Il risparmio che il referendum costituzionale potrebbe produrre corrisponde a meno di un terzo rispetto a quello illustrato dal premier Matteo Renzi: è questa la tesi di Roberto Perotti, ex commissario per la spending review, che stima il risparmio su 161 milioni di euro. Il professore ha analizzato i dati forniti dal ministro Maria Elena Boschi e ha fornito la sua interpretazione. Il nodo verte sul costo dell’eliminazione delle province, valutato 320 milioni di euro dal governo. Gran parte delle funzioni delle province, però, sono state affidate a comuni, città metropolitane e regioni con la legge Delrio, quindi i dipendenti pubblici non necessari verranno riassorbiti gradualmente da altri enti pubblici. Questa legge ordinaria del 2014 ha inoltre eliminato gli emolumenti dei consiglieri provinciali, quindi i risparmi da questo punto di vista si sono già manifestati e resterebbero anche con la vittoria del No al referendum, conclude Perotti.
Il contenimento dei costi della politica è uno degli aspetti chiave del referendum sulla riforma della Costituzione: la stima del premier Matteo Renzi sul risparmio è di circa 500 milioni di euro, ma l’opposizione parla di un impatto più basso, cioè sui 160 milioni di euro. Come evidenziato dall’Avvenire, ci sono delle spese che non possono essere cancellate da un giorno all’altro: i lavoratori e i funzionari del Senato, ad esempio, continueranno a percepire lo stipendio, dividendosi tra le due Camere con i colleghi di Montecitorio. Il risparmio verte innanzitutto sulla riduzione del numero dei senatori, che scenderanno a 100 da 315. Per loro non sarà più prevista l’indennità, quindi si risparmieranno 33 milioni di soldi pubblici. Se fossero cancellate anche tutte le voci di rimborso, si salirebbe a 80 milioni di euro di risparmio in tal senso. Ma i rimborsi spese di trasferimento e alloggio per i senatori che raggiungeranno Roma un paio di volte al mese – in caso di vittoria del Sì al referendum – al momento non sono quantificabili.
Continua a far discutere l’aspetto del referendum costituzionale relativo al contenimento dei costi della politica. Secondo l’avvocato cassazionista Anna Falcone – che cita i dati della Ragioneria generale dello Stato – i risparmi portati dalla riforma ammontano a poco meno di 50 milioni di euro. Secondo l’avvocato Falcone si poteva intervenire su moltissime voci di bilancio – a partire dagli emolumenti dei parlamentari – anziché “stravolgere la Costituzione”. Secondo l’avvocato – intervenuto sulle colonne di Panorama – il governo per ridurre i costi della politica non deve “intaccare l’equilibrio democratico delle istituzioni”. Per Anna Falcone, anzi, le spese di Palazzo Chigi aumentano: “È un altro dato che dimostra l’incoerenza tra le politiche concretamente perseguite da questo governo e la propaganda per il Sì, a sostegno della riforma costituzionale”. Per l’avvocato cassazionista, dunque, la riforma della Costituzione non deve occuparsi della riduzione dei costi della politica, ma di migliorare la qualità democratica del Paese.
Critiche al contenimento dei costi della politica prospettate dalla riforma costituzionale oggetto del referendum dal 4 dicembre arrivano dal Comitato per il no. Riguardo a questo punto della riforma voluta dal governo Renzi il Comitato per il no sostiene che i costi della politica non diminuirebbero in maniera sostanziale. Questa è infatti una delle ragioni del no, come si legge sul sito del Comitato (www.referendumcostituzionale.online): “i costi del Senato sono ridotti solo di un quinto e se il problema sono i costi perché non dimezzare i deputati della Camera?”. Dunque in vista del voto di domenica prossima il Comitato per il no lancia questo appello agli elettori: “Salvaguardare la democrazia oggi, è garantire la propria libera voce domani! Questa è una riforma che non riduce i costi, non migliora la qualità dell’iter legislativo, ma scippa la sovranità dalle mani del popolo! Diciamo NO allo scempio della Costituzione attuato attraverso una riforma che sottrae poteri ai cittadini e mortifica il Parlamento! Diciamo NO alla legge oltraggio che, calpestando la volontà del corpo elettorale, instaura un regime politico fondato sul governo del partito unico!”.
Il contenimento dei costi della politica è uno dei punti del referendum sulla riforma costituzionale per il quale gli italiani saranno chiamati a decidere domenica prossima 4 dicembre. Secondo il Comitato per il sì (www.bastaunsi.it), la cifra sul risparmio “si aggira intorno a 500 milioni di euro all’anno – cui andrebbero aggiunti gli enormi risparmi che deriveranno dall’abolizione del contenzioso tra Stato e Regioni, in termini di efficienza, coordinamento, riduzione dei tempi di realizzazione delle opere, dei loro costi, e quindi degli effetti positivi di queste realizzazioni sul territorio”. Ma in vista del voto il Comitato per il sì sottolinea che il contenimento dei costi della politica che deriverebbe da una vittoria del no al referendum sulla riforma costituzionale sarebbe “pari a zero”: “continueremmo a pagare gli stipendi a 315 senatori e a non ridurre quelli dei consiglieri regionali. Continueremmo a rimborsare i gruppi consiliari regionali, che alimentano solo corruzione e abusi (e non a caso sono sempre al centro di moltissimi scandali politici recenti). Continueremmo a pagare il CNEL, un carrozzone pubblico da un miliardo di euro, ormai inutile e superato, e a mantenere in vita le Provincie, a botte di 320 milioni all’anno”.
Uno dei quesiti posti dal referendum sulla riforma della Costituzione riguarda la riduzione del numero dei parlamentari, attraverso cui il Governo punta al contenimento dei costi delle istituzioni. Cosa cambierà? È prevista, ad esempio, la soppressione delle Province, che saranno sostituite dalle Città Metropolitane, ma non è da escludere anche la creazione di Enti di Area Vasta con la vittoria del sì al referendum. Il contenimento dei costi passa anche dal quesito sul superamento del bicameralismo paritario, perché i senatori non riceveranno più uno stipendio, visto che si tratterà di sindaci o consiglieri regionali, che percepiscono già un’indennità. I deputati, però, continueranno a percepire lo stipendio previsto già. Un’incongruenza? A voi il giudizio nel merito, ma sta di fatto che diminuiranno i senatori, che attualmente sono 315, mentre non ci saranno modifiche sul numero dei deputati, che quindi resteranno 630.
Cosa prevede la riforma della Costituzione per quanto riguarda il contenimento dei costi delle istituzioni? Si tratta di uno dei punti cardine del referendum per il quale andremo a votare il 4 dicembre. Il testo della riforma prevede la riduzione del numero dei parlamentari: il nuovo Senato, che sarà composto da sindaci o consiglieri regionali che non percepiranno alcun stipendio aggiuntivo (la cosiddetta indennità di carica), sarà composto da 100 membri, di cui 5 nominati dal Capo dello Stato. Considerando che attualmente i senatori sono 315 e che ad ognuno di loro spetta l’indennità di carica, è evidente che la riforma porta ad una riduzione sostanziale dei costi delle istituzioni e, quindi, della politica. Inoltre, verrà abolito il CNEL, costituito da 65 membri, mentre i consiglieri regionali non percepiranno un’indennità più alta di quella percepita dal sindaco del capoluogo di regione. Non è previsto poi il finanziamento pubblico per i gruppi regionali. L’ipotesi dei sostenitori del “sì” per il referendum costituzionale è un risparmio di un miliardo di euro all’anno.