Dimissioni di Renzi congelate: questo l’esito dell’incontro al Quirinale tra il Presiedete del Consiglio e il Capo dello Stato Sergio Mattarella: ancora si attende la nota ufficiale del Colle, ma più voci sicure danno questo esito parziale dall’incontro appena concluso. «Matteo Renzi non ha formalizzato le dimissioni in cdm: “Lo faccio per senso di responsabilità ed evitare l’esercizio provvisorio”», scrive la diretta di Repubblica seguita al Colle dai colleghi Piera Matteucci e Alessio Sgherza. Dunque dimissioni congelate ma effettive che verranno formalizzate solo dopo l’approvazione della Manovra di Stabilità: per questo motivo domani alle ore 12 è stata convocata in seduta straordinaria la Commissione Bilancio del Senato proprio per accorciare i tempi di approvazione della Legge di Stabilità, alcuni dicono già venerdì prossimo a Palazzo Madama. A questo punto la pressione di Mattarella esercitata questa mattina – “le istituzioni devono rispettare le scadenze” – pare abbia avuto seguito, con le parole di Renzi riportare che vanno esattamente in questa direzione. “Senso di responsabilità”, il tema ricorrente riaccade anche dopo le dimissioni annunciate ieri sera in diretta conferenza stampa post referendum costituzionale. Ora il premier dimissionario rientra a Palazzo Chigi e in serata avverrà forse una ulteriore conferenza dove spiegare le ultime novità: quello che è sicuro, è che la crisi di governo viene solo congelata a dopo l’approvazione della Manovra ma da settimana prossima sono aperte le Consultazioni al Quirinale.
Dopo il Consiglio di Ministri cominciato in questo momento a Palazzo Chigi, le dimissioni di Renzi diverranno ufficiali con la salita al Colle, la seconda di giornata, questa volta in via ufficiale per presentare la sua uscita dalla scena politica italiana, almeno in questo legislatura. Da tutta la giornata si rincorrono voci su possibili tentativi di Mattarella di convincere il premier dimissionario di attendere qualche giorno per provare ad approvare la Legge di Bilancio 201, scadenza che si impone entro questa fine mese. Pare però che Renzi stessi sia intenzionato a definire le sue dimissioni, come detto ieri in diretta live alla conferenza stampa post referendum costituzionale bocciato, irrevocabili. «L’ipotesi maggiormente accreditata fino a questo momento è che Renzi possa restare fino all’approvazione della Legge di Bilancio da varare in Senato in tempi brevissimi, già entro venerdì. L’ipotesi, dunque, è quella di una fiducia ‘tecnica’. Una possibilità che ha come conditio sine qua non il congelamento delle dimissioni di Matteo Renzi fino all’approvazione della legge», sono le voci riportate dall’Ansa vicine al Quirinale. Una ipotesi che a Renzi non piacerebbe molto ma che potrebbe infine convincerlo se effettivamente entro venerdì potrebbe vedersi approvata in tempo record la seconda lettura della Manovra in Parlamento (la prima al Senato).
C’è fermento all’interno del governo e del Partito democratico in seguito alle dimissioni del premier Matteo Renzi. Uno schianto, quello del Presidente del Consiglio, impossibile da ignorare, e che ha portato quindi il premier a lasciare la sua poltrona. Adesso è Sergio Mattarella che ha la palla in mano e che deve decidere cosa ne sarà di questo governo: sono in molti a parlare di una possibile successione di Pier Carlo Padoan al Presidente del Consiglio. Il ministro dell’Economia sarebbe infatti uomo politico gradito sia a Bruxelles sia al Pd, e potrebbe essere un buon compromesso per traghettare questa crisi di governo. Resta da vedere però se l’opinione pubblica accetterà di buon grado questa – eventuale – nomina dato che il voto al referendum costituzionale è stato inteso dai più soprattutto come un rifiuto delle politiche del Partito democratico, giudicate troppo asservite agli interessi economici e finanziari dell’Unione Europea. Pier Carlo Padoan non si è presentato stamattina a Bruxelles, dove avrebbe detto che sarebbe andato, per la riunione dell’Eurogruppo, ma è rimasto a Roma. Forse in attesa delle dimissioni ufficiali di Matteo Renzi, che avverranno alle 18.30.
Alle 18.30 il Consiglio dei Ministri assisterà alle dimissioni ufficiali di Matteo Renzi di fronte ai suoi assistenti e componenti dell’Esecutivo che in questi due anni e mezzo hanno tentato la strada delle riforme e ieri sono stati fermati dal voto popolare e dei cittadini. Cosa succederà nel ormai imminente CdM? Di sicuro Renzi annuncerà il programma die prossimi giorni, spiegherà quanto detto questa mattina a Mattarella e probabilmente inizierà a fare un sondaggio su chi potrebbe essere il suo successore per “traghettare” il governo verso l’approvazione delle Legge di Bilancio, il vero punto nodoso secondo il Capo dello Stato. Mattarella infatti sembra del tutto intenzionato a congelare le dimissioni fino all’approvazione della manovra, come rivelano alcune fonti del Quirinale a Rai News24: «Durante l’incontro con il capo dello Stato, Sergio Mattarella, di questa mattina al Quirinale, viene riferito da fonti di maggioranza, è stato discusso il possibile congelamento delle dimissioni del presidente del Consiglio che sarebbero operative dopo l’approvazione della legge di bilancio. L’ex finanziaria sarà infatti incardinata domani a palazzo Madama, e lo scenario possibile, con le dimissioni in standby, potrebbe prevedere la fiducia e chiudere la partita in 3-4 giorni. Secondo fonti accreditate Renzi avrebbe escluso alcuna ipotesi di reincarico confermando che le sue dimissioni sono e restano irrevocabili».
Oggi pomeriggio alle 18.30 Matteo Renzi presenterà le dimissioni da Premier al Consiglio dei Ministri convocato in seduta straordinaria “per comunicazioni del Presidente”, questa sera alle 18.30 con tutti i ministri convocati ovviamente. La vittoria del No al referendum costituzionale ha agitato e non poco la maggioranza che rischia ora di vedere finire un anno in anticipo la legislatura, o almeno è una delle ipotesi di Mattarella, forse la meno probabile al momento. In una nota a margine dopo il colloquio con Renzi, il Capo dello Stato ha voluto ribadire «Vi sono di fronte a noi impegni e scadenze di cui le istituzioni dovranno assicurare in ogni caso il rispetto, garantendo risposte all’altezza dei problemi del momento”. “L’Italia è un grande Paese con tante energie positive al suo interno. Anche per questo occorre che il clima politico, pur nella necessaria dialettica, sia improntato a serenità e rispetto reciproco”. “L’alta affluenza al voto, registratasi nel referendum di ieri, è la testimonianza di una democrazia solida, di un Paese appassionato, capace di partecipazione attiva». Questo significa dimissioni congelate di Renzi fino all’approvazione della Legge di Bilancio? In serata ne sapremo di più, intanto la Direzione Pd è stata spostata a venerdì, con le tempistiche che si allungano, capendo così che le priorità al momento non sono di partito ma prima di tutto del futuro istituzionale del Paese.
Dispiacere per le dimissioni di Renzi dopo i risultati del referendum costituzionale è stato espresso dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. A riferirlo, come riporta Tgcom24, è stato il portavoce della cancelliera. Sul voto in Italia è intervenuto anche il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble: “L’Italia ha molte esperienze con situazioni del genere, le può fronteggiare, non ho timori”, ha detto a proposito della crisi di governo che si è aperta nel nostro paese. Intanto, come riporta La Repubblica, in una nota il presidente della Repubblica Mattarella ha sottolineato l’importanza di rispettare alcune scadenze importanti: “L’alta affluenza al voto, registratasi nel referendum di ieri, è la testimonianza di una democrazia solida, di un paese appassionato, capace di partecipazione attiva. Vi sono di fronte a noi impegni e scadenze di cui le istituzioni dovranno assicurare in ogni caso il rispetto, garantendo risposte all’altezza dei problemi del momento”.
Matteo Renzi si è già recato al Quirinale per presentare ufficialmente le sue dimissioni davanti al Capo dello Stato, Sergio Mattarella: dopo l’annuncio ieri sera in conferenza stampa – qui sotto trovate il link alla streaming video della Conferenza Stampa post voto – la vittoria del No provoca la fine di questo governo per scelta dell’ormai ex premier. Fonti vicini alla Maggioranza riferiscono come Renzi abbia avuto un colloquio di oltre un’ora con il Presidente della Repubblica: ancora sconosciuto il senso e le conseguenze del colloquio, oltre alle ovvie dimissioni presentate. Specie, non ci sono ancora novità sul fronte scenario post-elettorale: in sostanza, nelle prossime ore se non giorni Mattarella dovrà decidere se chiedere alle Camere di decidere sulle dimissioni di Renzi con un eventuale voto di fiducia oppure accettare direttamente le dimissioni del premier e dar vita a un nuovo esecutivo ‘tecnico-politico. Intanto Renzi dopo le dimissioni è tornato a Palazzo Chigi a preparare il Consiglio dei Ministri straordinario convocato ieri sera e dove avverrà il definitivo scioglimento del governo. Clicca qui per lo streaming video della conferenza stampa con le dimissioni di Renzi.
Dopo le dimissioni di Renzi stanotte in seguito al risultato del voto del referendum costituzionale, ecco come è vista la sconfitta del premier dagli analisti finanziari. Come riporta il Corriere della Sera, per gli analisti finanziari è “un’opportunità per vendere in un mercato che la settimana scorsa ha toccato i massimi”. In seguito alla vittoria del No al referendum costituzionale e alle dimissioni di Renzi la Borsa di Tokyo chiude in calo, con l’indice Nikkei che “arretra dello 0,82% a 18.274,99”. L’esito del voto è stato interpretato dai mercati e da altri leader europei come una “possibile minaccia per la stabilità in Italia e in Europa”, anche alla luce della Brexit e della vittoria di Donald Trump alla Casa Bianca. In particolare gli investitori e i partner europei temono che i risultati del voto possano “fermare il cammino delle riforme, rendere più difficile la ricapitalizzazione di alcune banche, a partire da Mps, e insidiare anche la stabilità della zona euro”
Nella notte delle dimissioni di Renzi dopo la vittoria del no al referendum costituzionale alcune decine di “Studenti per il No” si sono radunati sotto Palazzo Chigi, sede del Governo, per festeggiare l’esito del voto e le dimissioni di Renzi. Come riportato da La Repubblica i ragazzi hanno intonato ‘Bella Ciao’. “Questo non è il No di Grillo o di Salvini, di Brunetta e certo non di Berlusconi. E’ il No del popolo che ha difeso la democrazia e la Carta costituzionale”, ha detto una delle studentesse. Oggi dopo le dimissioni Renzi ha annunciato, nel pomeriggio, la convocazione del Consiglio dei ministri: nella riunione il premier comunicherà ai ministri le sue intenzioni e poi salirà al Quirinale per rassegnare le dimissioni. Poi sarà la volta della decisione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il capo dello Stato potrebbe verificare la percorribilità di un mandato per un Governo Renzi bis, ipotesi ritenuta poco probabile vista l’ ‘irrevocabilità’ delle dimissioni di Renzi, oppure definire il calendario per le consultazioni.
Matteo Renzi salirà oggi pomeriggio al Quirinale per rimettere il suo mandato nelle mani del capo dello Stato: lo ha annunciato lo stesso premier quando nella notte ha annunciato le dimissioni. Cresce l’attesa e la curiosità sui risvolti politici di questa decisione. Segnali intanto arrivano dal ministro dell’Economia: il portavoce di Pier Carlo Padoan ha confermato che il ministro ha cancellato il viaggio a Bruxelles, dove era atteso per la riunione dell’Eurogruppo. Le priorità dopo l’esito del referendum sono diventate ovviamente altre per il governo, che deve scoprire come resterà alla guida del Paese. L’alternativa è il ricorso immediato alle elezioni, ma l’ipotesi non sembra fare breccia nel cuore di Sergio Mattarella, il quale darà il via alle consultazioni dopo l’incontro con Matteo Renzi. Intanto dopo la vittoria del No e le dimissioni del premier, lo spread tra Btp e Bund apre con un balzo dai 162 punti di venerdì pomeriggio ai 178 di oggi.
Matteo Renzi è atteso quest’oggi al Quirinale dove, come lui stesso ha annunciato, presenterà le dimissioni al Capo dello Stato. Secondo quanto scrive Repubblica, Sergio Mattarella avrebbe già un terzetto di nomi per un possibile Governo tecnico chiamato a traghettare il Paese fino alle prossime elezioni, con priorità alle questioni economiche e, probabilmente, a una nuova legge elettorale per portare gli italiani alle urne con la possibilità di dar vita a un esecutivo stabile. I nomi indicati dal quotidiano romano sono quelli di Pier Carlo Padoan, Piero Grasso e Graziano Delrio. Il ministro dell’Economia e il Presidente del Senato da diverse settimane sono indicati come possibili successori del Premier. La “novità” sembra essere rappresentata dal ministro delle Infrastrutture, che è uno degli uomini più vicini a Renzi, che ha voluto nominarlo prima sottosegretario alla Presidenza del consiglio per poi affidargli l’incarico che fu di Maurizio Lupi.
La sconfitta del Sì al referendum costituzionale ha portato alla caduta di Matteo Renzi e della sua leadership. A caccia di un’investitura popolare, il premier ha dovuto rassegnare invece le dimissioni. La sfida del giorno dopo del presidente del Consiglio dimissionario è allora quella con il Movimento 5 Stelle, che si sta già proiettando alle prossime elezioni nazionali. Bisogna trovare una soluzione e deve farlo innanzitutto il Pd, partito di maggioranza in Parlamento. Si sceglierà ancora una volta una soluzione senza investitura popolare? Lo scenario appare molto rischioso per Il Sole 24 Ore, secondo cui conteranno nella decisione, oltre ai calcoli elettorali, anche cosa accadrà oggi sui mercati e sui titoli bancari. Sarà importante capire chi si assumerà il compito di fare la prossima legge di Stabilità, prima ancora di pensare alla scelta del segretario del Pd. La fiducia ad un governo che arrivi fino alla fine della legislatura comporta molti rischi, per cui serve una ragione politica forte e una leadership solida, che sappia competere con le spinte di Beppe Grillo e Matteo Salvini. Urne subito o una corazza per arrivare a completare la legislatura? Il dilemma è servito.
C’è attesa dopo le dimissioni di Renzi per l’incontro con Mattarella. Il premier dimissionario salirà infatti al Colle oggi pomeriggio come da lui stesso annunciato stanotte dopo l’esito del voto del referendum costituzionale. In seguito ai risultati della consultazione che hanno visto prevalere il No sul Sì alla riforma della Costituzione, Matteo Renzi ha annunciato le proprie dimissioni in conferenza stampa: “Nel pomeriggio salirò al Quirinale per rassegnare le dimissioni”, sottolineando che “tutto il Paese sa di poter contare su una guida autorevole e salda come quella del presidente Mattarella”. Renzi ha poi aggiunto: “Qui in questa sala saluterò il mio successore, chiunque egli sarà, e gli consegnerò la campanella e il dossier delle cose che restano da fare”. Prima di annunciare le dimissioni Renzi aveva telefonato al Capo dello Stato per comunicargli le sue intenzioni. Vedremo quale sarà l’esito dell’incontro tra il premier e il presidente della Repubblica e soprattutto quali saranno le decisioni di Sergio Mattarella dopo le dimissioni di Renzi.
Dopo le dimissioni di Matteo Renzi bisogna andare subito al voto: è questa la tesi di Maurizio Lupi, che certifica la crisi parlamentare dopo il trionfo del No al referendum. “Il governo di larghe intese ha finito il suo compito. Non c’è la possibilità che possa andare avanti. Adesso serve una nuova fase”, ha dichiarato il capogruppo alla Camera dei deputati di Area Popolare. La palla passa a Sergio Mattarella, che incontrerà oggi pomeriggio Matteo Renzi e poi comincerà il “valzer” delle consultazioni. La domanda che tutti si pongono riguarda la durata del prossimo governo: Movimento 5 Stelle, Lega Nord e Fratelli d’Italia spingono per le urne immediate, mentre Forza Italia auspica la revisione dell’Italicum con un nuovo leader della maggioranza. Il gioco così, però, si complica per il Pd. Stando a quanto riportato da Libero Quotidiano, che cita fonti quirinalizie, il capo dello Stato non vuole andare a votare con una legge elettorale diversa per ogni ramo del Parlamento, quindi potrebbe optare per un governo di scopo fino a primavera, consentendo la rapida messa a punto della legge elettorale e di alcuni dossier aperti, come la riforma delle banche popolari. Renzi potrebbe caldeggiare un “mediatore” per Palazzo Chigi, cioè Pietro Grasso, attuale presidente del Senato.
Cosa accadrà oggi dopo le dimissioni di Matteo Renzi? Cominciano a trapelare le prime indiscrezioni in attesa dell’incontro tra il premier e il capo dello Stato, Sergio Mattarella. C’è stata, infatti, già una telefonata tra i due ed è avvenuta prima della conferenza stampa del presidente del Consiglio. Il retroscena è stato svelato da Il Fatto Quotidiano, secondo cui Mattarella ha già presentato una proposta a Renzi dopo l’annuncio telefonico delle dimissioni: il capo dello Stato, che potrebbe ricevere Renzi già alle 10 di oggi, avrebbe ventilato l’ipotesi di inviare il governo alle Camere per sondare il terreno su un “bis”, ma il premier dimissionario è stato inamovibile, ribadendo la sua disponibilità solo per l’approvazione della legge di stabilità. La partita del post-referendum, dunque, dovrà essere gestita oggi solo dal presidente della Repubblica, il quale dovrà dare il via alle consultazioni per capire che strada imboccare dopo le dimissioni di Renzi.
La prima conseguenza a livello economico delle dimissioni di Renzi si registrano con la perdita di terreno dell’euro nei confronti del dollaro: la moneta unica europea ha fatto segnare una perdita dell’1,3% rispetto alla chiusura prima del weekend. L’euro dopo questo scivolone scende ai minimi degli ultimi 20 mesi, al livello più basso dal marzo 2015, fermandosi poco sopra quota 1,05 sul dollaro. Secondo gli analisti questo dato è peggiore di quello registrato subito dopo lo shock della Brexit. Sceso dopo l’annuncio da parte di Renzi delle dimissioni a 1,0506 dollari, l’euro poche ore dopo ha registrato una leggera risalita, attestandosi all’1,0524. Gli occhi sono, dunque, puntati sui mercati e sull’apertura delle principali borse, su cui peserà inevitabilmente l’incertezza sul futuro dell’Italia e quindi dell’Europa. Il primo segnale è arrivato da Tokyo: apertura in negativo con il Nikkei che fa segnare una perdita dello 0,41%. Anche Shanghai ha aperto negativamente dopo il referendum italiano e le dimissioni di Renzi: l’indice Composite cede l’1,23%, quello di Shenzhen perde l’1,03%.
Tremano i mercati finanziari dopo l’annuncio delle dimissioni del premier Matteo Renzi dopo la sconfitta del sì al referendum costituzionale. L’Euro crolla, arrivando a livelli che non si erano raggiunti nemmeno con l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea, arrivando a 1,0506 dollari, un minimo che non si toccava da marzo 2015. Incerti gli scenari che si aprono ora a livello politico: il fronte del no è diviso tra chi – come Grillo, Salvini e Meloni – vuole andare subito alle elezioni anticipate e chi – come Brunetta e D’Alema – premono per approvare prima una nuova legge elettorale. Non è escluso che Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica, decida di dare il via a un governo tecnico: se così fosse, le nuove elezioni potrebbero tenersi nel 2017, in contemporanea con quelle tedesche e francesi. Mattarella potrebbe però chiedere a Matteo Renzi di conservare l’incarico e provare a vedere se ha ancora l’appoggio del Parlamento – anche se non è detto che il premier accetti dopo l’annuncio dato a scrUtinio iniziato. Oppure il Presidente della Repubblica potrebbe affidare il governo a un altro membro del Partito Democratico (in maniera informale si parla di Pier Carlo Padoan o Pietro Grasso).
Matteo Renzi si dimette, e tra poco salità al Quirinale per rassegnare le sue dimissioni al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Sconosciuto lo scenario che si aprirà adesso dopo la vittoria del no al referendum costituzionale che sta facendo tremare il Governo: la decisione finale spetta proprio a Sergio Mattarella, che probabilmente darà in mano la conduzione dell’esecutivo a qualcun’altro fino a che non si andrà alle elezioni anticipate. La notizia delle dimissioni di Matteo Renzi ha fatto immediatamente il giro del mondo, ed è stata ripresa dai maggiori giornali: la BBC, il Washington Post, il New York Times, El Pais, il Wall Street Journal, tutti hanno titolato su questa notizia. “Quando la tracotanza del potere arriva a superare i livelli di guardia, poi interviene qualcuno a fermarlo. Lui ha tentato di scardinare un terzo della Costituzione a colpi di maggioranza, con un Parlamento delegittimato da una sentenza della Corte Costituzionale, senza essere salito al governo passando dalle urne e impegnando il governo con una riforma che ha scavalcato il Parlamento”, ha commentato Marco Travaglio, riferendosi alle dimissioni di Matteo Renzi.
Matteo Renzi accetta la sconfitta avuta con la vittoria del no al referendum costituzionale e rassegna le proprie dimissioni. “Io non credo si possa continuare in un sistema in cui l’autoreferenzialità è sempre criticata e poi non viene cambiata. Quando uno perde non fa finta di nulla, andandosene fischiettando e facendo finta di nulla. Perché queste possibilità si realizzino, bisogna scattare. La democrazia di oggi si basa su un sistema parlamentare: questa riforma l’abbiamo portata al voto. Non siamo stati convincenti ma non abbiamo rimorsi. Com’era evidente e scontato sin dal primo giorno, l’esperienza del mio governo finisce qui. Non si può far finta di nulla, con tutti che rimangono incollati al posto. Volevo cancellare le troppe poltrone: non ce l’ho fatta, e allora la poltrona che salta è la mia. Domani salirò al Quirinale, dove al Presidente della Repubblica consegnerò le mie dimissioni. Tutto il pase può contare su una guida salda come quella di Mattarella. Vengo dall’associazionismo, dal mondo scout, dove i posti si lasciano meglio di come si sono trovati. (…). Viva l’Italia, in bocca al lupo a tutti noi”.
Le proiezioni degli exit polls danno il no in netta percentuale sopra il sì, per il referendum costituzionale, cosa che ha spinto Matteo Renzi ha rassegnare le dimissioni da Presidente del Consiglio. “Abbiamo ottenuto milioni di voti, sono impressionanti ma non sufficienti – ha detto nel suo discorso – Mi assumo tutte le responsabilità della sconfitta, ho perso io e non voi. Chi lotta per un’ideale non può perdere. Volevate riavvicinare i cittadini alla cosa pubblica e combattere il populismo, avete fatto una campagna casa per casa a vostre spese: voi non avete perso, domattina quando andate al lavoro sentitevi soddisfatti. C’è rabbia, delusione, amarezza e tristezza ma siate fieri. Fare politica andando contro qualcuno è facile, fare politica per qualcuno è più difficile ma decisamente più bello. Si fa politica pensando ai propri figli, e ricordate: oggi c’è una sconfitta, ma arriverà un futuro in cui festeggerete la vittoria. Si può perdere un referendum ma non il buonumore. Io ho perso: nella politica italiana non perde mai nessuno, dopo ogni elezione resta tutto com’è. Io ho perso e lo dico a voce alta. Non sono riuscito a portarvi alla vittoria. Credetemi quando dico che ho fatto tutto quello si potesse fare in questa fase”.
Poco dopo la mezzanotte Matteo Renzi prende parola e assume la quasi certa vittoria del no: come si vociferava, il premier ha rassegnato le sue dimissioni. “L’Italia ha scelto in modo chiaro e netto e credo che comunque sua questa è stata una grande festa della democrazia. Le percentuali di voto sono state superiori a tutte le attese. La campagna elettorale ha vissuto un contesto con forse qualche polemica di troppo, ma tanti cittadini si sono riavvicinati alla carta costituzionale e questo è molto bello, importante e pieno di significato. Sono fiero che il Parlamento ha dato la possibilità di esprimersi nel merito della riforma. Viva l’Italia che crede nella politica. Il no ha vinto in maniera netta, quindi faccio al fronte del no un augurio di buon lavoro. Consegno oneri e onori insieme alla responsabilità di proposta di regole, ossia una nuova legge elettorale. Tocca a chi ha vinto avanzare proposte serie e credibili. Agli amici del sì che hanno condiviso una campagna emozionante, voglio dare un abbraccio forte, uno per uno. Abbiamo dato una chance di cambiamento, semplice e chiara, ma non ce l’abbiamo fatta”.
Le dimissioni di Matteo Renzi non sono più solo una voce o una ipotesi. Renzi si dimette quasi sicuramente stanotte dopo il suo discorso di mezzanotte. Si parla già degli scenari post Renzi. Ha già parlato Brunetta di Forza Italia che ha dato la disponibilità a parlare di un nuovo governo tecnico a condizione che a guidarlo non sia l’attuale premier. E’ al lavoro in queste ore il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per provare a creare nuove condizioni politiche ed evitare le elezioni anticipate. I tre nomi più gettonati come nuovo Premier sono Grasso, Presidente del Senato, Franceschini del Pd e l’attuale ministro dell’economia Padoan. La scelta di uno di questi tre profili, molto differenti tra di loro, dipenderà molto dal tipo di taglio vorrà essere dato al nuovo esecutivo e che missione avrà il nuovo governo: se uno scopo di riforme economiche o di riforme istituzionali o un nuovo govertno politico con una nuova guida e in questo caso avrebbe la meglio Franceschini. Per ora senza la parola fine di Renzi ogni scenario è inutile.
? L’ipotesi di dimissioni del premier sono avallate nelle ultime ore dalla conferenza stampa che Renzi ha indetto a palazzo Chigi intorno a Mezzanotte, quando forse si avrà un quadro piuttosto affidabile sul risultato del referendum costituzionale. Se a vincere sarà il No, con tutta probabilità ci saranno delle conseguenze politiche, in primis sul Governo. Secondo Repubblica, Matteo Renzi rassegnerebbe le sue dimissioni e a quel punto Sergio Mattarella lo manderebbe alle camere per ottenere la fiducia, sulla base di un programma ridotto all’osso: varare una nuova legge elettorale per tornare alle urne. Difficile, secondo il quotidiano romano, che Matteo Renzi sia disposto a far sostenere al suo Pd un altro “governo lampo”. A meno di non individuare la persona che dovrebbe sostituirlo a palazzo Chigi proprio tra i membri del suo partito. Per Repubblica, un appoggio a Renzi potrebbe arrivare da Berlusconi, che a quel punto chiederebbe di modificare l’Italicum in senso proporzionale. Il Movimento 5 Stelle avrebbe invece interesse ad andare al più presto alle urne, senza accordi su una nuova legge elettorale.
Manca poco alla chiusura dei seggi per il referendum costituzionale. Subito dopo comincerà lo spoglio delle schede e arriveranno i risultati. Se a vincere sarà il No, c’è chi ipotizza le dimissioni di Matteo Renzi. Lo stesso Premier ha fatto capire che non resterebbe a “vivacchiare” a palazzo Chigi. Ma al di là del fatto che venga o meno sostituito, bocciata una riforma ce ne sarebbe da portare in porto un’altra. Infatti, prima di tornare alle urne per delle elezioni anticipate, bisognerebbe cercare di avere una nuova legge elettorale, dato che quella utilizzata nel 2013 è stata dichiarata incostituzionale. La base di partenza potrebbe essere il cosiddetto Italicum, ma in caso di vittoria del No al referendum, è molto probabile che ci sarebbero delle modifiche, chieste anche in non poche occasioni dalla stessa minoranza del Pd. In ogni caso arrivare a una quadra non sarebbe semplice, tenendo conto che ogni partito cercherebbe di avere una legge elettorale a sé favorevole.
Francescomaria Tedesco ha messo a punto un “decaologo” di ragioni per cui sarebbe meglio una vittoria del No al referendum costituzionale in programma oggi, 4 dicembre 2016. Sul blog de Il Fatto Quotidiano, il filoso del diritto e della politica fa emergere in particolare che il testo della Costituzione dovrebbe essere chiaro per tutti i cittadini. Tuttavia, “la lettura della nuova formulazione dell’art. 70 non può suonare come uno sketch comico. Né sono degni del costituente errori marchiani del lessico costituzionale: si pensi al fatto che si potrebbe diventare senatori a 18 anni e deputati sempre a 25 (e addio etimologia!), o che l’art. 77 finisce per dire che un decreto legge non può convertire in legge un… altro decreto legge!”. Tedesco segnala anche un’altra conseguenza della riforma, ovvero il fatto che le Regioni a Statuto speciale acquistano ancora più poteri rispetto a quelle ordinarie, che invece li perderanno. Infine, non manca di far notare che i coti della politica possono essere ridotti con leggi ordinarie, senza quindi toccare la Costituzione.
Guido Calvi si è espresso sul referendum costituzionale a Coffee Break. L’avvocato e giurista già parlamentare della Repubblica, tra i personaggi in prima linea sul fronte del no in ambito accademico, ha introdotto nello studio di Andrea Pancani la sua tesi: sostiene che in un caso o nell’altro la riforma non comporterebbe nessuno stravolgimento epocale del sistema istituzionale italiano. Su specifica richiesta di Pancani, Calvi è passato a introdurre gli argomenti principali del suo no: oltre al discorso della deriva autoritaria, ovvero dell’accentramento del potere nelle mani del governo, Calvi ha insistito sul tema del caos. In caso di vittoria del sì, e dunque della definitiva attuazione della revisione, il vero rischio non sarebbe quello della deriva autoritaria, ha sottolineato Calvi, quanto piuttosto dell’inizio di un periodo di disordine e di equivoci nell’ambito dei rapporti fra stato e regioni e dello stesso funzionamento del Senato. La prima ragione per votare no, ha poi chiarito Calvi, coincide col fatto che la revisione in atto sottrae i già limitati spazi di sovranità appartenenti ai cittadini. Per quanto concerne il processo legislativo, sembrerebbe immediato che la revisione costituzionale renderebbe meno lungo l’iter delle leggi; in realtà, sostiene sempre Guido Calvi, il rischio è che la confusione e la poca chiarezza sull’argomento finisca di peggiorare una situazione che al momento appare già difficile. Clicca qui per il video del confronto tra Calvi e Guzzetta.
Rossana Rossandra, cofondatrice del Manifesto, ha votato No al referendum e ha spiegato a Repubblica le sue ragioni. La novantaduenne vive a Parigi e quindi ha espresso il suo voto come italiana all’estero. La sua scelta è motivata principalmente dal fermare Renzi e il suo populismo. Ma la donna ha anche valutato il merito della riforma costituzionale. “Ritengo insopportabile un Senato di nominati. Non è una scelta neppure populista, è peggio. Meglio se avesse abolito il Senato, sarebbe stato meno pasticciato, oltre che di dubbia democrazia. Per Rossandra, questa riforma è debole “se la parola riforma ha un senso. Mentre è tutt’altro che debole nel tentativo di accentuare ulteriormente i poteri del Governo”. La donna ha quindi detto che “se si vuole fare una legge in fretta, la si fa. È solo una questione di volontà politica, non di iter parlamentare. Io mi ricordo che De Nicola, il primo presidente della Repubblica, diceva che una legge deve avere 12 articoli, chiari. In questa riforma costituzionale ci sono molte cose dentro: sarebbe stato meglio fare modifiche con quattro o cinque leggi, alcune costituzionali, altre ordinarie”.
Lorenza Carlassare del fronte del No ha evidenziato la mancanza di coerenza nelle fila del Pd sull’argomento della revisione costituzionale: la costituzionalista, ospite della trasmissione Coffee Break, ha sostenuto che la campagna di promozione da parte del governo sia stata incentrata unicamente su un’opera di convincimento forzato del popolo a votare sì. La giurista sostiene che il governo, anziché mettere in campo argomenti razionali in grado di suscitare la riflessione degli elettori, si sia reso subito conto delle lacune tecniche della revisione ed abbia, perciò, iniziato a fondare l’intera campagna di promozione solo ed unicamente sulla mancanza di alternative. Per quanto concerne il discorso del risparmio economico eventualmente apportato dalla riforma, Carlassare ritiene che la democrazia comporti dei costi necessari al suo completo funzionamento. Detto in altre parole, meglio continuare a pagare gli attuali senatori invece di rinunciare alla democrazia attraverso questa revisione. Su questi argomenti, dunque, si fonda la tesi del proprio “no” di Lorenza Carlassare, personaggio autorevole in materia e addirittura prima donna a dirigere una cattedra universitaria di diritto costituzionale. Clicca qui per il video del confronto tra Carlassare e Pinelli.
Incisivo Gianfranco Pasquino nel confronto con Luciano Violante a Coffee Break: il guru internazionale dello studio della politica, ospite dello studio di Andrea Pancani ha fornito spunti interessanti per la lettura di questa riforma costituzionale. L’intervento del politologo si è aperto con la semplice considerazione che tutti i cambiamenti, se in peggio, non fanno altro che gettare confusione e dunque peggiorare qualcosa che già aveva bisogno di essere modificato; la revisione in esame, dunque, non ha i rimedi appropriati per correggere alcuni problemi che pur sono evidenti all’interno del sistema politico nazionale. Pasquino ha poi voluto precisare che il fronte del no raccoglie personalità e gruppi politici anche radicalmente opposti, che evidentemente si sono ritrovati nella comune voglia di bocciare una riforma ritenuta imperfetta e potenzialmente anche dannosa per il funzionamento delle istituzioni. Per quanto riguarda le questioni puramente tecniche della riforma, Pasquino si è focalizzato sulla questione del rapporto Stato-regioni operando un confronto con l’efficiente gestione delle autonomie locali in Germania. Pasquino ha infatti affermato che, pur rendendosi necessari alcuni aggiornamenti per cercare di raggiungere lo stesso stato di efficienza, non è sicuramente con la ‘confusionaria’ riforma costituzionale del Senato che si giungerebbe ad una soluzione accettabile della questione Stato-regioni. Clicca qui per il video del confronto tra Pasquino e Violante.
Ferdinando Imposimato voterà No al referendum costituzionale: il magistrato italiano, presidente onorario della Corte di Cassazione, ospite della trasmissione Coffee Break di La7, ha espresso alcuni dei suoi principi cardine, cioè le sue ragioni. Imposimato ha aperto il dibattito nello studio di Andrea Pancani con l’argomento della deriva autoritaria: come già fatto da tanti autorevoli esponenti del no, il magistrato campano ha insistito sull’eventuale accentramento del potere nelle mani del premier in caso di passaggio della revisione, e dunque in caso di sì al referendum. La risposta di Imposimato, però, non si è fatta attendere anche su un cavallo di battaglia molto forte dei favorevoli alla revisione, ovvero sul tema della semplificazione delle leggi: secondo il magistrato italiano, infatti, sarebbe vero addirittura il contrario di quanto affermato dagli esponenti del sì. La nuova composizione del Senato, infatti, non farebbe altro che provocare conflitti di interesse peggiori di quelli attuali e dunque rallentamenti di un altro genere nell’iter delle leggi. Per dirla in un linguaggio meno politichese, l’influenza nel Senato delle grandi regioni diventerebbe una vera e propria supremazia riguardo ad alcune decisioni, ed i conflitti di interesse sarebbero all’ordine del giorno. Questo, dunque, è il nucleo alla base del no di Imposimato, che in studio si è confrontato con Carlo Fusaro, esponente, invece, della fazione opposta. Clicca qui per il video del confronto tra Imposimato e Fusaro.
Se domani mattina fosse il No al referendum costituzionale ad aver vinto la partita elettorale, cosa succederebbe in Italia come conseguenza immediata politica? Come risposta massimamente generale, resta l’impianto generale dell’organizzazione politica attuale e per come è funzionata dalla nascita della Repubblica fino ad oggi. Il maxi cambiamento previsto dalla riforma costituzionale firmata Boschi verrebbe cancellato dalla volontà popolare che con il No premierebbe la Costituzione per come è impostata e ordinata dai Padri Costituenti. Nello specifico, sul punto principale della riforma, ovvero l’addio al bicameralismo paritario, il Senato con la vittoria del No rimarrebbe come tale. Continuerà come oggi ad approvare legge e votare la fiducia al Governo, il numero dei senatori rimane 320 e l’elezione ordinata su base elettorale: a differenza di quanto previsto dalla riforma, rimarrebbe l’elezione dei senatori solo per chi ha almeno 25 anni, mentre per essere eletti dovranno avere 40 anni. Immutato l’impianto degli altri punti modificati dalla riforma costituzionale, dai senatori a vita – che rimangono tutti gli ex presidenti della Repubblica e con il Capo dello Stato in carica ne può nominare altri cinque – fino alla votazione del presidente della Repubblica che vedrà sia i senatori che i rappresentanti delle Regioni riuniti con i deputati per il voto. Il capo dello Stato viene eletto dal Parlamento in seduta comune con i 2/3 dei voti alle prime tre votazioni. Dalla quarta votazione in poi il limite scende alla maggioranza assoluta (50%+1) degli aventi diritto.
Se dovesse vincere il No al referendum costituzionale non cambierebbe nulla neanche sul fronte dei poteri all’esecutivo: mentre la riforma Boschi prevedeva la via preferenziale come possibile scelta del governo per accelerare l’iter delle leggi alla Camera, rimanendo immutata la situazione il Governo mantiene una generica procedura “abbreviata” (articolo 72) che riduce i tempi dei lavori per quanto riguarda decreti legge e provvedimenti urgenti. Sul fronte dei decreti legge, con la Costituzione vigente essi vanno ammessi solo in casi di straordinaria necessità e urgenza, come recita l’articolo 72. Su uno dei punti della Riforma Boschi, che prevedeva l’abolizione dello Cnel – Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro – con la vittoria del No resta tutto come normato dalla Costituzione vigente, ovvero rimane in vita il Cnel con la possibilità di proporre iniziative legislative in materia di economia e lavoro e di fornire pareri su questi argomenti. Tali pareri non sono vincolanti, e vengono forniti solo se richiesti dal governo, dalle Camere o dalle Regioni. Restano immutati i rapporti tra Governo, Camera e Senato, con le novità previste dal fronte del Sì che vengono così congelate e bocciate dalla volontà popolare: come ultimo punto, per i referendum abrogativi rimane fissato il limite minimo del 50%+1 degli aventi diritto per rendere valido il voto, mentre per le Leggi di Iniziativa Popolare serviranno ancora le “vecchie” 50.000 elettori (articolo 71), oltre al testo della legge redatto in articoli. In entrambi i casi, come prevede la Carta Costituzionale ora, non c’è la garanzia che queste proposte saranno discusse e votate.
Uno dei punti più importanti del referendum costituzionale, ovvero le Competenze Stato/ Regioni, con la vittoria del No vedrebbe immutata la situazione senza tutte le importanti modifiche che sarebbero stato normate con la promozione della riforma costituzionale a firma Maria Elena Boschi. Se vincesse il fronte del No, le competenze tra fra Stato e Regioni restano divise in “esclusive” (solo dello Stato) e “concorrenti” (cioè su cui hanno competenza le Regioni sulla base di alcuni princìpi fondamentali dettati dallo Stato). Non vengono in questo modo eliminate le competenze concorrenti, che invece rimangono quelle definite dalla Carta vigente: protezione civile, dalla tutela della salute alla tutela dei beni culturali e ambientali, dalla ricerca scientifica all’energia, oltre a diverse norme che riguardano professioni e lavoro. Secondo punto importante nel settore riordino istituzionale è certamente la situazione Province: Se vince il No le province non vengono formalmente abolite del tutto, ma mantengono la struttura prevista dalla legge Delrio, che nel 2014 ha ridefinito l’assetto e le funzioni delle province.