Uno degli articoli della riforma della Costituzione, sottoposto a referendum, prevede l’abolizione del Cnel con conseguenti risparmi tutti da misurare. In caso di vittoria del Sì verrà abolito completamente l’articolo 99 che lo istituiva: in una prima fase il Cnel verrà commissariato con un decreto del presidente del Consiglio entro 30 giorni dall’entrata in vigore della riforma e la gestione provvisoria viene affidata ad un commissario straordinario, che ha il compito di gestire il patrimonio dell’ente e di ricollocare i dipendenti presso la corte dei conti. Non andranno più corrisposte le indennità ai membri del Cnel, ma restano invariati i costi per il personale, quelli per il patrimonio e le strutture dell’ente. Il risparmio in diretta applicazione della riforma, come riportato da Agi, si aggirerebbe allora sui 2,9 milioni di euro, tenendo conto delle economie derivanti dalle spese per gli emolumenti dei membri, quelle di rappresentanza e di missione istituzionale dell’ente, oltre che di acquisizione dei beni strumentali.



Il Cnel, che Matteo Renzi vuole abolire con il referendum costituzionale, è stato tenuto in vita proprio dall’attuale governo: il retroscena è stato svelato da Il Giornale, secondo cui lo scioglimento del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro poteva essere effettuato senza il voto di domani. Tutti i partiti sono, infatti, d’accordo sull’abolizione del Consiglio Nazionale Economia e Lavoro, quindi sarebbe bastato stralciare il provvedimento dal pacchetto della riforma della Costituzione e farlo approvare dai due rami del Parlamento. Questa richiesta è stata avanzata dal Movimento 5 Stelle e da alcuni esperti del settore, ma non è stata accolta dal governo. Secondo Il Giornale, l’abolizione del Cnel rappresenta “il gol vincente dei renziani nella partita referendaria”. In caso di vittoria del No al referendum, si potrà ricorrere alla strada della maggioranza qualificata per abolire il Cnel. Infiammano allora le polemiche per la soppressione di un organo che avrebbe potuto chiedere i battenti da tempo.



Ieri nella sede del Cnel è stata presentata la cinquantesima edizione del Rapporto Censis sulla situazione sociale dell’Italia e inevitabilmente si è parlato del referendum costituzionale. La riforma della Costituzione voluta dal governo prevede, infatti, l’abolizione del Consiglio Nazionale Economia e Lavoro. Giuseppe De Rita, sociologo e tra i fondatori del Censis, di cui è presidente dal 2007 e presidente del Cnel dal 1989 al 2000, ha preferito non esprimersi: “No, sarebbe scorretto”. Domenico De Sossi, già segretario del Cnel, ha invece espresso la speranza e il buon auspicio che non venga abolito, oltre ad evidenziare il fatto che nei primi anni è stato il Cnel a finanziare i progetti del Censis, che riescono ad interpretare la sensibilità politica. “L’iniziativa era valida allora ed è valida ancora oggi”, ha dichiarato De Sossi. Bisogna attendere allora l’esito del referendum per conoscere le sorti del Cnel.



Per Matteo Renzi la cancellazione del Cnel (Consiglio Nazionale Economia e Lavoro) tramite il Referendum Costituzionale rappresenta una tappa per l’eliminazione degli sprechi e la riduzione dei costi della politica. Il concetto è stato ribadito dal presidente del Consiglio anche nel corso dell’ultimo #MatteoRisponde, nel quale ha provocato il presidente del Cnel: “Non so se ci siamo capiti, ma se vince il Sì sarà costretto a chiudere. Se vince il No, Napoleone e altri con lui festeggeranno”, ha dichiarato il premier. La replica di Delio Napoleone non si è fatta attendere: “Il 4 dicembre sarà la nostra Waterloo? Dopo Waterloo c’è sempre una vittoria…”, ha dichiarato a margine della presentazione del 50esimo rapporto del Censis sulla situazione sociale. Sarcastico, dunque, il presidente del Cnel. Intanto c’è chi pensa già ad insediarsi nella lussuosa sede del Cnel, nel caso in cui l’ente venisse eliminato. Stando a quanto riportato da Il Fatto Quotidiano, potrebbe diventare la nuova “casa” del Csm o addirittura una “Casa Bianca” all’italiana, ma il vice presidente Gian Paolo Gualaccini non crede alle indiscrezioni: “Sono soltanto voci, ma questo dovreste chiederlo a Renzi”.

Con l’Abolizione del Cnel al referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo, forse si ha il punto di maggiore unione tra i due fronti di Sì e NO: che sia un organismo “non indispensabile” è ormai valutazione di tutti gli addetti ai lavori, infatti la polemica su questo punto della riforma si situa sul punto del risparmio reale di una soppressione del genere. Secondo i conti prodotti dall’ansai, i costi stimabili della soppressione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (visti i conti del bilancio consultivo 2014) sono riferibili alle spese degli emolumenti di tutti i membri dello Cnel, circa 1,87 milioni di euro. 400mila euro per le spese di rappresentanza tra cui viaggi, partecipazioni ad altri organismi, eventi e convegni; altri 430 mila euro sarebbero invece il risparmio sulle spese per la missione istituzionale dell’ente (secondo i conti de L’Indro.it), che comprende traduzioni e interpreti, la comunicazione istituzionale e le spese derivanti dalle convenzioni stipulate. Da ultimo, 200mila euro per le spese di acquisizione di beni strumentali alle attività dello Cnel, ovvero abbonamenti, utenze telefoniche e internet, carburante e note spese in generale. i 64 membri dello Cnel verranno tutti ricollocati all’interno della Corte dei Conti quindi non perderanno il posto di lavoro, come previsto dalla riforma costituzionale al voto questa domenica.

La riforma della Costituzione su cui gli italiani sono chiamati a votare il 4 dicembre attraverso il referendum prevede anche l’abolizione del CNEL, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Questo organo, previsto dalla Costituzione italiana, è stato istituito in Italia negli Sessanta. Il ruolo del CNEL è di mediare quando Parlamento e singole regioni ne richiedono l’intervento. Si tratta, dunque, di un ente “super partes” che si occupa di risolvere le frizioni inerenti la situazione economica e lavorativa tra imprese e lavoratori. Il CNEL non può creare leggi, ma promuoverle ed esprimere pareri. Inoltre, è composto da 64 consiglieri e 48 rappresentati del settore produttivo: 8 di loro sono nominati dal Capo dello Stato, 2 dal Presidente del Consiglio. Restano in carica per cinque anni, ma hanno la possibilità di essere rieletti. L’abolizione del CNEL rientra, dunque, nel piano di riduzione dei costi della politica, uno dei punti cardine della riforma sulla Costituzione su cui dovremo esprimere un parere attraverso il referendum.

Sono sorte molte perplessità sull’efficacia del CNEL, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Questo organo, che si riunisce due-tre volte al mese, ha un peso non indifferente sui costi della politica, visto che per mantenerlo servono quasi venti milioni di euro all’anno. Lo stipendio di ciascun membro, infatti, supera i mille euro. Negli ultimi sessant’anni, però, il CNEL è stato chiamato in causa dalle regioni e dal governo solo quattordici volte, mentre hanno offerto solo 96 pareri. L’abolizione del CNEL comunque era stata proposta già dalla bicamerale D’Alema, mentre la commissione dei saggi nominata nel 2013 dall’allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano aveva proposto una radicale riforma come alternativa alla soppressione. C’è ancora chi sostiene che con una riduzione del numero dei componenti, dei costi e della modalità di designazione dei consiglieri, unita ad una nuova governance e un’altra mission, si possa dare un senso a tale organo consultivo, che rappresenta le parti sociali.