Tra i quesiti oggetti del referendum confermativo che si propone di effettuare una riforma della costituzione, uno di quelli maggiormente discussi è quello relativo al superamento del bicameralismo paritato (o perfetto). In questo caso ci si riferisce dunque al rapporto tra i due rami del Parlamento, Camera e Senato, con quest’ultimo che nell’eventualità di una vittoria del Sì sarà composto da 74 Consiglieri regionali, 21 Sindaci e 5 senatori indicati dal Capo dello Stato. Tra i motivi che vedono gran parte dell’opposizione schierata contro la riforma c’è anche il rischio di un’ingovernabilità in caso di vittoria del centrodestra paventato nel corso degli ultimi giorni di campagna elettorale da Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia ha ricordato che se anche alle prossime Politiche il centrodestra dovesse prevalere, il fatto che il centrosinistra detiene il controllo di 17 regioni su 20 farebbe sì che proprio il Senato risulti una roccaforte renziana inespugnabile poiché il segretario del Pd “nominerà sindaco suoi e consiglieri regionali che avranno il 60% del Senato”. Se questa tesi venisse confermata, la reale semplificazione del sistema politico italiano verrebbe messa in dubbio.  



Una delle novità che propone la riforma della Costituzione per quanto riguarda il superamento del bicameralismo paritario (o perfetto) riguarda il procedimento in tempi certi: verranno, infatti, regolate precisamente le tempistiche a disposizione di Camera e Senato per la discussione di una proposta di legge. Se il decreto legge è giudicato “essenziale per l’attuazione del programma”, può essere discusso prima dalla Camera, che ha 5 giorni per accettare o respingere la richiesta. Nel primo caso ha 70 giorni per votare definitivamente la legge, mentre il Senato ha solo 15 giorni per proporre modifiche. Questo procedimento non può essere impiegato per le leggi bicamerali e i testi di legge su bilancio, ratifica dei trattati internazionali, elettorali, di amnistia e indulto. I sostenitori del Sì sono convinti che così il Parlamento diventa più efficiente nella promozione delle leggi, anche perché non avrebbe bisogno di porre la fiducia o ricorrere ai decreti d’urgenza. I sostenitori del No, invece, ritengono che le leggi possano essere promosse in tempi brevi anche con il bicameralismo paritario, inoltre le tipologie diverse di procedimenti legislativi potrebbe “paralizzare” il lavoro parlamentare.



Secondo alcuni ci sono aspetti della riforma della Costituzione proposta dal governo di Matteo Renzi che ricalcano quella di Silvio Berlusconi, bocciata nel referendum del 2006. Mettiamo allora a confronto le due riforme del Senato, entrambe caratterizzate dalla fine del bicameralismo paritario (o perfetto): l’ex premier proponeva un senato federale, un organo cioè composto dai rappresentanti delle comunità locali che sarebbero passati da 315 a 252; inoltre, ogni regione avrebbe dovuto eleggere almeno sei senatori, a cui aggiungere 42 delegati delle regioni, mentre i senatori a vita erano sostituti dai deputati a vita, che potevano essere solo tre. Il Senato, con la riforma voluta da Renzi, diventa un organo di raccordo tra lo Stato, le regioni e i comuni che non può accordare la fiducia al governo; il numero dei senatori scende a 100, di cui 95 eletti dai consigli regionali (21 sindaci e 74 consiglieri regionali) e altri 5 nominati dal presidente della Repubblica. In questo modo spariscono i senatori a vita. 



Nel caso in cui vincesse il Sì al referendum costituzionale, il bicameralismo paritario sarà solo un’eccezione. Nella riforma della Costituzione sono stati specificati i casi che prevedono leggi bicamerali, cioè quelle il cui testo va approvato dalla Camera e dal Senato e che hanno una particolare forza: possono essere modificate o abrogate solo da un’altra legge bicamerale. Queste leggi possono essere raggruppate in tre categorie: leggi di sistema, relative al Senato e relative agli enti territoriali. Tra le leggi di sistema ci sono quelle costituzionali, quelle che disciplinano il referendum e quelle sui trattati e le politiche europee. Tra le leggi relative al Senato ci sono le norme elettorali da applicare al Senato, la disciplina dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità dei senatori. Infine, il gruppo più ampio, cioè quello delle leggi relative agli enti territoriali: ne fanno parte quelle leggi che disciplinano l’organizzazione dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Regioni. Per queste leggi, dunque, è previsto un coinvolgimento del Senato. Il governo non potrà usare lo strumento del “voto a data certa”, ma potrà procedere per decreto legge.

Con il superamento del bicameralismo paritario previsto dalla riforma costituzionale solo la Camera dei Deputati avrà il potere legislativo pieno su tutte le leggi. A spiegare il nuovo meccanismo per quanto riguarda l’approvazione delle leggi è il Comitato per il sì che sottolinea che nel caso di vittoria del no tutte le leggi continueranno ad essere discusse e approvate sia dalla Camera sia dal Senato. Il Comitato per il sì spiega che il nuovo articolo 70 della Costituzione si divide in due parti: la prima, che stabilisce puntualmente quali sono le leggi la cui approvazione resta bicamerale, e la seconda, che stabilisce la competenza esclusiva della Camera rispetto all’approvazione di tutte le altre leggi. Non è stata eliminata direttamente la possibilità, per il Senato, di intervenire nel procedimento legislativo perché “se il Senato diviene camera delle autonomie, è coerente con il nuovo assetto istituzionale che questo abbia la facoltà di esprimersi in maniera vincolante sulle leggi che incidono sugli enti territoriali”.

LA NUOVA COMPOSIZIONE – Punta soprattutto sul superamento del bicameralismo paritario la riforma costituzionale che domenica prossima 4 dicembre sarà oggetto del referendum confermativo. L’articolo 57 della nuova Costituzione disciplina la composizione del Senato e ne innova anche le funzioni: stabilisce, come riporta il sito del Comitato per il sì (www.bastaunsi.it) che ‘Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica’. Con il superamento del bicameralismo paritario il nuovo Senato sarà quindi composto da 74 Consiglieri regionali, 21 Sindaci e 5 senatori indicati dal Capo dello Stato. Viene abrogato ogni riferimento rispetto alla precedente composizione del Senato, che attualmente conta 315 componenti. Secondo il Comitato per il no (www.referendumcostituzionale.online) la riforma non provoca invece il superamento del bicameralismo paritario ma “lo rende più confuso e crea conflitti di competenza tra Stato e regioni, tra Camera e nuovo Senato”.

Il superamento del bicameralismo paritario, o perfetto, è uno dei cardini della riforma sulla Costituzione, per quale si svolgerà il 4 dicembre 2016 il referendum popolare confermativo. Si tratta, infatti, del “cuore” della riforma, perché il Senato, che ha poteri identici ora alla Camera nel percorso di approvazione di una legge, diventerebbe organo di rappresentanza delle istituzioni territoriali. Nell’attuale procedimento legislativo una legge deve essere approvata da entrambi i rami del Parlamento, quindi se il Senato modifica una legge, questa viene rimandata alla Camera per l’approvazione con o senza ulteriori cambiamenti. Nel primo caso potrebbe generarsi una sorta di “ping pong” infinito, motivo per il quale i detrattori considerano questo sistema un ostacolo per il funzionamento del Parlamento. Il bicameralismo paritario, però, rappresenta per i suoi sostenitori una garanzia contro la promulgazione di leggi con errori. Il bicameralismo paritario, dunque, pone un problema di qualità delle leggi, mentre la riforma propone un sistema che dovrebbe semplificare il procedimento legislativo.  

Il bicameralismo paritario è un sistema che non verrà cancellato completamente dalla riforma sulla Costituzione per la quale è previsto il 4 dicembre il referendum. Rimarrà in vigore, infatti, per le leggi di revisione della Costituzione, per i referendum e le altre forme di consultazione, per le leggi sulle funzioni e le istituzioni dei Comuni e delle Città Metropolitane, per le leggi di ratifica dei trattati internazionali e per quelle sul funzionamento delle Regioni, che rappresentano però meno del 5% dell’attività legislativa del Parlamento. Per le leggi che rientrano nell’altro 95%, invece, l’approvazione arriverà solo dalla Camera dei deputati. Possono essere esaminate dal Senato solo se lo richiede entro 10 giorni dall’approvazione della Camera, ma è necessario che la richiesta sia voluta da un terzo dei suoi membri. In tal caso il Senato può proporre modifiche, ma l’ultima parola spetta comunque alla Camera, che poi può promulgare in via definitiva la legge in questione.