“La libertà non è star sopra un’albero. Non è neanche avere un’opinione. Libertà non è uno spazio libero. Libertà è partecipazione…”. Così una delle più belle canzoni di Giorgio Gaber, con cui in tanti abbiamo avuto la fortuna di intessere un dialogo oltre gli schemi. A dir la verità, anni fa quell’affermazione mi appariva riduttiva. Quasi il frutto tardivo di un’assemblearismo un po’ démodé. Sergio Mattarella invece con grande sagacia ha fotografato quanto accaduto il 4 dicembre interpretando in maniera costruttiva e saggia la volontà degli italiani.



“Dalla grande affluenza al recente referendum è emersa — vorrei nuovamente sottolineare — una domanda dei nostri concittadini di maggior partecipazione, non episodica ma costante; e autentica, libera, da non strumentalizzare, da non manipolare. Una domanda rivolta soprattutto alle formazioni politiche e che merita apertura e disponibilità nella risposta. Questa attitudine si presenta del tutto in linea con le tante qualità positive espresse, ogni giorno, nel tessuto della nostra società. Pochi giorni addietro ho consegnato riconoscimenti a numerosi giovanissimi ragazzi che si sono distinti, come tanti altri, che essi rappresentano, nel loro impegno quotidiano, nello studio, nel rimuovere ostacoli della disabilità, nella solidarietà, nel superamento di limiti posti da malattie, nel soccorso fornito a persone in pericolo. Il mese scorso sono state conferite onorificenze a quaranta persone che, lontano dalla ribalta e dai riflettori, nella loro vita professionale o nel volontariato, sono impegnate al servizio degli altri e della collettività. Questa Italia, con questi e tanti altri protagonisti positivi, portatori di valori che rinsaldano il tessuto connettivo del nostro Paese, inteso come comunità di vita, merita dalle istituzioni una risposta di pari livello. Per rispettare questi sentimenti diffusi tra gli italiani, e corrispondervi, vi è assoluta necessità di un clima più sereno. Costruttivo, rispettoso delle opinioni altrui, delle scelte compiute dagli altri, delle persone di cui non si condividono opinioni e scelte. La dialettica rappresenta un ingrediente indispensabile della vita sociale e della democrazia. Può, e deve, essere franca, netta, talvolta anche aspra. Ma l’ascolto delle ragioni degli altri ne costituisce elemento indispensabile, così come è sempre saggio coltivare il beneficio del dubbio e la capacità di porre in discussione le proprie certezze. Si tratta di un appello che desidero rivolgere a tutti gli ambienti del nostro Paese, particolarmente a quello politico, a quello dei mezzi di comunicazione, a quello dei social. Chi suscita e diffonde sentimenti di inimicizia o, addirittura, di odio agisce contro la comunità nazionale; e si illude di poterne orientare la direzione. L’odio che penetra in una società la pervade e si rivolge in tutte le direzioni, verso tutti e verso ciascuno. Tanto più è necessario un clima di dialettica vivace ma corretta e seria quanto più grandi, impegnativi e talvolta drammatici sono i problemi che vanno affrontati e che richiedono la capacità di misurarsi con questioni complesse”. 



Una citazione forse troppo lunga, ma straordinariamente importante. Il risultato referendario secondo il presidente della Repubblica dice della volontà dell’intera società italiana di essere protagonista dei cambiamenti del nostro tempo. La gente, quella del No come quella del Sì, vuole vedere rappresentati i propri punti di vista ma soprattutto non separa quei giudizi dalla passione che mette nella vita. Sarebbe sbagliato, non solo da parte di chi ha visto infranto il proprio progetto di ingegneria costituzionale, ma anche dei presunti vincitori immaginare una società reale tradita dai conservatorismi e votata all’immobilismo. Nel realismo del giudizio che è stato dato c’è ansia di costruzione che non deve sfuggire alla politica, chiamata non a gestire ma ad “obbedire” alla volontà popolare. Per obbedire, dice bene Mattarella occorre rispettare la volontà dell’intero corpo elettorale che si è espresso in modo inequivocabile, abbracciando senza acredine chi aveva ragioni differenti e chiedendo con questo gesto limpido finalmente un percorso condiviso.



Certo ai partiti ed ai politici, ed alle istituzioni si chiede di più.

Lo chiarisce l’ospite del Quirinale: “…di fronte alle difficoltà di tante famiglie, di fronte a giovani che non hanno la possibilità di programmare la propria vita perché non trovano lavoro, di fronte a chi lo ha perduto o a chi lo ha ma è sottoretribuito, di fronte a un’ampia area di povertà, che non è costituita da un dato statistico ma da numerosi nostri concittadini, occorre rispetto e, quindi, un confronto di proposte con contenuti ed elaborazioni adeguate. Insicurezza, disagio tra i nostri concittadini, accresciuto divario sociale richiamano i doveri che derivano dal valore dell’unità nazionale. Questa non si esaurisce nella dimensione territoriale ma comprende i profili generazionali e sociali. L’unità del Paese è nuovamente una grande questione sociale. L’Unione Europea attraversa una crisi nell’attuazione del suo progetto. Lo vediamo nel risorgere di tentazioni nazionaliste, nei piccoli e grandi egoismi che impediscono scelte comuni su questioni fondamentali. Lo vediamo nell’insufficiente governo del fenomeno migratorio, nei passi indietro rispetto al processo di integrazione politica, economica, fiscale. Dobbiamo adoperarci perché l’occasione della ricorrenza a Roma di sessant’anni dall’inizio del suo percorso divenga il momento di rilancio della consapevolezza del valore storico di quella scelta e del dovere — e della comune convenienza — di svilupparla sempre di più”.

Il presidente, insomma, invita a concentrarsi su progetti concreti senza far dipendere l’esito del benessere dei cittadini da alchimie elettorali e marchingegni istituzionali. Le regole del gioco rimangono fondamentali e lo chiarisce una vota di più: “A questo scopo — quello di consentire nuove elezioni con esiti chiari — è necessario dotare il nostro Paese di leggi elettorali, per la Camera e per il Senato, che non siano, come in questo momento, l’una fortemente maggioritaria e l’altra assolutamente proporzionale ma siano omogenee e non inconciliabili fra di esse”. 

“Esigenza, questa, condivisa da tutte le forze parlamentari nel corso delle recenti consultazioni. Leggi, inoltre, pienamente operative affinché non vi siano margini di incertezza nelle regole che presidiano il momento fondamentale della vita democratica. Anche questa necessità sorregge l’esigenza di un Governo nella pienezza di funzioni, senza il quale il Parlamento non potrebbe procedere all’approvazione di alcuna normativa elettorale. E’ augurabile che, sulle regole elettorali, si registri in Parlamento un consenso, auspicabilmente generale, comunque più ampio di quello della maggioranza di governo. Come è stato affermato dal Presidente del Consiglio, in occasione della presentazione alle Camere, il Governo cercherà di facilitare il lavoro parlamentare riguardo alla legge elettorale”.

Ma la realtà vera, che impegna la volontà di costruzione di tutti è ben altro:

“Il Governo, secondo la Costituzione, ha, inoltre, il compito e il dovere di farsi carico dei tanti problemi presenti, oggi, nella vita dell’Italia. Dall’avvio della ricostruzione dei comuni colpiti dal terremoto alla condizione economica del Paese e, nel suo ambito, al ruolo dei nostri operatori nei mercati; dalla sicurezza del risparmio affidato al sistema bancario, all’occupazione; dalla gestione del complesso fenomeno migratorio ai rilevanti impegni internazionali di fronte all’Italia”. 

Costruire insomma non può fermarsi a ridiscutere le regole della vita delle istituzioni ma è un tutt’uno con una democrazia sostanziata dalla soluzione dei problemi in un servizio generoso al nostro popolo. 

Già, il popolo.

Che amarezza vedere come la classe dirigente di uno dei partiti più suffragati si sia trascinata in un’estenuante lotta per il potere durante l’arco dell’intera legislatura. Marini, Prodi, Bersani, Letta, Renzi stesso: questa è la dolorosa litania di coloro che sono stati sacrificati pensando che il potere nel partito valesse quanto o più del destino della nazione. 

Banche, scuola, giovani, lavoro, integrazione, tasse: parole diventate figurine di strategie di comunicazione che nulla hanno concesso in termini di spazio politico alla realtà. Una realtà dolente che chiede buon governo.

In tanti condividevamo un giudizio ad inizio legislatura, motivando la disponibilità ad una grande coalizione: troppo grandi sono gli ostacoli sul cammino dell’Italia! Occorre uno sforzo comune per rimuoverli. Ma la storia successiva ha confuso il varo delle riforme con la creazione di regole che garantiscono al banco di vincere sempre. Il popolo ha reagito recandosi in massa alle urne come non faceva da tempo. Ha difeso come ha potuto libertà e democrazia. Paradossalmente ha rifiutato il populismo dell’antipolitica difendendo le istituzioni, il loro significato, il loro essere garanti e non padrone della vita della gente. 

Intervenire oggi qui ha senso se si disegna con pazienza e forza una possibile alternativa e la si indica con umiltà alla gente. Mi rivolgo allora alle forze politiche che nel solco della storia recente del paese ne hanno retto le sorti in alternativa ad una sinistra che oggi appare esageratamente ripiegata sulle proprie lotte intestine. Noi, appunto, non dividiamoci.  

L’Italia ha bisogno di un fronte politicamente coeso, in cui ci sia spazio per tutti, che rilanci il senso stesso della sovranità popolare e del ruolo indispensabile della nostra nazione nel contesto euromediterraneo. Impariamo dai nostri errori e da quelli dei nostri avversari: è il popolo che sceglie la propria guida. Stiamo vicini alla nostra gente, ai loro bisogni. Mostriamoci solleciti e leali con le difficoltà della nazione. Scopriremo che la nostra unità e idee nuove e ben ponderate saranno più utili all’Italia e all’Europa di qualsivoglia concorso di bellezza per la leadership di un perimetro politico, che potrà essere tanto più ampio quanto noi sapremo essere inclusivi.