“Sono sicuro che gli italiani non baratteranno la loro primogenitura democratica per un piatto di lenticchie”, dicendo sì a chi vuole “sottomettere definitivamente la Costituzione agli ordini delle banche e di Bruxelles”. A dirlo è Matteo Salvini, segretario federale della Lega Nord dal 2013. Il “diversamente Matteo” ha moderato i toni, in questa campagna elettorale al calor bianco, per sottrarre quanti più moderati possibili alle sirene renziane, ma il No alla riforma costituzionale Renzi-Boschi è totale, senza sconti. Lo accusano di essere andato a destra, ma lui ribadisce il progetto originale della Lega: “contro una riforma statalista, noi proponiamo un paese federale, radicalmente federale, dove sia premiata la responsabilità degli amministratori e l’autonomia dei territori”.
Salvini, come commenta le recenti parole di Renzi? “Votare Sì per rottamare la casta”.
Renzi ha perfettamente ragione: votare No per rottamare la casta, la sua casta di riciclati e di voltagabbana che non solo hanno fatto danni per tre anni senza essere legittimati dal voto popolare, ma addirittura hanno cambiato la Costituzione nella speranza di garantirsi il potere per i prossimi cinquant’anni.
Lei che lettura dà degli endorsement ricevuti da Juncker, Schäuble e Prodi?
Sono dichiarazioni pienamente legittime, ma soprattutto sorprendentemente coerenti con lo spirito di questa contro-riforma: sottomettere definitivamente la Costituzione agli ordini delle banche e di Bruxelles. Non è un caso che tra le competenze rimaste in mano anche al Senato ci sia la ratifica degli accordi comunitari e che siano vietati i referendum internazionali: l’incubo di questi potenti è che in Italia vinca una forza politica che permetta agli italiani di votare se restare o meno nell’Unione Europea.
Si vota su una riforma costituzionale che riguarda 47 articoli della Carta. Questa riforma può piacere o non piacere; però lei parla sempre di Europa. Vuole spiegare bene a chi ci legge cosa c’entra una cosa con l’altra?
Le due cose c’entrano eccome. Prima di tutto perché politicamente è l’Unione Europea ad avvantaggiarsi della compressione di spazi democratici, nel terrore che si affermino quelle forze che vogliono far uscire il Paese dalla gabbia di Bruxelles; in secondo luogo perché con l’introduzione esplicita dell’Unione Europea nella nostra Costituzione vogliono porre rimedio all’evidente contrasto tra i princìpi che regolano la nostra Carta e gli interessi multinazionali che stanno alla base delle cosiddette politiche di austerity.
Ma la sovranità che non abbiamo più l’abbiamo ceduta noi.
Finora la legittimazione legale e costituzionale delle nostre cessioni di sovranità è stata rinvenuta in modo molto discutibile nel dettato di alcuni articoli che furono scritti pensando a scenari completamente diversi. Ad esempio l’articolo 11, quello per cui l’Italia ripudia la guerra, prevede sì riduzioni di sovranità, ma certamente non ci si riferiva ad un Unione Europea ancora da costruire, bensì ad un’alleanza militare che serviva a contenere il pericolo comunista. E’ stato solo fondandosi su interpretazioni assai elastiche di articoli come questo che in questi anni è stata agganciata giuridicamente la nostra Costituzione all’ordinamento europeo.
E Renzi?
Renzi vuole mettere nero su bianco che la prima fonte normativa per l’Italia non deve essere più la Costituzione, ma l’agenda della Merkel o di Mario Draghi.
Che cosa non va in questa riforma, Salvini? Perché lei vota No?
Oltre a quanto già detto, che basterebbe per un No più che convinto, c’è nella riforma Boschi anche la mutilazione di ogni competenza e di ogni sovranità dei territori che costituiscono le autonomie locali. Se sciaguratamente vincesse il Sì interromperemmo il cammino per un Paese che si costruisce sul piano orizzontale secondo la contrattazione tra autonomie locali e Roma per sprofondare di nuovo in una concezione dello Stato paternalistica, dove tutti siamo gerarchicamente sottomessi al Governo, senza alcuna riserva di libertà nemmeno nelle poche competenze esclusive rimaste in capo alle Regioni sulle quali penderebbe la clausola di supremazia dello Stato.
Ancora tanti italiani associano la Lega al federalismo. Ora però non sembra più questo il centro della sua politica. Ma allora lei Salvini cosa vuole esattamente?
Noi ci batteremo sempre per costruire un paese federale, dove il potere decisionale sia quanto più vicino ai cittadini che lo vivono: più poteri ai sindaci, abolizione delle prefetture, elezione diretta del presidente della provincia perché si occupi di far rete tra i piccoli centri che sono il nostro vero patrimonio, più risorse alle Regioni. Lo Stato deve tornare a essere la casa di cui sono padroni non i suoi funzionari, ma tutti i cittadini dei territori che lo compongono.
Le Regioni erano un vostro pallino. Cosa non va bene nella riforma Renzi-Boschi del titolo V?
Tutto, ripeto, tutto. Dall’albero dello statalismo spuntano sempre frutti marci.
Il No non ha nulla da proporre: Renzi ha molto insistito su questo. Lei che cosa propone, Salvini? Che cosa serve oggi al paese?
Noi proponiamo un paese federale, radicalmente federale, dove sia premiata la responsabilità degli amministratori e l’autonomia dei territori, un paese che può fare a meno delle prefetture e del presidente della Repubblica, ma che non può fare più a meno del vincolo di mandato per i suoi parlamentari, di un premier eletto direttamente dai cittadini, della possibilità di fare referendum sui trattati internazionali.
Questo giornale, quando Renzi ha detto che il No tiene dentro tutto il vecchio e il brutto possibile, ha pubblicato in risposta un articolo che ribaltava l’idea: il No, fatto di comitati, associazioni, giornali, partiti politici da Sinistra Italiana e FI fino a M5s e alla Lega, non è uno scarto ma una ricchezza e una risorsa del paese. Questo significa qualcosa per lei?
La tentazione è quella di pensare al Cln e di parafrasare Beppe Fenoglio, uno dei miei autori preferiti, e dire che quella contro questa riforma, prima ancora di un fatto politico, è un’assoluta, integrale e potente rivendicazione del gusto e della misura contro il tragico carnevale renziano. Dal 5 dicembre ognuno prenderà la propria strada; mi auguro che la memoria di questi giorni aiuti in futuro a disegnare un perimetro condiviso per un confronto più sensato, più normale, più politico.
In concreto, se vincesse il No, lei andrebbe a un tavolo per tentare una riforma condivisa, come ha auspicato Berlusconi?
Io non mi siedo a nessun tavolo con nessuno per scrivere nessuna riforma, se prima la parola non passerà agli italiani perché decidano con il loro voto quale futuro del Paese premiare e quale bocciare.
Se vince il Sì, lei che cosa farà?
Accetterò il risultato con umiltà, ma sono sicuro che gli italiani non baratteranno la loro primogenitura democratica per un piatto di lenticchie.
E se vince il No?
Sicuramente non mi perderò il viso contrito del giornalista Rai che dovrà dare la notizia della vittoria del No, ma un secondo dopo sarò già al lavoro perché gli elettori possano tornare padroni del proprio destino, eleggendo finalmente un governo che sia espressione della maggioranza reale del Paese.
(Federico Ferraù)