Appare come uno dei più competenti, dei più ragionevoli e dei più consapevoli nello scontro che si sta vivendo con questo referendum costituzionale. Forse Luciano Violante ha avuto il merito e la fortuna di essere un giurista che ha fatto prima il magistrato. Poi ha ricoperto incarichi politici di primo piano. E’ stato presidente della Commissione antimafia in anni terribili, dal 1992 al 1994, e poi presidente della Camera dei deputati dal 1996 al 2001. Conosce il diritto e la giurisprudenza (la insegna) ma riesce anche a coniugarla con il realismo della politica, con la necessità di superare i grandi scontri e arrivare a una sintesi funzionale. In questo acceso dibattito politico, Violante si è schierato per il Sì mantenendo sempre una certa compostezza e non scendendo mai in quelli che a volte sono sembrati toni da rissa. Anche nel fare un bilancio della campagna referendaria, Violante non è ultimativo.
Come le è sembrato questo scontro, presidente?
C’è stato un conflitto, uno scontro democratico. Sarebbe inquietante se la pensassimo tutti allo stesso modo. Ci saranno state anche cadute di stile in alcuni confronti, ma personalmente questo non mi è capitato. Un conflitto di questo tipo inevitabilmente divide e se dovessi trarre un giudizio finale, io credo che i toni siano stati prevalentemente civili. È stata colta la differenza di fondo. Il Sì produce un cambiamento positivo; il No non solo difende l’esistente, ma ne legittima le deviazioni più pericolose. E domani chi potrà obiettare a un governo l’abuso dei decreti legge, se i cittadini avranno respinto le norme sulla loro limitazione?
In questi mesi, discutendo sul referendum, sono emersi e sono apparsi anche comprensibili i veri problemi in questione, i nodi di carattere costituzionale che sono oggetto della riforma?
Penso di sì, credo che alla fine il nocciolo della questione sia emerso e sia stato compreso. Il problema è che tante volte a questo confronto si è sostituito il giudizio sulla politica del governo Renzi, la critica verso la politica del premier. Tutto questo spostava i termini reali della discussione che era e resta la riforma costituzionale.
Mi rivolgo al giurista e chiedo: mi dica tre elementi fondamentali di carattere giuridico-costituzionale per votare Sì.
Glieli elenco: innanzitutto la stabilità del sistema; poi la necessaria rapidità nella decisione politica; infine il potenziamento dei diritti dei cittadini e dell’opposizione parlamentare.
Ora mi rivolgo all’uomo politico, a uno dei protagonisti della vita politica italiana. Vorrei ancora l’indicazione di tre elementi prioritari.
Le rispondo: il primo è quello di fare un paese competitivo; ridurre il policentrismo anarchico — più centri decisionali, statali, regionali e locali, non coordinati tra loro; il terzo è la costituzione di una democrazia sobria, anche meno costosa.
Non si può negare che, rispetto al dibattito in Assemblea costituente 70 anni fa, si avverta una diversa maturità politica. E’ la legge fondamentale, ma ha pure i suoi anni e alcune sue parti vanno adeguate ai mutamenti storici e sociali, non le pare che sarebbe un fatto da affrontare e spiegare con una certa tranquillità?
Sono d’accordo con lei che si può notare, a volte, un certo bigottismo costituzionale. Ci sono i diritti fondamentali della Costituzione, la prima parte tanto per intenderci, che non vanno toccati. Ma poi ci sono “le gambe” con cui si cammina, con cui si organizza il modo di governare che deve essere riadattato. E ci sono anche i problemi nuovi della modernità: pensi solamente ai problemi che esistono oggi tra riservatezza e sicurezza, in alcuni casi, per fare un esempio.
I costituenti del 1948, pur nella diversità spesso totale delle opinioni politiche, fecero salti mortali, chiusero gli occhi su molti problemi, ma trovarono un accordo virtuoso che si basava proprio su quello che può essere definito realismo democratico.
E’ vero. Ma per arrivare a quello che lei chiama realismo democratico ci vuole una classe politica che abbia superato grandi prove. E la classe politica della Costituente queste prove le aveva affrontate e superate, aveva una comune esperienza che la portava per cultura ed esperienza alla comprensione e al compromesso virtuoso del realismo democratico.
Si può pensare al referendum come a un primo passaggio della riforma costituzionale e quindi immaginare una sorta di “cantiere aperto” che può portare ad altre riforme oltre alla modifica di questi 47 articoli?
No, lo escludo. Un “cantiere aperto” genererebbe solo incertezza e questo diventa impossibile quando si tratta della Costituzione. Ritengo piuttosto che se vincerà il Sì si potranno aprire le porte per altre riforme importanti nel nostro sistema. In più vorrei specificare che gli articoli che vengono modificati non sono 47, ma solo una decina, il resto riguarda correzioni consequenziali.
Vorrei farle due altre domande, presidente. La prima riguarda il comportamento di Matteo Renzi nella gestione di questa campagna referendaria. Che ne pensa?
Nella prima fase, quando ha personalizzato il tema della riforma, ha probabilmente sbagliato. Ma poi si è corretto, ha ammesso lui stesso di avere impostato male la campagna referendaria. In questa ultima fase, mi sembra invece che si sia comportato sostanzialmente bene.
La seconda domanda ripete l’inizio di questo nostro dialogo. Io credo che ci siano stati spesso momenti di rissa e si sia arrivati a una profonda spaccatura politica nel Paese. Che ne pensa?
Ma questo è un conflitto su un problema che divide. Pensi alle divisioni che ci sono state in passato sul altri referendum, come il divorzio, l’aborto. E’ nella natura della politica e di un referendum, vedere e assistere a uno scontro di questo tipo.
Ancora un’ultimissima considerazione. Lei ha visto come è nata la questione della riforma costituzionale. Si partì dalla Commissione Bozzi, nel 1983, dalle proposte avanzate da Craxi, poi si arrivò alla Commissione Jotti fino alla Bicamerale di D’Alema. Che cosa ne pensa di tutti questi tentativi ?
Non sono stati inutili. Alle spalle di questa riforma ci sono trent’anni di studi e di confronti che non vanno banalizzati.
(Gianluigi Da Rold)