Ancora pochi minuti e poi sapremo se il referendum costituzionale 2016 si sarà concluso con una vittoria dei Sì o dei No. Ma cosa accadrebbe in Italia nel caso in cui a trionfare fossero le riforme disegnate dall’esecutivo guidato da Matteo Renzi? L’ex Presidente del Consiglio ha pochi dubbi al riguardo, ed è per questo che in una delle ultime interviste rilasciate al programma Agorà su Rai Tre prima del silenzio elettorale ha dichiarato:”Questo referendum è pericoloso per la democrazia, se vince il sì Renzi diventa padrone del Partito Democratico, padrone del Senato, padrone della Camera, insomma padrone dell’Italia e degli italiani. Il rischio è che siamo fuori dalla democrazia”. Non è la prima volta che il leader di Forza Italia mette in guardia gli elettori dal rischio di quella che ha definito a più riprese una “deriva autoritaria”: gli italiani recatisi a votare avranno prestato ascolto ai suoi avvertimenti?
Ultima ora di voto a disposizione per gli elettori che devono ancora andare al seggio. Alle 23, infatti, chiuderanno i seggi del referendum costituzionale che ha catalizzato da mesi l’attenzione dei media e riempito salotti tv e talk show e- in parte – anche le piazze. La percentuale di votanti alle 19 ha fatto registrare un’affluenza molto alta, pari al 57,24% (media nazionale). Un’affluenza che i leader forse non si aspettavano, soprattutto quelli dell’opposizione alla riforma Renzi-Boschi e al governo (Renzi). Forse per questo Grillo, quando si è recato al seggio, ha detto che avrebbe accettato il voto in presenza di entrambi i risultati ma, è inutile precisarlo anche se Grillo non ha specificato, soprattutto in presenza di una vittoria del Sì. Ma Grillo ha aggiunto anche dell’altro, secondo qunto riportato dall’Huffington Post, mettendo paletti ben precisi al governo Renzi: “Io credo che qualunque sia il responso, noi siamo decisi ad andare a elezioni in modo che poi, se verrà confermata questa leadership, rispetteremo il verdetto”. Il leader pentastellato chiede dunque elezioni politiche. Sul futuro del M5S, Grillo ha detto che da martedì “cominceremo sulla rete a condividere il programma su energia, politica estera difesa: cominciamo a lavorare. Stiamo lavorando già sulle persone”. Il programma, ha spiegato Grillo, “integrerà le cose non dette nel 2013”. A scegliere, in caso di vittoria del No, l’eventuale squadra di governo, sarà la rete: “Non avete ancora capito? Sceglierà la rete le persone: sono tutte cose condivise”.
Mancano poche ore alla chiusura dei seggi (ore 23) del referendum costituzionale con cui gli italiani sono chiamati a promuovere o bocciare la riforma Renzi-Boschi. Mentre alle 19 la percentuale votanti si è attestata al 57,21% a livello nazionale, arrivano le dichiarazioni di Beppe Grillo, fondatore e capo carismatico del Movimento 5 Stelle. Grillo si è recato al seggio del quartiere Sant’Ilario di Genova e si è fatto immortalare dai fotografi mentre succhia la matita, con evidente allusione alle polemiche di oggi, montate quando Piero Pelù ha scatenato siti e social dicendo che le matite diffuse dal ministero dell’Interno si potevano cancellare. Matita a parte, “Rispetteremo il verdetto. Qualunque sia”, ha detto Grillo. Non è facile attribuire un senso alle sue parole, anche se potrebbero suggerire che, data l’affluenza molto alta, la riforma costituzionale sta andando incontro – secondo Grillo – all’approvazione dei cittadini. Meglio quindi “anticipare” le mosse del “dopo”, preparando il campo: “Abbiamo fatto un grande lavoro, quindi l’importante, se dovessimo perdere, è non dare colpe a nessuno, abbiamo lavorato tutti bene. Se gli italiani hanno scelto una cosa diversa noi la rispettiamo”.
In attesa di sapere se gli italiani approveranno o bocceranno la riforma costituzionale Renzi-Boschi, votando Sì o No al referendum costituzionale di oggi (i seggi chiuderanno alle 23), ci soffermiamo su come la pensano gli esperti. Il costituzionalista Giovanni Guzzetta, esponente del fronte del Sì per il referendum costituzionale, è intervenuto nella trasmissione Coffee Break di La7 per esprimere le idee chiave della sua posizione e quindi le sue ragioni. Di risposta alle parole del professore Guido Calvi, Guzzetta ha insistito sul tema basilare di questa revisione, che coincide con l’annullamento del bicameralismo perfetto. Il costituzionalista ha affermato che l’Italia non è che uno dei pochissimi Paesi al mondo ad utilizzare questo anacronistico sistema: le azioni del governo, pur essendo giustamente controllate in maniera attenta dal senato subiscono un rallentamento indescrivibile a causa della presenza di due camere ingombranti che, nella sostanza, svolgono la medesima funzione. Non è pensabile, sostiene Guzzetta, che un grande Paese come l’Italia abbia ancora un sistema del genere e non riesce, così, a mettersi al passo con le altre grandi democrazie europee e non solo. Inoltre, i dati testimoniano che la maggior parte dei provvedimenti attuati dal governo vengono varati tramite decreti legge, che non sono altro che un sistema per bypassare il lunghissimo iter parlamentare delle leggi. A questo punto conviene trovare, secondo Guzzetta, un nuovo sistema che possa realmente essere utile al governo e che non debba costringerlo all’utilizzo di decreti legge per superare il Parlamento: l’occasione si presenta con questo referendum. Clicca qui per il video del confronto tra Guzzetta e Calvi.
Oggi gli italiani sono chiamati alle urne per votare Sì o No al referendum costituzionale sulla riforma Renzi-Boschi. Gli elettori si sono trovati sulla scheda un lungo quesito: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione’, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?”. Se vince il Sì, ma anche se vince il No, si attende la sentenza della Corte costituzionale sull’Italicum, la legge elettorale maggioritaria già in vigore per l’elezione dei deputati; Se la Consulta dovesse bocciare l’Italicum, come è probabile, il parlamento dovrebbe fare una nuova legge elettorale. Ma deputati e senatori devono anche fare una legge elettorale apposita per l’elezione del nuovo Senato delle autonomie, ossia la nuova “camera alta” composta da sindaci e da consiglieri regionali, e che per il momento esiste solo sulla carta ed è sprovvista di una legge elettorale. Infine, la riforma, se approvata con il Sì degli italiani, necessita di una lunga serie di leggi attuative delle nuove disposizioni costituzionali previste nelle modifiche a 47 articoli del testo oggi in vigore.
Anche Cesare Pinelli, docente di diritto costituzionale presso l’università “La Sapienza” di Roma, ha partecipato al dibattito relativo al referendum costituzionale. Il professore, ospite di Coffee Break, la trasmissione di La7 a cura di Andrea Pancani, si è espresso sul tema del referendum costituzionale: secondo Pinelli l’approvazione della riforma si rende quanto mai necessaria per eliminare la duplicazione attuale delle camere, che in sostanza svolgono la stessa funzione e che, dunque, rappresentano soltanto un ostacolo alla promozione di nuove leggi e provvedimenti. Proprio a causa di un bicameralismo paritario ormai in vigore da decenni, il governo si trova costretto a portare in Parlamento i decreti legge, che come sappiamo devono attraversare un iter molto lungo che ne modifica in maniera sostanziale il contenuto originario. L’elezione indiretta dei senatori, prosegue Pinelli, non è una limitazione della democrazia come sostengono gli esponenti del no, ma un mero avvicinamento degli stessi agli interessi regionali ed un’apertura al confronto fra regioni, Stato e comuni. Ci sarà, dunque, una nuova e forte “valenza territoriale” del Senato in contrapposizione alle sue attuali prerogative. Clicca qui per il video del confronto tra Pinelli e Carlassare.
Luciano Violante, presidente della Camera tra il 1996 ed il 2001, conosce molto bene il tema sottoposto al referendum, cioè la riforma della Costituzione. Ospite dello studio di Coffee Break, programma di La7 condotto da Andrea Pancani, Violante ha prima precisato che la riforma in atto non è sicuramente esente da alcuni difetti, o meglio che non si può pretendere che questa revisione centri in pieno tutti i problemi istituzionali e le lentezze burocratiche dell’Italia. Nonostante ciò, paragonando la situazione attuale a quella del ’48, Violante ha dichiarato che la critica contemporanea tende sempre a reagire con sfiducia a dei cambiamenti di questa portata, quando in realtà spesso si rivelano degli efficaci ammodernamenti della macchina burocratica. Viene meno, prosegue l’ex presidente della Camera, anche uno dei principali cavalli di battaglia nel fronte del no, ovvero il concetto di fine della democrazia imposta con questa riforma. In realtà – sostiene Violante – i cittadini sarebbero, indirettamente, in grado di avere i propri rappresentanti in Senato votando i consiglieri regionali. Il Senato così formato sarebbe sicuramente sempre più vicino alle regioni e preserverebbe l’azione di controllo sul governo, che è poi uno dei princìpi su cui si fonda questo stesso organismo. In conclusione, rispondendo al professore Pasquino in collegamento con lo studio, Violante dice che il vero limite del fronte del “no” consiste nell’assenza di una proposta: in poche parole la bocciatura voluta dai contrari rinvierebbe a data da destinarsi una riforma che potrebbe contenere delle imperfezioni, ma che nonostante ciò rappresenta un’importante occasione di cambiamento per il Paese. Clicca qui per il video del confronto tra Violante e Pasquino.
Si è chiusa ieri l’ultima giornata di campagna elettorale per il referendum costituzionale del 4 dicembre. Il costituzionalista Carlo Fusaro, ospite alla trasmissione Coffee Break di La7, ha spiegato le ragioni del suo Sì e risposto a Ferdinando Imposimato, sostenitore invece del No. Secondo Fusaro la revisione costituzionale in esame renderebbe più efficienti le istituzioni politiche, inoltre il rapporto Stato-Regioni sarebbe semplificato, in modo da ridurre pressoché a zero le frequenti discordanze fra i compiti di competenza statale e quelli, invece, attribuiti direttamente allo Stato. Il costituzionalista di origine svizzere, poi, ha affermato che la revisione in atto non costituisce una palingenesi, ovvero un cambiamento epocale, ma solo una riforma, un rinnovamento che non potrà fare altro che rendere più efficienti le istituzioni interessate. In termini economici, prosegue Fusaro, vale grosso modo un ragionamento analogo: il costo dei senatori non sarà pari a zero, ma scenderà in maniera proporzionale al numero dei senatori ridotti. Per quanto concerne il discorso immunità, Fusaro ha specificato che i senatori non saranno tutelati penalmente, come qualcuno erroneamente ha voluto far credere ai cittadini, quanto piuttosto protetti da indagini e misure restrittive ordinate dai pubblici ministeri. Sul rapporto con il governo, Fusaro ha precisato che nessun Presidente del Consiglio avrà mai i poteri per trasformarsi in un dittatore, in quanto la riforma non colpirebbe il ruolo legislativo del Senato ed il suo rapporto con l’Esecutivo. Clicca qui per il video del confronto tra Fusaro e Imposimato.
Domani al referendum costituzionale cosa succede se dovesse vincere il Sì alle urne? Una domanda che tempesta giornali, media e semplici cittadini da ormai alcuni mesi, quanto è incominciata la vera campagna elettorale di questo lungo ed estenuante esame al teso della riforma Boschi. Ebbene, se lunedì mattina ad esultare fossero Renzi e la sua maggioranza, cosa cambierebbe davvero? Ecco una rapida guida per capire qualcosa di più e per vedere tutte le possibilità novità sui punti principali della riforma costituzionale in oggetto domani 4 dicembre 2016. Il punto principale che cambierebbe e di parecchio l’ordinamento istituzionale finora redatto, è la scomparsa del bicameralismo perfetto, ovvero l’ingente rivoluzione per il Senato della Repubblica. Se infatti dovesse vincere il Sì al referendum, d’ora in poi solo la Camera deputati voterà la fiducia al governo e approverà le leggi. Con alcune eccezioni: ci vorrà l’ok anche di Palazzo Madama per le leggi costituzionali, quelle che riguardano minoranze linguistiche, referendum, trattati Ue, enti territoriali o l’elezione e la decadenza dei senatori. Per quanto riguarda però gli effetti immediati per i cittadini, alle urne si voterà solo per la Camera e il Senato assumerà l’onere delle istituzioni territoriali e sarà composto da 100 membri, 95 scelti dalle Regioni (21 devono essere sindaci) e 5 dal Presidente della Repubblica ma solo per sette anni. Le modalità dell’elezione dei senatori verranno chiarite con una legge futura. Taglio alle poltrone, eliminazione dell’indennità aggiuntiva per i senatori che non avranno due stipendi (anche se rimarrà l’immunità parlamentare): tutto questo cambierà al Senato se dovesse vincere il Sì all’ormai prossimo referendum costituzionale.
Ma se dovesse vincere il Sì al referendum costituzionale, come sarebbero ripartiti i poteri del Governo nel nuovo assetto istituzionale? Uno dei punti di maggiore discussione in questi mesi di campagna elettorale è stato proprio la ripartizione dei poteri e degli oneri dell’Esecutivo, specie nell’ordinamento e dell’assetto di iter legislativi. Le opposizioni hanno denunciato il governo di creare una “deriva autoritaria” in questo modo con le nuove mansioni specifiche per il Governo; ma cosa accade di preciso se dovesse vincere il Sì domani lo possiamo vedere brevemente qui di seguito. Dal 5 dicembre mattina verrebbe inserita nella Costituzionale la via preferenziale, ossia “il voto a data certa” che consente al governo di accelerare l’iter di approvazione di leggi ritenute importanti per il suo programma politico. In questo modo ogni Governo potrà chiedere alla Camera di inserire un testo come priorità arrivando ad un prolungamento massimo per il voto definitivo che sarebbe 70 giorni per legge. Questo iter ovviamente la Camera lo dovrà votare, con le opposizioni che vedono in esso un rischio di deriva autoritaria (visto che alla Camera il governo avrà la maggioranza) ma che il fronte del Sì difende promuovendo una “maggiore velocità per poter effettuare e discutere le leggi”. Con il Sì alla vittoria, cambierà anche l’elezione del Presidente della Repubblica: di fatto, il Capo dello Stato viene eletto solo da deputati e senatori, non ci sono più i 59 delegati regionali. Nelle prime tre votazioni, servono i 2/3 degli aventi diritto (circa 500 elettori) per eleggere il Presidente. Dal 4° al 6° scrutinio sono necessari i 3/5 degli aventi diritto al voto (circa 440 elettori); dal 7° in poi, la maggioranza dei 3/5 dei votanti (cioè quelli che sono presenti e votano effettivamente). Da ultimo, ovviamente, il Presidente della Repubblica potrà sciogliere solo la Camera e non più il Senato dato che sarà composto solo da rappresentanti regionali.
Sul fronte competenze Stato / Regioni, se domani dovesse vincere il Sì al referendum costituzionale, cosa cambierebbe davvero nell’ordinamento nuovo costituzionale che si andrebbe a creare? Col Sì trionfante, in primo luogo, viene riscritto l’articolo 117 della Costituzione: come scrive la riforma Boschi, viene eliminata la competenza concorrente rimanendo solo quella “esclusiva”. Lo Stato può esercitare una “clausola di supremazia” verso le Regioni, che gli permette di intervenire anche su materie non di competenza esclusiva per tutelare l’unità della Repubblica e l’interesse nazionale. Di fatto aumentano l’intero comparto di competenze dello Stato: a differenza di quanto normato fino ad ora, tornano allo Stato materie come energia, trasporti e infrastrutture strategiche e di rilievo nazionale, la sicurezza sul lavoro, la protezione civile e la ricerca scientifica tornano di competenza statale. Alle Regioni invece rimangono la tutela della salute, politiche sociali e sicurezza alimentare, istruzione, ordinamento scolastico. In generale, si elimina quella che fino ad oggi veniva chiamata competenze concorrente, nell’ottica di sveltire le dinamiche e i confronti Stato-Regioni su molte materie non normate. Sul fronte province invece, con la vittoria del Sì verranno definitivamente abolite tutte le province italiane: cambia l’articolo 114 della Carta, con la Repubblica che sarà costituita solo “dai Comuni, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”.