si riunirà il 24 gennaio 2017 per decidere se l’Italicum viola o no i diritti costituzionalmente garantiti. Nel frattempo, dopo la bocciatura della riforma costituzionale Renzi-Boschi che aveva nell’Italicum la sua chiave di volta, la politica si è rimessa in moto. M5s ha detto di voler estendere l’Italicum anche al Senato; Renzi ha proposto di tornare al Mattarellum, incontrando la disponibilità di Salvini; mentre Berlusconi ha detto di voler tornare al proporzionale. Per capire più da vicino le varie ipotesi in questione, ne abbiamo parlato con Saulle Panizza, docente di diritto costituzionale nell’Università di Pisa. 



La legge elettorale era un pilastro della riforma. Bocciata la riforma, si ridiscute di legge elettorale. In che modo l’esito del referendum condiziona la legge che verrà?

L’intera vicenda risulta davvero singolare. I fautori delle riforme costituzionali (poi bocciate con il referendum) hanno dapprima intimamente collegato la revisione con la nuova legge elettorale, l’Italicum, salvo poi provare a dimostrare — all’approssimarsi del 4 dicembre — che le due vicende non erano connesse, e costringendo ora il Parlamento a riscrivere il sistema elettorale, sia per la Camera, sia per il Senato, ma con la segreta speranza che sia la Corte costituzionale a risolvere i problemi che il Governo e la sua maggioranza hanno in questo modo determinato.



Una legge elettorale è legata a doppio filo con il sistema politico: questo dovrebbe farla e approvarla, la legge dal canto suo condiziona l’offerta politica. Quand’è che una legge elettorale è “migliore” di un’altra?

Questa è la classica domanda cui è estremamente difficile dare una risposta, per una serie di ragioni. In primo luogo perché quando pensiamo alla “legge elettorale” pensiamo implicitamente al meccanismo di trasformazione dei voti in seggi, ma in realtà rileva, e non poco, anche tutta quella che si può definire la legislazione elettorale di contorno (la dimensione dei collegi, la loro delimitazione, ecc.). In secondo luogo, perché nessuna legge elettorale è buona o cattiva in sé, ma va esaminata nel contesto politico e istituzionale in cui è destinata a operare. Infine, e proprio per questo, le linee guida internazionali si limitano a fissare delle indicazioni, auspicando soprattutto la stabilità nel tempo di queste regole e la loro revisione in epoca lontana dallo scrutinio, ciò che, però, è esattamente l’opposto di quanto è avvenuto e sta nuovamente avvenendo nel nostro Paese.



Ci si prepara al de profundis per l’Italicum. La corte si pronuncerà? E come? 

Gli attori politici ma anche la dottrina sono divisi sul punto. Intanto, molti commentatori non hanno potuto esimersi dal leggere un tono risentito nel comunicato stampa (7 dicembre) con il quale, in relazione alla data scelta per l’udienza di trattazione delle questioni relative alla legge elettorale (24 gennaio 2017), la Corte costituzionale si è vista costretta a precisare che essa opera “secondo le regole degli organi giurisdizionali” — e non, potremmo aggiungere, secondo i desiderata di questa o quella forza politica. Viene da pensare a cosa sarebbe potuto accadere con il giudizio preventivo di legittimità costituzionale che la riforma Renzi-Boschi avrebbe introdotto, a istanza delle minoranze parlamentari, sulle leggi elettorali prima della loro promulgazione.

 

Lo spirito dell’Italicum merita in qualche modo di sopravvivere all’impianto della legge? 

Lo spirito dell’Italicum credo possa essere rinvenuto nel tentativo di agevolare la formazione di una “adeguata” maggioranza parlamentare, allo scopo di garantire la stabilità dei governi e di rendere più rapido il processo decisionale. Tutto ciò, come ha osservato la Corte costituzionale a proposito del “Porcellum”, costituisce senz’altro un obiettivo costituzionalmente legittimo, ma a condizione che gli altri valori costituzionali che vengono in gioco, in primo luogo la rappresentatività del sistema, non ne vengano eccessivamente sacrificati. E a me pare che questo equilibrio, in quella normativa, non sia rispettato.

 

Si è tornati a parlare di Mattarellum. Vuole ricordarci cos’è, come funziona e qual è il sistema politico prefigurato dalla legge Mattarella?

E’ stato il sistema elettorale che ha retto le sorti del nostro Paese dal 1993 al 2005, caratterizzato da una combinazione, certo originale anche sul piano della comparazione, tra un sistema maggioritario uninominale a turno unico, con cui veniva assegnato il 75% dei seggi di Camera e Senato, e un sistema proporzionale per le liste, con cui venivano assegnati i rimanenti seggi. Oggi molti sembrano auspicare un ritorno ad esso, ma non dimentichiamo che quando era in vigore non erano pochi quelli che ne sottolineavano una sorta di intima contraddittorietà, che induceva le stesse forze politiche a coalizzarsi nella parte maggioritaria e insieme a contrapporsi, anche ferocemente, in quella proporzionale.

 

D’altro canto c’è chi parla di proporzionale, come Berlusconi. L’idea stessa di un “ritorno” al proporzionale spaventa tutti: il passato che non passa o, peggio, che ritorna. Ha una sua ragionevolezza questa proposta?

In astratto, un sistema proporzionale è quello che meglio “fotografa” il pluralismo di idee e di forze politiche e la precisa consistenza di ciascuna di esse nella società in un momento dato. Certo, se non corretto in maniera adeguata e ragionevole, può naturalmente produrre un incremento del numero dei partiti, una loro frammentazione e la necessità di governi di coalizione, più facilmente esposti a rischi di instabilità.

 

Con il proporzionale l’elettore si trova senza possibilità alcuna di determinare la maggioranza che governerà il paese dopo avergli chiesto il voto. E’ la sindrome da impotenza dell’elettore nella prima repubblica, ovvero i partiti che decidono tutto sopra la sua testa. E’ così? Come si può rimediare? 

Sono ben noti tutta una serie di possibili “correttivi” dei sistemi proporzionali, che vanno dalla definizione dell’ampiezza delle circoscrizioni elettorali all’attribuzione di un certo numero di seggi (non troppo ampio) a ciascuna di esse, alla previsione di soglie di sbarramento (purché ragionevoli) per le formazioni che non raggiungano una certa consistenza.

 

Ma si può tornare al proporzionale senza ritrovarsi di nuovo nel marasma del Porcellum?

Il “Porcellum” aveva una serie di vizi talmente evidenti (basti pensare all’attribuzione del premio di maggioranza, al Senato, regione per regione, con effetti potenzialmente contraddittori), riconosciuti ed esplicitati dalla dichiarazione di illegittimità della Corte, che oggi, anche alla luce dell’esperienza, possono agevolmente essere evitati, se quella fosse la strada verso la quale decidessero di indirizzarsi le forze politiche.

 

Cosa vorrebbe dire tornare al proporzionale dopo la svolta o diciamo la parentesi maggioritaria degli anni Novanta?

Le formule maggioritarie tendono ad attagliarsi a sistemi bipartitici o bipolari, favorendo la collocazione degli elettori attorno a visioni alternative, o comunque contrapposte. Se però gli assetti sociali non si riconoscono in queste dinamiche, tali formule non è detto che producano una buona resa in quegli ordinamenti. 

 

Non vede di nuovo il rischio di demandare ad una legge elettorale ciò che una legge elettorale non può fare?

Proprio per non chiedere cose “improprie” ai sistemi elettorali le raccomandazioni internazionali suggeriscono che le relative regole non siano cambiate troppo spesso e non lo si faccia, comunque, a ridosso delle competizioni, così che tutte le formazioni politiche siano inevitabilmente più portate a scegliere non sulla base della propria convenienza del momento, consentendo al “velo di ignoranza” di suscitare opzioni ispirate a maggiore obiettività e al miglior funzionamento delle istituzioni. Purtroppo, non sarà questo ciò che accadrà.

 

Lei quale soluzione auspica?

Una legge elettorale al servizio dell’assetto delle istituzioni e della forma di governo parlamentare delineati dalla Costituzione e confermati dall’esito referendario. Una legge capace di assolvere, in primo luogo, alla scelta dei migliori rappresentanti delle molteplici istanze proprie di una società complessa come la nostra.

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