Mattarella ha congelato le dimissioni del presidente del Consiglio fino all’approvazione della legge di bilancio. Il Pd freme. Grillo invoca le urne usando l’Italicum, Salvini vuole votare con qualunque legge elettorale e dice no a qualunque governo di scopo; secondo Berlusconi spetta al Pd dare vita a un nuovo governo. Le dimissioni di Renzi hanno innescato una forte accelerazione politica, in cui la fine del governo Renzi e la bocciatura della sua riforma sembrano privare il paese di punti fermi. Non è così, spiega il costituzionalista Stelio Mangiameli, per il quale “in questo momento il versante europeo e internazionale appare più importante di quello interno”. Ora Mattarella è l’arbitro della crisi: tocca a lui gestire la transizione. Ecco come.
Il No ha vinto. Di che cosa ha bisogno il Paese adesso?
Vi sono due urgenze istituzionali: la prima è il percorso della legge di stabilità; la seconda le modifiche che le istituzioni europee, già oggi, hanno chiesto all’Italia. Questi profili sono rilevanti perché potrebbe darsi che a fronte della manovra da 27 miliardi della legge di stabilità possa essere necessaria una manovra correttiva, nel marzo del 2017, dallo 0,4% all’1% del Pil, tra 6 e 15 miliardi circa, anche per evitare nel prossimo anno l’applicazione delle clausole di salvaguardia, tra cui l’aumento dell’Iva.
Cosa vuol dire, politicamente?
Che in questo momento il versante europeo e internazionale, quello dei mercati per intenderci, appare più importante di quello interno, nel quale si situa la questione della legge elettorale e quella delle elezioni “il prima possibile”, come molte forze politiche pretenderebbero. “Il prima possibile” non può significare a discapito di quello che può accadere al debito italiano, allo spread con i titoli tedeschi e alla tenuta del nostro sistema bancario.
Che ruolo spetta in questa fase al capo dello Stato?
Il presidente della Repubblica ha la funzione costituzionale di risolvere le crisi istituzionali e di assicurare al Paese un governo stabile con una maggioranza in Parlamento, oppure — constata l’impossibilità di formare un governo — di procedere allo scioglimento delle Camere e a indire nuove elezioni per il rinnovo della rappresentanza.
Dunque è l’arbitro della crisi. Alla luce delle sue considerazioni, che cosa potrebbe fare?
Nonostante le due alternative siano nella sua disponibilità, appare credibile che il presidente Mattarella, prima di sciogliere le Camere, senta due preoccupazioni: la prima è certamente quella di mantenere un buon livello nelle relazioni europee, tanto più che oggi (ieri, ndr) i toni adoperati da Dijsselbloem e da Moscovici sono stati molto diplomatici (il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha esortato l’Italia a rispettare nel 2017 i parametri del patto di stabilità, ndr) lasciando all’Italia il tempo per risolvere la crisi governativa post-referendum.
E la seconda?
La seconda potrebbe essere quella di prendere tempo. E l’approvazione delle modifiche alle leggi elettorali è una buona motivazione.
Perché altro tempo, professore?
Per far sì che il sistema politico, attualmente alquanto dissestato, possa riordinarsi almeno un po’. Andare a votare nelle condizioni attuali potrebbe essere un po’ come un salto nel vuoto.
“Riordinarsi” esattamente cosa significa?
Non si tratta di consentire ai partiti di scrivere i loro programmi elettorali, o di consentire loro di fare le necessarie alleanze, oppure di procedere a chiarimenti interni ed esterni, e via dicendo. Ma di dare al sistema politico un centro di gravità nazionale, comune e unitario, che tutti i partiti dovrebbero condividere. Senza questo centro di gravità il sistema politico potrebbe entrare in crisi anche subito dopo le elezioni, di fronte ai prossimi eventi.
Lo ha detto: la verifica europea del bilancio italiano.
Quello, ma non solo. Le elezioni presidenziali in Francia, entrambe a marzo, e le elezioni politiche a ottobre in Germania. Nel giro di dodici mesi l’Europa potrebbe essere un’altra e l’Italia necessita di avere una visione della sua collocazione, condivisa all’interno, se si vuole che i partner europei possano mantenere con noi rapporti buoni e utili.
Come commenta il doppio incontro di ieri tra Renzi e Mattarella?
Renzi avrebbe fatto bene a far conoscere le sue determinazioni (quelle di dimettersi dopo la sconfitta al referendum, ndr) solo dopo avere riferito al presidente della Repubblica, senza bisogno di metterlo di fronte al fatto compiuto. Cosa, questa, che ha obbligato il capo dello Stato a chiamare a colloquio questa mattina informalmente Renzi.
Qualcuno dice: votiamo subito, una legge elettorale c’è, è l’Italicum. Hanno ragione o hanno torto?
Il problema dell’Italicum, come abbiamo sempre detto, è che il sistema elettorale previsto porta a conseguenze contraddittorie senza assicurare rappresentatività e governabilità. Inoltre è probabile che la Corte costituzionale possa dichiararlo, almeno in parte, incostituzionale.
Ma l’Italicum è “sopravvissuto” o no alla bocciatura della riforma?
Il voto referendario formalmente non tocca la legge elettorale, ma questa è figlia della medesima logica che ha animato la riforma costituzionale Renzi-Boschi. Già prima del voto di domenica la si voleva modificare, a maggior ragione dovrebbe essere modificata dopo il risultato del referendum e sarebbe meglio modificarla prima della sentenza della Corte.
Dall’altra parte c’è il consultellum. Vuole ricordarci da dove viene, come funziona e se e in quale misura è utilizzabile?
Il consultellum, nato dalla sentenza 1/2014 della Corte costituzionale, è immediatamente adoperabile, ma dopo la decisione costituzionale ha un impianto sostanzialmente proporzionale.
Al sussidiario lei ha già detto di essere sfavorevole ad elezioni usando l’Italicum più il consultellum per il Senato. Che cosa bisogna fare?
Questo è il corno del dilemma. Il parlamento è rimasto bicamerale e il bicameralismo si mantiene perfetto. Di conseguenza, il governo deve avere la fiducia di entrambe le camere. La qual cosa è praticamente impossibile se una camera è eletta con una legge elettorale ipermaggioritaria e l’altra con una legge proporzionale. Occorre che le leggi elettorali delle due Camere, pur contenendo dei criteri di differenziazione, non diano vita a rappresentanze che non possano lavorare insieme. Altrimenti il sistema parlamentare si bloccherebbe.
In che modo adesso si tengono insieme tempi, legge elettorale e governo che si intende formare?
Il presidente intende congelare la crisi sino all’approvazione della legge di stabilità e sarebbe auspicabile correggerla sin d’ora, in modo da scongiurare manovre correttive in primavera. Se si ricompone il profilo del rapporto tra l’Italia e l’Unione europea sul bilancio statale, allora appare possibile dare vita a un nuovo governo che consenta al parlamento di assumere decisioni condivise sulle leggi elettorali, per votare nella finestra tra le lezioni francesi e quelle tedesche, probabilmente a giugno del prossimo anno.
Che parte tocca ai partiti, o a quel che ne resta?
Occorre che agiscano responsabilmente rispetto alle scadenze che si renderanno palesi alla fine del prossimo anno con l’approvazione della legge di bilancio 2018.
(Federico Ferraù)