Il dibattito che ha accompagnato la campagna referendaria è stato prevalentemente animato — come era inevitabile — dalle contingenze politiche ed economiche in cui versa il Paese, sia interne sia derivanti dalla nostra appartenenza a livelli di governo sovranazionali e internazionali. Come ha detto il presidente Mattarella rispondendo alle dichiarazione di un diplomatico Usa, il popolo italiano è sovrano e come tale deciderà sul referendum; e tuttavia, siamo dentro un contesto che ci osserva, ed è giusto che sia così.
Quanto al merito della riforma, è difficile ora discernere con piena cognizione di causa le tesi degli opposti schieramenti. Se non prevale la consapevolezza che si stanno affrontando temi complessi e che la linea tra il Sì e il No non è netta ma comporta scelte di valore e sentimenti perciò stesso degni di rispetto, non sarà facile ricominciare a costruire il giorno dopo il voto.
Ricapitolando i pensieri che si sono andati formando di dibattito in dibattito, mi pare che si possa dire, in primo luogo, che è ragionevole votare una sola volta e su tutta la riforma; il disegno globale è per sua natura unico: si ristruttura il Senato per dare alle Regioni una voce a livello nazionale e nel contempo si ripensa al riparto di competenze legislative tra i due livelli di governo. In tal modo è la produzione legislativa (sostanziale e procedurale) nel suo insieme che viene innovata, ponendo le basi per poter affrontare con un quadro costituzionale organico i due problemi principali del nostro impianto istituzionale, il bicameralismo perfetto e la correzione di una riforma sbagliata quale quella del Titolo V, Parte seconda, della nostra Costituzione. Questo è il disegno a cui porre attenzione per farsi una idea su quale sia la direzione di marcia.
Quanto alla riforma del regionalismo — forse il tema più dibattuto ma anche il più complesso da mettere a fuoco — la valutazione della bontà delle scelte compiute dalla riforma si basa su un dato molto semplice: oggi, soprattutto a seguito degli interventi della Corte costituzionale, non vi è praticamente più nulla che corrisponda alla lettera della Costituzione, così come formulata nell’art. 117. E’ per questo che occorre riportare le cose al punto di partenza e riscrivere ex novo proprio questo articolo.
Il testo proposto compie due scelte: da un lato tenta un’operazione di mediazione rispetto alla giurisprudenza costituzionale, assecondandola dove necessario e, dall’altro, prefigura un nuovo modello di riparto che superi la logica della “concorrenza” secondo cui allo Stato spetta definire i principi e alle Regioni, in subordine, di regolamentare i dettagli della materia.
Creando una sorta di parificazione tra i due livelli di governo, stabilisce infatti che, nelle materie del welfare state, allo Stato spetti in esclusiva legiferare sulle disposizioni generali e comuni e alle Regioni fare la stessa operazione rispetto alla programmazione e organizzazione dei servizi stessi.
Siamo in presenza, dunque, non di una semplice centralizzazione bensì di un tentativo di superamento dell’esistente verso una nuova logica. Essa andrà certamente “sperimentata” sul campo e, tuttavia, si tratta a mio parere di un tentativo da prendere in considerazione. La paura del cambiamento non sembra essere, in questo caso, la migliore consigliera, anche e soprattutto per lo stato attuale delle cose, molto negativo e confondente.