Ciò che non ha influito minimamente riguardo la votazione al referendum costituzionale, è stato il titolo di studio posseduto dagli aventi diritto al voto. Secondo i sondaggi pubblicati dalla Rai, infatti, la percentuale di persone che posseggono la licenza elementare o media è esattamente uguale a quella di chi ha un diploma o una laurea. Con un risultato impressionante: in entrambi i casi chi ha votato per il sì è stato il 51% degli elettori, mentre chi ha votato per il no il 59%. L’unico gap che si è avuto in questo referendum è stato quello generazionale: sono stati i giovani, infatti, a propendere per il no alla riforma costituzionale. “Quello che arriva dal popolo è un messaggio di saggezza a difesa della Costituzione. Le regole del gioco si cambiano insieme”, dice su Twitter da Porta a Porta Stefano Fassina, leader di Sinistra italiana. Nessuna differenza anche per quanto riguarda il sesso degli elettori: il 40% degli uomini ha votato sì, il 60% no. Stessa cosa per le donne: il 41% ha votato sì, il 59% no.
C’è una disparità di voti da quanto emerge dai sondaggi relativi al referendum costituzionali, riguardo la modalità di voto tra Nord e Sud e alcune città. Secondo quanto emerso, infatti, il no ha stravinto al Sud Italia e nelle isole: anche al Nord ha vinto il no, ma con percentuali più basse. Al Nord, infatti, il sì ha ottenuto circa il 45% dei voti, mentre al Sud e nelle isole solo il 33%, regalando al no uno strabiliante 67% delle preferenze. Nonostante tutto a Milano ha prevalso il sì con il 51,13% dei voti: stessa cosa a Firenze, città natale del premier Matteo Renzi (56,29%). A Roma, città governata dalla sindaca del Movimento 5 Stelle Virginia Raggi, il no ha ottenuto il 59,42% delle preferenze, mentre a Napoli il 68,28%. Il no ha vinto praticamente in tutte le regioni d’Italia, tranne la Toscana, l’Emilia Romagna, il Trentino Alto Adige. Alto il numero dei giovani che è andato a votare, e che ha scelto per il no al referendum costituzionale.
Dopo la bocciatura della riforma della Costituzione al referendum riprendono i sondaggi: le dimissioni di Matteo Renzi aprono, infatti, nuovi scenari in vista delle prossime elezioni. Da dove deve ripartire il Partito democratico per non perdere terreno nel testa a testa con il Movimento 5 Stelle? “Non credo si debba buttare via ciò che si è fatto, anzi, dobbiamo rilanciare sui contenuti ma consapevoli che il lavoro di allargare il fronte per il progresso sarà duro e controvento”, ha dichiarato Pietro Bussolati, segretario del Pd Milano Metropolitana. Si è aperta, dunque, la lunga analisi sull’esito del voto e anche il segretario della Lombardia del Partito democratico resta fiducioso e infatti preferisce guardare al bicchiere mezzo pieno, nonostante i sondaggi registrino un leggero calo a distanza di una settimana dalle ultime ipotesi: “Il Pd da solo ha conquistato più del 40%, il fronte del No è rappresentato da partiti divisi su tutto”. Il Partito democratico, dunque, non teme l’ascesa del Movimento 5 Stelle, che sta rosicchiando punti agli avversari.
Il giorno dopo la possibile “minaccia” delle elezioni anticipate i sondaggi che escono dalla nottata del referendum costituzionale mostrano alcuni dati interessanti riguardo il voto specifico degli italiani in questo 4 dicembre 2016. i Interessante un parallelo, come ha fatto l’analisi sondaggi e risultati di Quorum (per Sky Tg24), sulle ultime elezioni Europee del 2014, l’ultima chiamata politica nazionale, e in quel caso si è visto che molti elettori di quella tornata hanno risposta in maniera assai diversa e variegata per questo referendum del 4 dicembre. Come ha rivisto il sondaggio di Quorum, in pratica un elettore su 4 che nel 2014 aveva votato Pd con un bagno di voti per il neo segretario Renzi, in questo referendum ha votato No, dunque ha “cambiato” idea sulla forma e gestione del Governo del presidente del consiglio e segretario Pd. Di contro, tra gli elettori del Movimento 5 Stelle alle Elezioni Europee, solo il 6% ha votato per il Sì, con il No votato dal 94% degli elettori grillini. Da ultimo invece, un elettore su 5 che nel 2014 aveva votato per un partito di centrodestra, ovvero Lega Nord, Fratelli d’Italia e Forza Italia, questa volta ha votato per il Sì, cioè andando in contro alla riforma renziana per eccellenza.
I sondaggi sul referendum costituzionale, dopo le previsioni sul voto alla consultazione di ieri, analizzano oggi i risultati usciti dalle urne. Gli italiani, come previsto dai sondaggi prima del referendum, hanno bocciato la riforma costituzionale anche se in maniera più netta di quella prevista dai vari istituti di ricerca secondo le intenzioni di voto degli elettori. Dopo la bocciatura della riforma della Costituzione QuorumSAS, istituto di ricerche demoscopiche e consulenza che lavora per imprese, partiti, candidati, media, fa un’analisi dei risultati del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Come pubblicato sull’account Twitter del magazine di QuorumSAS, YouTrend, in base ai sondaggi realizzati dall’Istituto per SkyTG24, emerge che tra chi ha votato Sì al referendum costituzionale ha contato molto di più (71%) il contenuto della riforma proposta. Prima del voto la discussione politica sul referendum aveva riguardato infatti anche la possibilità che gli elettori si esprimessero sull’azione del governo Renzi piuttosto che sui contenuti della riforma presentata.
C’è chi non ha perso tempo per eseguire i sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani, che acquistano un valore particolare dopo la vittoria del No al referendum costituzionale e le dimissioni di Matteo Renzi. Enrico Mentana nella sua maratona post voto ha infatti mostrato i dati raccolti da Emg-Acqua proprio ieri. Risulta che il Partito democratico avrebbe il 30,9% dei voti contro il 31% di una settimana fa, mentre il Movimento 5 Stelle raccoglierebbe il 30% dei consensi contro il 29,9% del 28 novembre. La Lega Nord scenderebbe dal 13,1% al 12,9%, mentre Forza Italia salirebbe dall’11% all’1,1,4%. In aumento anche Fratelli d’Italia (dal 4,2% al 4,4%) e Alleanza popolare (dal 3,5% al 3,7%). Il sondaggio ha anche analizzato i risultati di un possibile ballottaggio. Il Movimento 5 Stelle ne uscirebbe vincitore: sia contro il Pd (52,6% contro 47,4%) che contro il centrodestra (57,7% contro 42,3%). Il Pd raccoglierebbe invece il 54,5% dei consensi nel caso di ballottaggio con il centrodestra (45,5%).
I sondaggi sul referendum costituzionale non si sono sbagliati sull’esito, ma hanno sottostimato la forbice tra il No e il Sì: era stato indicato, infatti, un margine di 5 punti percentuali e, invece, sono stati registrati quasi 20 punti di scarto. La bocciatura della riforma della Costituzione è netta e clamorosa. Nella settimana di silenzio dei sondaggi è stato comunque possibile analizzare le intenzioni di voto dei partiti e sarà interessante capire se e come cambieranno in seguito all’esito referendario: il sondaggio di EMG per il Tg di La7 di fine novembre aveva registrato un calo del Movimento 5 Stelle, forse legato allo scandalo delle firme false a Palermo. Il Partito democratico era al 31%, quello di Beppe Grillo invece al 29,9%. Previsioni e numeri che potrebbero subire dei cambiamenti su effetto delle dimissioni di Matteo Renzi: il Movimento 5 Stelle sta spingendo per andare quanto prima a elezioni, cavalcando l’entusiasmo per la vittoria del No.
Sondaggi elezioni disattesi? Le rilevazioni sul voto al referendum costituzionale avevano previsto una vittoria del no sul sì alla consultazione di ieri ma non con i numeri con cui è avvenuta. Sono quasi 19 infatti i punti percentuali che dividono il sì dal no al referendum costituzionale: 40,9% contro 59,1%. Secondo i sondaggi che erano stati realizzati prima del voto il no era dato in vantaggio sul sì tra gli 8 e i 10 punti percentuali. Ed era segnalata un’alta percentuale di elettori indecisi non solo sull’andare alle urne per esprimere il proprio voto ma anche su che cosa votare tra il sì e il no alla riforma costituzionale voluta dal governo Renzi. Guardando i risultati del voto al referendum costituzionale, negli ultimi giorni dunque la percentuale di italiani indecisi, rilevata dai sondaggi elezioni, sarebbe diminuita. In base ai sondaggi effettuati prima del silenzio elettorale scattato lo scorso 18 novembre, la percentuale di elettori indecisi si attestava tra il 20 e il 30%.
La vittoria del No al referendum costituzionale come il trionfo del repubblicano Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti? L’accostamento è stato fatto dal Washington Post, secondo cui l’esito referendario certifica “una spinta significativa per le crescenti forze populiste proprio poche settimane dopo la vittoria negli Usa di Donald Trump”. L’establishment politico europeo, dunque, ha perso per il quotidiano americano un’altra occasione per fermare il “movimento anti-élite”. Per il Washington Post dopo la vittoria del No al referendum costituzionale non si può ancora parlare di deriva populista. “È ancora una prospettiva incerta”. Non lo è per il Wall Street Journal che ha descritto la bocciatura della riforma della Costituzione in Italia come “una vittoria populista nel cuore dell’Europa”. Secondo il quotidiano finanziario americano il successo schiacciante del No in Italia pone dei rischi per l’Eurozona. Sarebbe stata rinforzata, dunque, la spaccatura, “sempre più ampia, tra il contesto economico necessario per sostenere la moneta comune europea e la crescente marea del populismo nel continente”.
La personalizzazione del referendum costituzionale ha giocato contro Matteo Renzi, la cui rimonta negli ultimi giorni di campagna elettorale è stata in realtà un’illusione. L’endorsement al fotofinish di Romano Prodi non ha prodotto una spinta al Sì e, infatti, quando gli italiani si sono presentati in massa alle urne hanno fatto prevalere nettamente il No. Sono pochissime le realtà in cui il sostegno alla riforma della Costituzione è riuscito a prevalere: la sconfitta, dunque, conferma le difficoltà riscontrate durante le scorse amministrative ed emerge in particolare nelle zone colpite dalla crisi economica. Resta una sconfitta senza precedenti per il presidente del Consiglio, che potrebbe dimettersi anche da segretario del Partito democratico. Martedì 7 dicembre potrebbe essere convocata la direzione del partito e in quell’occasione ne sapremo di più. Le forze politiche che hanno sostenuto il No, invece, hanno cominciato la campagna elettorale, eccezion fatta per Forza Italia.
La vittoria del No al referendum costituzionale è nettissima: il risultato è molto negativo per Matteo Renzi, che infatti ha annunciato le sue dimissioni, e descrive un margine che nemmeno i sondaggi avevano preventivato. Le previsioni, infatti, avevano annunciato il vantaggio del No alla riforma della Costituzione, ma il margine della vittoria del Sì è maggiore rispetto a quanto ipotizzato dai sondaggisti. Evidente, dunque, che una parte silenziosa della maggioranza abbia rimpolpato il vantaggio del No disegnato dai sondaggi fino a due settimane fa. Con un effetto travolgente per i partiti italiani, in primis per il Partito Democratico. La vittoria del No al referendum costituzionale rappresenta una sorta di “rivincita” – secondo Il Gazzettino – per la minoranza del partito di cui Matteo Renzi è segretario. E, infatti, Roberto Speranza ha sottolineato: “Nel campo del No c’è stato un pezzo irrinunciabile del centrosinistra. Il risultato che si preannuncia dimostra che eravamo nel giusto”.
Batosta per Matteo Renzi e il Partito Democratico al referendum costituzionale: la vittoria del No è netta, ma al Nazareno non ci si sbilancia ancora sull’analisi del voto, anzi probabilmente domani verrà convocata la Direzione del partito per questo motivo e per discutere delle iniziative politiche da assumere. L’annuncio è stato dato dal vice segretario del Partito Democratico, Lorenzo Guerini, in conferenza stampa. Evidente la grande affluenza, quindi la partecipazione al voto degli italiani, ma i dati sono negativi per il partito guidato da Renzi: “I primi dati danno alcune indicazioni, attendiamo la conferma dei dati che deve ancora giungere per una valutazione più completa e consapevole sulle scelte che gli italiani avranno compiuto”, commenta Guerini, mentre il premier ha già annunciato le sue dimissioni. Quali scenari si aprono dunque dopo il referendum costituzionale? Il fronte del No è spaccato in tal senso tra chi spinge per le elezioni subito, come Lega Nord e Movimento 5 Stelle, e chi invece è disposto a temporeggiare, come Forza Italia. Anche a sinistra le correnti sono contrastanti, quindi il quadro politico resta complesso.
Sono diverse le opinioni riguardo le elezioni anticipate che potrebbero aver luogo dopo le dimissioni del premier di Matteo Renzi in seguito alla vittoria del no al referendum sulla riforma costituzionale. Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Beppe Grillo premono per andare subito alle urne, mentre più cauto è Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia vicino a Silvio Berlusconi che ha detto: “Il Pd ha la maggioranza ed ha il dovere di fare un altro governo visto che in Parlamento ha la maggioranza ma senza Renzi. Si deve fare una nuova legge elettorale con il più ampio concorso possibile e solo dopo andare a elezioni”. Non vuole andare alle elezioni subito anche Massimo D’Alema, che subito dopo le prime proiezioni del voto ha detto: “Capisco l’amarezza per la sconfitta, ma è irresponsabile l’idea di precipitare il Paese verso nuove elezioni senza fare una previsione sulle leggi elettorali. Io ho combattuto una scelta sbagliata a viso aperto con serenità senza rancore personale. Ora si apra un dialogo rispettoso tra i partiti”.
Cosa succederà adesso in Italia dopo le dimissioni del premier Matteo Renzi e la vittoria schiacciante del no al referendum costituzionale? Per adesso c’è incertezza più totale, ma lo scenario potrebbe chiarificarsi già domani quando Matteo Renzi presenterà ufficialmente le dimissioni al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. “Gli italiani devono essere chiamati al voto al più presto. La cosa più veloce, realistica e concreta per andare subito al voto è andarci con una legge che c’è già: l’Italicum. Abbiamo sempre criticato questa legge, ma questi partiti farebbero di peggio e ci metterebbero anni legittimando l’insediamento di un governo tecnico alla Monti. Per quanto riguarda il Senato, proponiamo di applicare dei correttivi per la governabilità alla legge che c’è già: il Consultellum”, scrive Beppe Grillo sul suo blog. “Serve VOTARE il prima possibile. Non vediamo l’ora di essere messi alla prova!”, scrive Matteo Salvini su Twitter. Esulta Marine Le Pen, presidentessa del Front National (partito di estrema destra francese), mentre il presidente della Repubblica François Hollande esprime il suo cordoglio a Matteo Renzi. Secondo il New York Times, dopo la vittoria del no, sarebbe a rischio la stabilità finanziaria italiana perché le banche sarebbero già fortemente indebitate.
Una netta affermazione del No al referendum costituzionale voluto dal governo viene oltre che dalle proiezioni anche dai dati diffusi dal ministero dell’Interno. su 61.551 sezioni sono 12.015 quelle scrutinate, il risultato vede il 59,41% di No prevalere sul 40,59% di Sì. Sono 3 milioni e 500mila circa le schede scrutinate. Al momento, stando ai principali siti di informazione, Il Sì renziano avrebbe vinto solo in Toscana e in Trentino alto Adige. Una débâcle per il segretario-premier. E’ attesa la conferenza stampa di Renzi, che intanto ha diffuso un tweet, ringraziando “comunque” tutti gli italiani.
Dai primi exit polls usciti poco dopo la chiusura dei seggi, il no appare in netto vantaggio rispetto al sì. Le proiezioni dei dati trasmesse dalla Rai vogliono il sì tra il 40% e 42% e il no tra il 58% e 60%. Per l’EMG il sì si attesta al 40,8%, il no al 59,2%. In quasi tutte le regioni d’Italia il no ha avuto la maggioranza dei voti – sempre secondo gli exit polls. Le isole hanno votato per il no: solo nelle province di Siracusa, Ragusa e Sassari si è avuta una sostanziale parità. L’affluenza ha raggiunto picchi altissimi, con percentuali ben oltre il 70%. Già alcune province hanno iniziato a essere scrutinate: a Roma si è avuta un’affluenza del 68,84% e per adesso il no si attesta al 60,07%, mentre il sì si attesta al 39,93%. A Firenze, città dove Matteo Renzi è stato sindaco per molti anni, l’affluenza è al 77,71%: il no qui sembra perdere e va sul 41,58%, mentre il sì al 58,42%. La seconda proiezione esclusiva di Termometro Politico dà il no è al 61%, il sì al 39%. Più di 2mila, secondo i dati reali forniti, le sezioni scrutate: il no si attesta sul 60%.
Riepiloghiamo i dati dei vari exit poll – voti dichiarati dagli elettori all’uscita dei seggi – usciti finora. Si sono chiuse le urne del referendum istituzionale e in attesa delle proiezioni, ecco una carrellata degli exit poll principali. Il primo exit poll Tecné diffuso da Mediaset riporta il Sì tra il 41% e il 45%, il No tra il 55% e il 59%. I primi exit poll di Emg/Acqua Group per La7 sul referendum costituzionale danno il Sì al 41-45% ed il No al 55-59%. In linea con questi primi dati anche quelli offerti da Ipr Marketing-Istituto Piepoli per Rai, diffusi dalla tv di Stato: Sì tra il 42% e il 46%, No tra il 54% e il 58%. Sono già cominciate le dichiarazioni degli esponenti politici, soprattutto del fronte del No: Salvini e Brunetta hanno chiesto le dimissioni di Renzi, Guerini, vicesegretario del Pd, aspetta i dati reali, invoca prudenza e convoca per martedì la direzione del Pd.
Chiudono i seggi del referendum costituzionale, arrivano i primi exit polls: dunque voti dichiarati dagli elettori all’uscita dei seggi, non voti reali, scrutinati. Questo il dato di Ipr Marketing Sì 42-46%, No 54-58%. Una netta affermazione del No, se questi exit polls fossero confermati. Maggiore precisione potrà arrivare solo dai dati reali. Ma se gli exit polls fossero confermati, la sconfitta di Renzi sarebbe netta e clamorosa.
A pochi minuti dalla chiusura dei seggi, per quanto fosse indietro negli ultimi sondaggi sul referendum costituzionale diffusi prima del divieto di pubblicazione, lo scenario che prevede una vittoria del Sì non è da accantonare. A tal proposito risulta interessante rileggere i risultati di un’indagine condotta da Termometro Politico tra il 14 e il 17 novembre. Il quesito domandava se fosse rischioso, in caso di vittoria dei Sì, avere un unico partito al governo e la risposta non è stata sorprendente. Tra i sostenitori delle riforme renziane soltanto il 4,31% ha definito pericolosa questa prospettiva, mentre il 92,94% non si è detto affatto preoccupato a fronte di un esiguo 2,75% che non sa. Tra gli elettori che si sono detti favorevoli al No al referendum, invece, il 79,12% è turbato dalla prospettiva di un solo partito al comando, mentre il 17,62% non lo è, e il restante 3,26% non sa.
Dei sondaggi sul referendum costituzionale 2016 si parlerà, e molto, nelle prossime ore, quando gli analisti politici confronteranno le stime dei diversi istituti sui dai reali che usciranno dal voto. Nel frattempo, però, mentre la percentuale dei votanti sembra toccare cifre insperate alla vigilia della consultazione referendaria, può tornare utile rileggere un sondaggio realizzato dall’istituto Tecné in data 16 novembre. Nell’indagine in questione si domandava agli intervistati quali fossero le motivazioni che li avrebbero spinti a votare per il Sì o per il No il 4 dicembre. Il 67,8% degli italiani ha detto di votare esclusivamente sul merito della riforma con i Sì (78,9%) in prevalenza sui No (58,9%). Al contrario, tra chi ha detto di votare sulla base di quanto realizzato dal governo in carica (28,4%) spicca il giudizio dei sostenitori del No (35,5%) rispetto a quelli che hanno fatto del Sì la loro bandiera (19,5%).
In attesa di capire quale sarà il responso delle urne in questo referendum costituzionale 2016, i sondaggi pubblicati prima dell’introduzione del divieto di pubblicazione ci consentono di vagliare il sentimento degli italiani rispetto ai possibili scenari post-consultazione. A tal proposito l’istituto Eumetra Monterosa, attraverso un’indagine datata 9 novembre 2016 commissionata da Libero Quotidiano, ha domandato ai soggetti intervistati se credono che una vittoria del NO al referendum porterebbe ad uno stato di crisi economica e finanziaria o comporterebbe comunque gravi conseguenze per il Paese. La risposta degli intervistati è stata per l’83% negativa, mentre il 17% si è dimostrato preoccupato per le sorti del Paese in caso di successo del No. Gli elettori più convinti che una vittoria del No non avrebbe ripercussioni negative per l’Italia sono risultati essere quelli del M5s (86,40%) e quelli di Forza Italia (86%). L’incertezza rispetto al futuro dell’Italia dopo il voto, dunque, secondo gli ultimi sondaggi sul referendum non giocherà un ruolo determinante in questa consultazione.
Sulla schiera dei primi exit poll e proiezioni che arriveranno sul referendum costituzionale pochi minuti dopo la chiusura delle urne (alle ore 23), si avvicinano anche i primi sondaggi dopo 15 giorni di divieto elettorale. La componente però che agita l’opinione pubblica e gli analisti di settore in queste ultime ore di voto sulla riforma costituzionale, è sempre la medesima, specie dopo un 2016 fatto di clamorosi flop nei sondaggi politici a ridosso del voto: gli errori su exit poll, sondaggi, proiezioni e previsioni sul risultato finale rischiano anche in questo delicatissimo caso, dove in gioco ci sono sole due elementi – Sì e No – di decidere molto le prime ore post-voto. Chi non nasconde perplessità e preoccupazioni è Roberto Weber presidente dell’Istituto Ixè: «Gli errori sono una componente del nostro mestiere che ho sempre temuto. Ci possono essere delle sorprese, provenienti soprattutto dal sud, dove questa volta si potrebbe registrare una affluenza mai vista. Comunque se dovessi scommettere dei soldi li punterei sul Si». Resta da tener conto che si tratta di numeri e proiezioni su intenzioni di voto o su espressioni fuori dalle urne, non sempre al 100% dell’affidabilità.
Ancora poche ore d’attesa e poi i sondaggi per il referendum costituzionale di oggi, 4 dicembre 2016, cederanno definitivamente il passo ai dati reali dello spoglio. Proprio i sondaggi, però, negli ultimi giorni sono finiti sotto accusa, soprattutto dopo i buchi nell’acqua verificatisi per la Brexit e per le elezioni americane. A questo proposito può risultare interessante analizzare l’indagine condotta dall’Istituto Piepoli lo scorso 14 novembre quando agli italiani è stato chiesto che impatto avrebbe potuto avere sul referendum italiano l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Secondo il 76% degli intervistati la vittoria del Repubblicano avrebbe potuto favorire una vittoria del No, mentre il 24% degli italiani credeva che a ricevere maggiore slancio dal successo a sorpresa del tycoon sarebbe potuto essere il fronte del Sì. Per onor del vero, però, bisogna aggiungere il fatto che la maggioranza degli intervistati (il 55%) ha dichiarato nello stesso sondaggio che le presidenziali americane avrebbero influito “poco o per nulla” sull’esito del referendum costituzionale italiano. Avranno ragione?
L’attesa per exit poll e le prime proiezioni dei risultati sul referendum costituzionale è sempre più spasmodica, con i sondaggi che ancora restano vietati fino alle ore 23, quando chiuderanno le urne in tutta Italia. Un sondaggio tra quelli pubblicati prima del divieto, su tutti, resta interessante specialmente per gli ultimi dati di affluenza che vedono in realtà una buona partecipazione al voto praticamente dappertutto: nei sondaggi prodotti da Termometro Politico del 18 novembre scorso, è stato chiesto agli italiani intervistati «Quale sarebbe il suo atteggiamento davanti a una legge su cui la sua opinione è minoranza?». Le risposte sono state molto interessanti e potrebbe scontrarsi con quanto uscirà dal voto questa sera/notte dopo i primissimi exit poll del referendum costituzionale: tra gli elettori del Sì, il 6,62% riteneva che bisogna impedire che passi la riforma a qualsiasi costo, mentre l’86% ritiene che sia giusto che la legge passi e che la si provi per poi poterla cambiare se non funziona. Tra gli elettori del No invece è ben il 57% che ritiene bisogna impedire che passi a qualsiasi costo (dunque anche dopo il referendum), mentre il 29% considera sia “giusto che la legge passi e che la si provi per poi poterla cambiare se non funziona”.
Erano tanti, secondo i sondaggi referendum costituzionale effettuati prima dello stop alla pubblicazione scattato lo scorso 18 novembre, gli italiani indecisi sul voto della consultazione di oggi sulla riforma della Costituzione. In base ai risultati della rilevazione effettuata da Sigma Consulting dal 7 al 9 novembre scorso, e pubblicati dall’agenzia di stampa Dire lo scorso 15 novembre, il 31% dei votanti era indeciso su cosa votare e il 29% degli elettori era addirittura indeciso se andare a votare. Tra gli italiani che al contrario avevano già deciso di andare a votare il No era in vantaggio sul Sì di ben dieci punti: 55% contro 45% delle preferenze indicate dagli elettori intervistati. Infine il 14% degli elettori aveva già deciso, sempre secondo questi sondaggi, che non sarebbe andato a votare al referendum costituzionale. Queste percentuali, a distanza di giorni, saranno cambiate?
Dopo aver sbagliato le previsioni con il voto della Brexit e su Donald Trump, i sondaggisti sono finiti al centro di numerose critiche. Quelli italiani, ad esempio, sottostimarono il risultato del Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni politiche, sovrastimandolo invece a quelle europee. Non nasconde le sue perplessità Roberto Weber, presidente dell’Istituto Ixè: “Gli errori sono una componente del nostro mestiere che ho sempre temuto”, ha dichiarato a La Stampa, spiegando che potrebbero esserci delle sorprese, soprattutto dal Sud: “Questa volta si potrebbe registrare una affluenza mai vista”. Weber poi si è sbilanciato sul possibile esito del referendum: “Se dovessi scommettere dei soldi li punterei sul Si”. Dal mirino delle critiche si sposta anche Alessandra Ghisleri, direttrice di Euromedia Research: “Paura di cosa? Faccio un lavoro normale, non ho la palla di cristallo”, ha dichiarato, aggiungendo che il suo lavoro è semplicemente quello di “raccontare come stanno evolvendo le cose”.
Nel giorno del referendum costituzionale ci si chiede quanto siano informati gli elettori sui quesiti. Secondo gli ultimi sondaggi pubblicati prima dello stop scattato lo scorso 18 novembre gli italiani non sembravano molto a conoscenza dei quesiti della consultazione. In base ai risultati di sondaggi referendum costituzionale effettuati da Sigma Consulting dal 7 al 9 novembre scorso – e pubblicati dall’agenzia di stampa Dire lo scorso 15 novembre – la maggioranza degli italiani conosceva poco o nulla la riforma. Alla domanda ‘Lei, quanto si sente informato sui contenuti della riforma proposta?’ il 39% aveva risposto ‘poco informato’ e il 15% ‘per nulla informato’. Gli elettori che al contrario si sentivano informati sui quesiti del referendum costituzionale erano il 36% (‘abbastanza informato’) e il 10% (‘molto informato’). Chissà se nel frattempo, dalla realizzazione di questi sondaggi referendum costituzionale, la conoscenza dei quesiti referendari da parte degli elettori è cambiata.
Cresce l’attesa per i risultati del referendum costituzionale, ma le urne non sono ancora chiuse, quindi bisognerà aspettare le 23 per le prime proiezioni. Gli exit polls saranno disponibili solo dopo la chiusura della votazione, dopo 30 minuti, invece, saranno disponibili le proiezioni del risultato in base ai voti effettivamente contati. Stando a quanto riportato dal tabloid britannico The Independent, che sta seguendo con particolare attenzione il referendum costituzionale, potrebbe essere chiaro chi ha vinto tra Sì e No verso l’1. Se, però, la “battaglia” si rivelasse serrata, allora l’attesa potrebbe prolungarsi fino a quando il conteggio non sarà completato, cioè fino alle 2-3 del mattino. Al momento i dati a disposizione sull’affluenza sono positivi: alle 12 è stata registrata una percentuale superiore rispetto a quella delle elezioni europee del 25 maggio 2014. Fino alle 12 hanno votato il 20,14% degli elettori, mentre per le europee il dato corrispondente è stato del 16,67%.
Il giorno del voto per il referendum costituzionale i sondaggi sono ovviamente ancora nascosti fino alle 23 di questa sera, quanto a urne chiuse si potrà nuovamente pubblicare exit poll e sondaggi con le intenzioni di voto degli italiani. Stando però a quanto pubblicato prima del divieto elettorale, un dato su tutti sarà interessante verificare alla luce dell’affluenza accertata alle ore 12 (dati Viminale), ovvero il 20,10% che resta un dato assai alto per un referendum senza quorum. Ai sondaggi pubblicati il 17 novembre scorso sul voto referendario del 4 dicembre, l’Istituto Ixè aveva posto questa domanda agli intervistati, «Al referendum costituzionale, lei andrà a votare?». Il sondaggio aveva decretato un 62% di affluenza generale, con il 27% di astensione accertata che oggi bisognerà verificare: in linea di massima, con un’affluenza del genere il rischio paventato di un astensione alta sembra ormai escluso, e dunque un 27% come dato finale ipotizzato potrebbe effettivamente e incredibilmente avverarsi, dopo mesi in cui è stato detto che l’affluenza al voto non sarebbe stata altissima per il referendum costituzionale.
I sondaggi per il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 sono andati in letargo da ormai 2 settimane, e ancora di più nel giorno della consultazione referendaria è vietato fornire numeri o percentuali che dicano dello stato della corsa tra il Sì e il No. Si può però dare conto, senza per questo influenzare il voto, dei dati relativi alla campagna di comunicazione in corso sul web dove lo schieramento di Matteo Renzi ha completato la rimonta rispetto al fronte del No. Come riportato da medium.com, il Sì è partito nel gennaio del 2016 da un “rumore della Rete” inferiore al 25% raggiungendo una settimana fa picchi superiori ai 90 punti percentuali. Più costante il fronte del No, partito da una base più alta, leggermente inferiore al 75%, e superato al fotofinish proprio ai sostenitori del Sì. Cosa significa? Non che il Sì abbia superato il No in termini di voti ma che la battaglia, per quanto non si tratti di sondaggi calibrati, rischia di tramutarsi realmente in un testa a testa.
Giornata di voto oggi per il referendum costituzionale: in attesa degli exit polls gli italiani si chiedono se i sondaggi saranno rispettati. Secondo le rilevazioni effettuate prima dello stop alla pubblicazione scattato lo scorso 18 novembre, il no sarebbe in vantaggio sul sì. Dunque la riforma della Costituzione voluta dal governo Renzi sarebbe bocciata dagli elettori. E, in base ai risultati dei vari sondaggi sul referendum costituzionale, il distacco tra i sostenitori del no e quelli del sì sarebbe ampio. Secondo la rilevazione realizzata da Euromedia Research per il proprio Osservatorio Politico lo scorso 16 e 17 novembre, i punti di distacco sarebbero ben 8. Al campione di elettori intervistato è stato chiesto di indicare le proprie intenzioni di voto a favore o contro la riforma della Costituzione. E tra coloro che hanno dichiarato di andare sicuramente a votare per il referendum è prevalso appunto il no. Il 54% ha infatti dichiarato che voterà no, cioè per non approvare il testo di questa legge costituzionale, contro il 46% che si è al contrario espresso a favore del sì, ovvero per approvare la riforma costituzionale.
E’ arrivato il giorno del voto per il referendum costituzionale e tra poche ore sapremo quali saranno gli exit polls e soprattutto se i vari sondaggi effettuati prima della consultazione hanno azzeccato o meno il risultato. Gli italiani sono chiamati alle urne oggi per approvare o bocciare la riforma costituzionale voluta dal governo: secondo i sondaggi referendum costituzionale realizzati prima dello stop alla pubblicazione scattato lo scorso 18 novembre, il no era dato di vari punti in vantaggio sul sì. Ma agli elettori sono state anche chieste altre valutazioni in vista della consultazione. L’Istituto Eumetra Monterosa S.r.l., in una rilevazione pubblicata dal Quotidiano Libero lo scorso 17 novembre, ha indagato sulla valutazione degli italiani delle conseguenze economiche del voto di oggi. Al campione di elettori intervistato è stato infatti chiesto: “Alcuni osservatori politici sostengono che una vittoria del No porterebbe ad uno stato di crisi economica e finanziaria per l’Italia. Altri non sono d’accordo. Secondo Lei?” E nella stragrande maggioranza, l’83%, gli italiani hanno risposto che “una vittoria del No non avrebbe queste gravi conseguenze”. Secondo questi sondaggi solo per il 17% degli elettori intervistati una vittoria del No al referendum porterebbe ad uno stato di crisi economica e finanziaria.
Continuano a circolare sotto forma di conclavi o corse ippiche, e ultimamente si parla anche di gare automobilistiche, ma in fondo sappiamo tutti cosa sono: sondaggi sul referendum costituzionale clandestini. Ora, lungi da noi l’ipotesi di violare il divieto elettorale, la domanda sorge spontanea: perché i sondaggi sono vietati? La risposta è ovvia: si vuole evitare prima di tutto che gli elettori vengano condizionati dall’andamento del voto. Quasi un modo per dire che gli italiani potrebbero decidere di salire sul carro del vincitore, o al contrario credere che è inutile salirci, visto il vantaggio, restando a casa pensando che a votare andrà comunque qualche altro. A regolamentare il tutto è la legge 28 del 2000, quella sulla famosa par condicio, secondo cui a 15 giorni dalla consultazione non possono essere più pubblicati sondaggi relativi alla partita elettorale. Come ricorda Il Post, una norma simile non ha eguali né in Europa né nel mondo occidentale: solo in Francia è presente un divieto, relativo però soltanto alle 24 ore precedenti al voto e agli exit poll nel giorno delle elezioni (comprensibile). Il caso più simile a quello dell’Italia, secondo il sito di Luca Sofri, è quello del Mozambico, dove il divieto di pubblicare sondaggi è in vigore per tutta la durata della campagna elettorale. E almeno in Mozambico c’è da apprezzare una certa coerenza…
Il No è ancora in vantaggio sul Sì in vista del referendum costituzionale di domani? Non è più possibile stabilirlo, perché in Italia è vietato pubblicare sondaggi nei 15 giorni che precedono il voto. Le società che si occupano di sondaggi, però, non smettono improvvisamente di farli, del resto la legge ne vieta solo la diffusione, quindi continuano a circolare tra partiti e addetti ai lavori. Da alcuni anni allora imperversano “sondaggi clandestini”, travestiti da “corse di cavallI” e “retroscena sul conclave”. Non è possibile verificare la loro attendibilità, quindi per ora possiamo attenerci ai dati che emergono dai social network. Su Twitter, ad esempio, gli hashtag #bastaunno, #iovotono e #no hanno superato per una settimana gli omologhi, ma contrari, #bastaunsì, #iovotosì e #sì. Il 19 novembre, però, è stato registrato un sostanziale pareggio, mentre – come riportato da Il Foglio – nella serata del 23 novembre, quella in cui il premier Matteo Renzi è stato ospite di Porta a Porta, i sostenitori del Sì hanno avuto la meglio sui social.
I sondaggi referendum costituzionale, effettuati prima dell’obbligo di silenzio a partire dallo scorso 18 novembre, hanno anche rilevato la valutazione degli italiani sulla situazione all’interno del Pd. Il Partito Democratico guidato dal premier Matteo Renzi ha infatti segnato una spaccatura al suo interno proprio sul voto sulla riforma della Costituzione. Gli elettori del Pd non saranno quindi uniti nel voto domani 4 dicembre. E L’Istituto Piepoli, nella rilevazione effettuata lo scorso 14 novembre per la Stampa, ha chiesto agli italiani di dare il proprio giudizio sulla spaccatura all’interno del Pd. La domanda posta al campione di elettori è stata: “Gianni Cuperlo ha deciso di votare sì. Per alcuni questo porterà a una maggiore unione nel Pd, per altri favorirà una scissione. Lei che cosa si augura?”. E le risposte sono state: per il 34% una maggiore unione nel partito, per il 40% una separazione tra la maggioranza che vuole il sì e la minoranza che vuole il no, senza opinione il 26%.
Si avvicina sempre di più il voto e continua il silenzio per quanto riguarda i sondaggi sul referendum costituzionale: si va verso gli exit polls dei risultati. Prima dello stop alla pubblicazione delle rilevazioni, scattato lo scorso 18 novembre, sono state comunque indagate le intenzioni di voto degli italiani alla consultazione di domani 4 dicembre. Secondo i sondaggi referendum costituzionale realizzati da Termometro Politico dal 14 al 17 novembre scorso, gli italiani sarebbero divisi non solo sul si e il no alla riforma elettorale ma anche sul peso dei partiti piccoli. Al campione di elettori è stato infatti chiesto se questi partiti devono avere un ruolo e un potere di veto? Tra elettori del Sì le risposte alla domanda sono state: Sì 9,2%, No 84,81%, No so 6%. Mentre tra elettori del No le riposte sono state opposte, anche se con percentuali differenti: Sì 49,82%, No 41,34%, Non so 8,84%.
E’ trasversale il no al referendum costituzionale 2016 secondo i sondaggi effettuati prima dello stop dello scorso 18 novembre. L’Istituto Piepoli ha realizzato una rilevazione lo scorso 14 novembre per il quotidiano la Stampa: dai risultati di questi sondaggi emerge che il voto contrario degli italiani alla riforma voluta dal governo guidato da Matteo Renzi attraversa tutti gli schieramenti politici da sinistra a destra. Sono queste infatti le percentuali, per partito politico, del no al referendum costituzionale: Partito Democratico 13%, Sinistra Italiana 75%, Forza Italia 80%, Lega Nord 78%, Movimento 5 Stelle 86%. Per quanto riguarda invece il fronte del sì, cioè quello degli elettori favorevoli alla riforma costituzionale e che quindi voteranno per la sua approvazione, ecco quali sono le percentuali emerse da questi sondaggi: Partito Democratico 85%, Sinistra Italiana 25%, Forza Italia 20%, Lega Nord 22%, Movimento 5 Stelle 14%.
Si vota domani per il referendum costituzionale e, secondo gli ultimi sondaggi politici pubblicati prima del silenzio scattato lo scorso 18 novembre, la maggioranza degli italiani avrebbe già compiuto una scelta definitiva sul voto. In base infatti ai risultati dei sondaggi effettuati lo scorso 14 novembre dall’Istituto Piepoli per la Stampa, per il 72% degli elettori la scelta è definitiva. Mentre per il 24% degli italiani non sarebbe ancora definitiva. Infine il restante 4% ha risposto di non sapere. Agli elettori indecisi in questi sondaggi referendum è stato chiesto: “Lei mi ha detto di essere ancora indeciso su cosa votare al referendum costituzionale, ma si sente più vicino al sì o al no?”. E le risposte sono state ancora in maggioranza centrate sull’indecisione: il 48% ha infatti risposto di non sapere, il 24% di sentirsi più vicino al sì e il 28% di sentirsi più vicino al no. Vedremo domani sera, con i primi exit polls alla chisura dei seggi, quale sarà l’esito del voto al referendum costituzionale e se effettivamente i sondaggi politici degli ultimi mesi avevano azzeccato le previsioni di una vittoria del no sul sì oppure le rilevazioni erano sbagliate.
Non è più possibile pubblicare sondaggi sul referendum costituzionale, ma in attesa degli exit poll possiamo tirare le somme sulle rilevazioni statistiche degli ultimi mesi. Da quando il referendum è stato “personalizzato” da Matteo Renzi, il fronte del Sì – che inizialmente era in vantaggio – si è fatto sorpassare dai sostenitori del No. Molti infatti, come riportato da Termometro Politico, voteranno seguendo una prospettiva politica, quindi esprimendo o meno il gradimento al presidente del Consiglio, quindi la fiducia o sfiducia sul governo avrà peso sull’esito del referendum. Il sorpasso nei sondaggi si è concretizzato secondo tutti gli istituti tra ottobre e novembre, ma costante è stata anche la riduzione del numero degli indecisi. Attenzione, però, al cosiddetto “voto occulto”, cioè una dichiarazione di voto differente dalle reali intenzioni. Per questo il margine tra il Sì e il No sarebbe più “sottile” di quanto previsto dai sondaggi.
Meno uno al referendum costituzionale: sondaggi politici vietati fino a domani, quanto si attenderanno i primissimi exit polls alla chiusura dei seggi alle ore 23 di domenica sera 4 dicembre 2016. Come ogni volta, specie dopo questo 2016 “barbaro” per l’effettiva validità dei sondaggi, la domanda sorge: le indicazioni che arrivano prima dei risultati effettivi saranno attendibili oppure no? Tutti i sondaggi condotti fino al giorno del divieto elettorale, e che vedevano il No avanti in tutti i sistemi di sondsaggistica, avranno avuto ragione o verranno smentiti come illustri volte passate? Un esempio su tutti sono state le ultime elezioni politiche in Italia, quelle famose del 2013 che hanno consegnato l’attuale stato di cose in Parlamento: una vittoria di Pirro per il Pd di Bersani che conquistava la maggioranza alla Camera ma che invece era sotto al Senato, motivo per cui il governo ha stentato a formarsi e il Presidente Napolitano dopo le varie consultazioni ha dovuto assegnare il premieranno a Enrico Letta, poi sostituito da Matteo Renzi. Quella sera delle elezioni 2013 il Pd ha esultato all’inizio con i primi exit polls che lo davanti vincente con larga maggioranza su Camera e Senato, mentre Centrodestra e M5s sembravano battuti senza possibilità di replica. Cambiò tutto con le prime proiezioni reali che raccontavano una realtà ben diversa: il commento dell’Istituto Cattaneo all’epoca fu esemplare da questo punto di vista, «In Italia i sondaggi si fanno spesso in maniera superficiale: su campioni piccolissimi e basati sui telefoni fissi, mentre molti giovani, che sono una parte importante dell’elettorato di Grillo, usano solo il cellulare». M5s infatti ottenne un risultato storico essendo la prima volta che si presentava alle elezioni politiche, un movimento così strano e così diverso dal normale bipolarismo che aveva dominato le ultime stagioni della Politica. Non ci credeva nessuno, neppure i sondaggi, e invece il 25% fu raggiunto e mise in crisi entrambi i poli, consegnando la situazione che più o meno, a livello nazionale, ci troviamo oggi ad affrontare. Mail 5 dicembre mattina, come finirà?
Se si parla di sondaggi e di exit polls, nonostante oggi ci troviamo in Italia alla vigilia del voto referendum costituzionale così diverso da un voto sull’uscita o meno dall’Europa, non possiamo non citare il macro-esempio della Brexit: il referendum in Regno Unito nel giugno scorso che chiedeva ai cittadini inglesi se rimanere o uscire dall’Euro e dall’Ue, vedeva un stuolo di sondaggi e anche i primi exit polls che accertavano la vittoria del Remain, in lega maggioranza. E invece alla fine il 51,9% dei voti andarono per il Leave con la Brexit, incubo spettrale per mesi, che si impose agli occhi del mondo. I primi dati diffusi da Sky davano i contrari all’uscita dall’Europa in vantaggio con il 52%, con un’affluenza dell’83%, così i primi opinion poll dati che hanno tratto in inganno praticamente tutti. In un intervista a Today dopo la Brexit, Lorenzo De Sio, professore associato presso la LUISS Guido Carli e socio fondatore del Centro Italiano Studi Elettorali, provò a spiegare il possibile fallimento dei sondaggi, senza però drammatizzare. «Siamo nell’ordine del margine statistico di incertezza, non si tratta di un evento nuovo nè tantomento isolato. In una competizione simile, dove la vittoria è stata decisa da pochi migliaia di voti, sondaggi ed exit poll sono particolarmente delicati».
Dopo la Brexit e prima del referendum costituzionale italiano, per i sondaggi e gli exit poll conseguente, l’appuntamento elettorale dell’anno è stata l’elezione del presidente Usa. E qui una fittissima incetta di dati, sondaggi, commenti e previsioni prima del voto americano aveva pronosticato la larga vittoria di Hillary Clinton come prima presidente donna degli Stati Uniti. Donald Trump, considerato da media e vip americani come lo spauracchio che gli americani non avrebbero mai seriamente votato, si è ritrovato dopo una prima infornata di exit polls subito dopo il voto che vedevano in vantaggio la candidata democratica, il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America. All’indomani del voto, tutti gli analisti si chiedono in cosa abbiano sbagliato i sondaggi. «Considerata la quantità di rilevazioni in cui la candidata democratica era in vantaggio, da Five Thirty Eight al New York Times, la possibilità di vittoria di Hillary Clinton superava il 70 per cento. Finché l’ex First Lady non ha perso la Florida, e soprattutto finché la Pennsylvania e il Wisconsin non sono diventati, a sorpresa, completamente rossi», scriveva la Stampa il day after l’elezione di Trump. La teoria degli “shy Trump-ers” in questo caso e anche in famosi casi del passato (vedi Berlusconi) si affermò come una delle possibili risposte: elettori nascosti e che non volevano ammettere che avrebbero votato il candidato “considerato” incandidabile dall’opinione pubblica. Ma sul nostro referendum, un discorso del genere, si può applicare?