Mentre si cercano, in modo piuttosto concitato, i tempi per approvare la legge di stabilità, accettare le di dimissioni del governo Renzi, far quadrare i conti politici nel Pd, nel Paese e in Europa, dopo il risultato del referendum costituzionale, si intravvedono scenari che possono sembrare inediti, ma che non pare siano campati sulla luna. I commenti e le parole in libertà , in questo momento si sprecano. C’è chi spinge per andare subito alle elezioni, addirittura usando l’Italicum anche al Senato. E’ l’ultima dichiarazione del guru-comico dei “pentastellati”, Beppe Grillo. C’é chi brancola nel buio di una soluzione tecnica o, come si dice, di scopo. Ma anche l’equilibratissimo Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sa benissimo che una soluzione tecnica potrebbe anche portare a “moti di piazza” spiacevoli, vista la “simpatia” che si porta con se il senatore a vita Mario Monti e il suo esecutivo. Ma per qualche giorno ancora ci potrebbero essere manovre di “distrazione di massa”, per suggerire alla fine una soluzione che potrebbe sbrigare i problemi istituzionali come la legge elettorale (con un accordo ampio), risolvere alcuni problemi di governo, ricucire i rapporti con l’Europa che in questo periodo, al di là degli endorsement e dei salamelecchi di rito, sono diventati piuttosto tesi.



Forse da una settimana o da una decina di giorni, al di là delle dichiarazioni di incertezza sul risultato, c’era qualcuno che i sondaggi, quelli”veri”, li ha scrutati attentamente e ha cominciato a ragionare di conseguenza. Quasi all’improvviso, mercoledì 30 novembre, dopo mesi di quasi silenzio e una dichiarazione “non dirò per chi voto neppure sotto tortura” Romano Prodi, il professore per antonomasia, l’uomo dell’Ulivo e di “tanto altro” che poi diremo, si esibisce in una dichiarazione molto sofferta, al limite dell’ambiguità. Dice improvvisamente: “Anche se le riforme proposte non hanno certo la profondità e la chiarezza necessarie, tuttavia per la mia storia personale e le possibili conseguenze sull’esterno, sento il dovere di rendere pubblico il mio “Si”. Nella speranza che questo giovi al rafforzamento delle nostre regole democratiche, soprattutto la riforma della legge elettorale”. Una specificazione quest’ultima veramente incredibile, ma molto calzante alla fine di questo referendum. Si dice che molti aspiranti al posto di Renzi, tipo il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, il presidente del Senato, Pietro Grasso, e l’impareggiabile “pasionaria”, Laura Boldrini, abbiano reagito con una smorfia di fastidio. Anche perché la dichiarazione di Prodi aveva una connotazione patriottica più che fastidiosa: “Un si naturalmente rispettoso di chi farà una scelta diversa”.



Prodi parla per un attimo anche dei suggerimenti della mamma “meglio succhiare un osso che un bastone”. Ma a parte queste digressioni arriva al nocciolo: “Voglio solo ricordare che la mia storia personale è stata tutta nel superamento delle vecchie decisioni che volevano sussistere nonostante i cambiamenti epocali in corso”. E qui c’è una rivendicazione forte dell’esperienza dellUlivo: “Questo era l’Ulivo. La mia vicenda personale si è identificata nel tentativo di dare a questo Paese una democrazia finalmente efficiente e governante: questo è il modello maggioritario e tendenzialmente bipolare che le forze riformiste hanno con me condiviso e sostenuto”. 



C’è pure una botta a Massimo D’Alema e forse allo stesso Renzi, tanto per regolare i conti magari nel futuro Pd: “C’è chi ha voluto ignorare e persino negare quella storia, come se le cose cominciassero sempre da capo, con una leadership esclusiva, solitaria ed escludente. E c’è chi poi ha strumentalizzato quella storia rivendicando a sé il disegno contrastato”.

Il primo dicembre, uno dei giornali più interessati e più informati di problemi economici e internazionali europei, “la Stampa”, della stessa famiglia che ha investito nell’ Economist, settimanale che ha fatto l’endorsement sul “No”, spiega con un certo divertimento: “Il professore sembra un uomo sollevato. “Si è stata una decisione sofferta. Certo, da tempo avevo deciso come votare, ma stamattina, correndo sotto i portici a Bologna, ho definitivamente maturato la convinzione che fosse giusto rendere pubblico il mio voto, anche se da diversi anni ormai non prendevo posizione su temi di politica italiana”. Insomma, a Prodi, il jogging mattutino sotto i portici bolognesi porta consiglio tre giorni prima del voto. Che coincidenze! Fabio Martini è un bravissimo cronista e analista politico, Maurizio Molinari è il direttore più intelligente e più informato a livello internazionale che staziona, al momento, in Italia. Saranno tutte coincidenze, ma vale la pena di arrivare alla “predica domenicale” di Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano della “sinistra colta e intelligente” e sempre interessato, soprattutto con il suo editore, a vari raid sui mercati finanziari internazionali. Che cosa scrive questa volta Scalfari?

Dice a un certo punto, verso la fine del suo articolo-predica domenicale, il “grande vecchio” del giornalismo italiano, anche quello di prima dell’ultima guerra: “Una personalità di politica di rilievo nazionale e internazionale, Romano Prodi, ha annunciato mercoledì scorso che voterà “Si” e ce ne ha anche spiegato il perché. Questa discesa in campo di un personaggio che può essere definito una “riserva della Repubblica” ha sicuramente mosso le acque e ha convinto un numero rilevante di cittadini a votare “Si” superando non lievi perplessità. La sua spiegazione è questa: ci sono motivazioni a favore ed altre contro la legge contenuta nel referendum, ma Prodi voterà Sì perché – motivazioni sulla legge a parte – votare Si significa impedire che il paese si disgreghi. Si aprirebbe una lunga crisi e affiancherebbe quella europea”. Naturalmente, secondo Scalfari, Prodi non ha nessuna intenzione di ritornare e candidarsi. Eppure da tempo, la Repubblica non pare tenera con Matteo Renzi.

E la non ricandidabilità di Prodi sembra un’excusatio non petita. E allora? Che cosa sta succedendo nelle stanze del confuso potere italiano e in quelle del più autoritario potere europeo? Un breve governo, con Presidente un ex Premier dell’Ulivo, porterebbe tranquillità anche nel disastrato Partito Democratico e lo stesso Renzi, ma ancora di più Pier Luigi Bersani, non potrebbero rifiutarlo, facendo alla fine chiudere, al momento, beghe che si trascinano da anni. 

Si incazzerà Massimo D’Alema, ma questo è il suo destino: fare fuori tutti per far fuori poi se stesso. In termini calcistici un “veneziano” , che a forza di dribblare, dribbla anche se stesso. In compenso un breve governo Prodi, potrebbe rappresentare una sorpresa positiva per l’Unione Europea, che ricorda il vecchio Commissario che portò l’Italia nell’euro, tra derivati e un cambio con la lira “sanguinario”.

Così nella sua critica all’attuale Pd, Prodi potrebbe vendicarsi del “siluramento” ai tempi della candidatura fallita alla presidenza della Repubblica, potrebbe anche aggiustare con Silvio Berlusconi una legge elettorale conveniente per entrambi e soprattutto sconveniente per il M5S. Può darsi che sia tutto un retroscena fantasioso, ma qualcuno ci ha pensato e ci pensa. La situazione non offre tante soluzioni e la sorpresa potrebbe essere dietro l’angolo, potrebbe arrivare anche per sfinimento. Per onestà, chi scrive, deve ammettere che potrebbe essere una soluzione “politica e non tecnica”, adatta a questi tempi avventurosi e di bassa politica. Ma personalmente non condivisibile, ricordando Leonardo Sciascia che interrogò “l’uomo del pendolino” sul caso Moro, in Commissione. E ricordando Enrico Cuccia per come si esprimeva sull’ex Presidente dell’Iri, che appariva sempre come il grande svenditore.