Continua il palleggio tattico tra Pd e Forza Italia sulla legge elettorale. Guerini e Orfini del Pd insistono sul Mattarellum, ma l’unica strada è il proporzionale, ha ribadito ieri Berlusconi, incassando (a sorpresa) la disponibilità di Ap-Ncd, alleato di governo del Partito democratico. Oggi Gentiloni terrà la consueta conferenza stampa di fine anno, nella quale ripeterà le ragioni del suo governo. Secondo Rino Formica, ministro socialista della prima repubblica, il paese non è mai stato a rischio come adesso. Altro che elezioni, occorre fare quadrato per garantire la sua sopravvivenza.



“E’ paradossale — attacca subito Formica all’inizio della telefonata —. Chi ha perso il referendum non ha forze sufficienti per gestire la sconfitta, chi ha vinto è troppo debole per amministrare bene la vittoria”.

Non crede che Mattarella sia riuscito a gestire la situazione dando un briciolo di tranquillità al paese?

Sì, ma non possiamo nemmeno immaginare che la crisi delle istituzioni e dei poteri che operano nella società possa essere risolta dalla saggezza del presidente della Repubblica. 

Era meglio andare al voto?

Guai. Solo per dire che il vero potere di intervento politico del presidente era lo scioglimento delle camere, ma è una soluzione oggi percepita come insufficiente e debole…

“Era”, lei dice? Potrebbe ancora farlo; lo farà, quando sarà tempo.

Il punto è un altro: sciogliere le camere per fare che cosa? 

Intanto c’è un governo.

Ciò che c’è oggi è una crisi gravissima: sociale, politica, delle istituzioni. A questa si è aggiunta la crisi, altrettanto tremenda, di un mondo che fino ad oggi nella storia repubblicana era parso tranquillo: quello dei risparmiatori. E siamo appena agli inizi di questa vicenda. Nessuno sa come, quando e dove si dovrà intervenire e in che misura sarà sufficiente farlo.

Stiamo parlando del caso Mps.

La crisi del Monte Paschi sta lì da almeno vent’anni. Ora Roma e Berlino litigano sulle regole, ma la parte più importante nella vicenda l’hanno avuta la Banca d’Italia, i governi, i ministri del Tesoro, i parlamenti di un’epoca. Soprattutto, chi doveva intervenire non è intervenuto, anche se ne conosceva i mali.

Perché ha detto che la vittoria del No al referendum è stata troppo grande per essere gestita politicamente?

Perché si tratta di un consenso amplissimo, pieno di aspettative da parte di vasti settori del paese e delle nuove generazioni. Un consenso che non chiede solo di mantenere un ombrello di garanzie, ma di costruire un futuro.

E la politica non è in grado di farlo.

Non ci sono più forze politiche, né schieramenti; non c’è classe dirigente. In questi vent’anni si è andata spegnendo ogni capacità di creare soluzioni che superassero le positività e le negatività della prima repubblica, e così l’esito della seconda era segnato.

Da parte di alcuni si auspica un ritorno al proporzionale. Non è un’avvisaglia interessante? 

Il proporzionale fu la strada per far crescere le forze nuove della democrazia dopo la fine della guerra e con l’avvento della repubblica. Ma allora c’erano forti ideologie, forze politiche con classi dirigenti preparate e determinate e soprattutto forgiate nel fuoco di lotte politiche difficili. Oggi cos’abbiamo? Politici cresciuti nell’adattamento, nel trasformismo, nell’imbrogliarsi a vicenda. Guardi quello che è avvenuto nella formazione della lista dei sottosegretari: lei si immagina che 19 milioni di persone che hanno votato No al referendum stiano attendendo di sapere cosa farà Verdini?

 

Anche i grillini sono in difficoltà. M5s potrebbe squagliarsi?

L’unico vantaggio che ha potuto garantire la sua classe dirigente infantile, sprovveduta, improvvisata e da palcoscenico, è stato quello di aver portato l’area enorme dalla protesta di piazza alla ribellione all’interno delle istituzioni. Si potrebbe squagliare la rappresentanza di M5s, ma non la vasta area dell’indignazione, dello sconforto, della frantumazione sociale. 

 

E il declino dei rappresentanti riporterebbe la protesta fuori delle istituzioni?

I grillini devono scegliere. Saranno capaci di cambiare classe dirigente mantenendo fissa la barra sulla strada del rinnovamento nelle istituzioni? O faranno una ribellione contro le istituzioni? Ad oggi non si può rispondere.

 

Il Pd è ancora un vero partito politico?

No. Tutte le forze politiche, nessuna esclusa, sono ormai solo aggregazioni di tribù, tenute insieme dalla possibilità di poter ancora erodere qualcosa. 

 

Come Renzi, che dietro le quinte lavora probabilmente per la sua rivincita?

Non per la sua rivincita, ma per la sua vendetta. La prima richiede una revisione politica, la seconda no.

 

Ci aspetta un 2017 difficile: elezioni francesi in primavera e tedesche in autunno. In mezzo ci saremmo noi, per chi auspica il voto anticipato. Che ne pensa?

Votare nel ’17 sarebbe una follia. Bisognerebbe invece, paradossalmente, prolungare la legislatura. Purtroppo la Costituzione non ce lo consente, se non in caso di guerra.

 

Non siamo già in guerra, in un certo senso?

Sì, ma non in quella che consente un rinvio delle elezioni.

 

Intanto l’euro ci sta impoverendo sempre di più.

L’altro aspetto paradossale è che anche questo sta diventando un problema secondario rispetto alla disgregazione politica, economica e sociale, tanto è grave. Viene meno la coesione all’interno dei popoli, la crisi non è più tra gli stati ma al loro interno.

 

Meglio attendere dunque, meglio sopravvivere?

Sì. Le incognite sul ruolo della nuova presidenza Usa e sulla Russia come nuova potenza mondiale ordinatrice ed egemone sconsigliano ogni avventurismo.

 

(Federico Ferraù)