Il referendum Costituzionale ha presentato, nella sola Italia, 19 milioni di voti NO alla riforma Boschi-Renzi, perdendo contro il Sì solo in Toscana, Emilia Romagna e in Alto Adige. Mentre si discute in questi giorni di nuovo governo e di elezioni anticipate, il dubbio sorge: il Partito Democratico, dopo questa “batosta” elettorale, chi presenterà come candidato premier alle prossime elezioni? Il Paese non è diviso a metà, o quantomeno non sul referendum costituzionale che sicuramente è un buon segnale per i prossimi scenari politici. Soprattuto, Matteo Renzi sarà ancora il candidato principale per la difficile vittoria alle urne? In questi termini tanto diranno le decisioni in Direzione Pd che domani alle 15 si prospetta infuocata: il livello di battaglia interna al Pd dirà molto sulla possibilità reale di una riconferma alla segreteria dopo il fallimento della riforma costituzionale. Ma è lo stesso Matteo Renzi che potrebbe “decidere” in solitaria: la tentazione di un anno sabbatico (o anche di più) fuori dalla politica è molto forte. E di certo, quei 19 milioni di voti No pesano come un macigno in questa duplice scelta…
Non solo riforma Boschi: dopo i risultati del referendum che hanno bocciato il nuovo impianto istituzionale promosso dal governo Renzi, la crisi dell’esecutivo è ormai effettiva, con l’approvazione probabile della Legge di Stabilità domani sera che porterebbe alle dimissioni ufficializzate del Presidente del Consiglio. Ma oltre alla riforma Boschi, cosa davvero rischia di saltare con questa crisi di governo? I colleghi di Repubblica hanno stilato oggi un decalogo delle leggi che rischiano di essere cancellate o appiedate nei prossimi mesi se si andasse a nuove elezioni o se cambiasse radicalmente la maggioranza di governo. Tra queste, alcune sarebbero clamorose: il Jobs Act tra tutti rischia di vedersi cancellato proprio per i risultati del referendum. Il “No” lascia la riforma del collocamento pubblico come materia concorrente fra Stato e Regioni e non di esclusiva competenza statale. In particolare, il nuovo assegno per aiutare i disoccupati a ricollocarsi verrà declinato a piacere da ogni giunta; insomma, una legge sul lavoro attuato a metà. Rischia anche la Legge Madia, dichiarata incostituzionale il 24 novembre, la riforma della pubblica amministrazione entra in un tunnel difficile da uscirne, visto le critiche della Consulta e allo stesso tempo il parallelo slittamento se non annullamento del testo unico sul pubblico impiego. Le altre? cannabis legale, legge sulla giustizia, cognome della madre, ddl concorrenza, banche popolari e patto per Roma. Insomma, una vera crisi e non solo di Governo.
Dopo la bocciatura della riforma della Costituzione con il referendum si riflette sul futuro della legislatura. Angelino Alfano auspica che si vada quanto prima al voto, magari già a febbraio 2017: “Sono contrario agli accanimenti terapeutici”, ha dichiarato il ministro dell’Interno a margine della riunione dei gruppi di Area Popolare, specificando che non tornerà al centrodestra, nonostante il pressing di parte dei gruppi. Anzi, lancia provocazioni a Forza Italia e Silvio Berlusconi: “Cerca pretesti per far proseguire la legislatura ma sappia che non lo otterrà gratis, non può chiedere di proseguire la legislatura e scaricarla su altri”. Nel futuro di Alfano e di Nuovo centrodestra c’è solo Matteo Renzi? Il ministro non la vede esattamente così: “Noi non siamo responsabili a ogni costo, l’ancoraggio resta il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha le prerogative che la Costituzione gli assegna e noi abbiamo la fiducia in lui e a lui ci affidiamo, ma prima vediamo che succede alla direzione del Pd”, ha spiegato Alfano ai microfoni de Il Fatto Quotidiano.
Dai risultati del referendum costituzionale alla Manovra di Stabilità: le due “palle infuocate” del Governo e del Pd che con le dimissioni di Renzi si ritrova ora nella bufera: la sconfitta del No ha scatenato la crisi di governo e ora tutte le soluzioni sono in mano al Capo dello Stato. Nel frattempo il prossimo step decisivo è l’approvazione della Manovra di Stabilità, come andiamo dicendo da mesi non solo noi. Per poterlo fare in tempi rapidi, Mattarella pare abbia suggerito a Renzi (che voleva lasciare subito Palazzo Chigi da dimissionario) l’approvazione con fiducia tecnica: significa che, dal momento in cui il Governo è dimissionario non può essere posta la fiducia “semplice” all’esecutivo per far approvare la Legge di Bilancio, dunque si ipotizza la fiducia sul far cadere tutti gli emendamenti presentati contro la Manovra e approvarla così in tempi super-rapidi. Per questa soluzione però la Lega Nord pone subito paletti e ostruzione: «Non ci sono le basi per l’approvazione rapida della legge di bilancio al senato a meno che il governo non elimini immediatamente tutte le marchette pre-elettorali inserite prima del voto di domenica. Non vogliamo prolungare l’agonia per ripagare gli endorsement ricevuti da Renzi in campagna elettorale», scrivono Massimiliano Fedriga e Gian Marco Centinaio, presidenti dei Gruppi Leghisti.
Sui risultati del Referendum Costituzionale arriva questa mattina un’analisi particolare, effettuata da molte società che analizzano big data e si occupano del popolo della rete: per questi analisti (e non sondaggisti de web, come escludono gli stessi) la Rete avrebbe dovuto far intuire il risultato finale. Il No ha vinto e i social l’avevano “pre-detto”: «Dopo il testa a testa delle scorse settimane, nelle ultime 48 ore c’è stato il sorpasso sui social dei contrari alla riforma, con una prevalenza media del 54 per cento contro il 46 per cento dei Sì», conferma su Repubblica Andrea Melegari, vicepresidente di Expert System, società che disegna scenari monitorando con algoritmi di intelligenza artificiale le parole più usate su Twitter. Chi ha davvero trainato questo risultato dal web è stato certamente il Movimento 5 Stelle, come garantisce lo stessa Melegari: «A trainare la rimonta del No è stato senza dubbio il M5s – continua Melegari – che si è mosso su un terreno congeniale: la Rete fa parte del suo Dna, sia i big che i militanti sono consapevoli della potenza dei social e li usano meglio. Viceversa, se escludiamo Renzi, i titolari del Sì sono stati meno incisivi. Twitter ha espresso un voto di pancia». Chi definisce però questo voto come l’ennesimo risultato di anti-sistema è Andrea Barchini, di Reputation Manager: «Si sono contrapposte due tipologie di campagne: quella del governo molto istituzionale, con tanta presenza televisiva e opuscoli inviati a casa degli elettori. Dall’altra parte c’è stata invece una corrente popolare più disorganizzata ma rabbiosa. Nel 50% dei casi i fautori del No hanno preso a pretesto la riforma solo per attaccare Renzi. Segno che si è trattato di un voto politico e antisistema, che ha messo insieme soggetti estremamente diversi fra loro», scopriamo nell’analisi compiuta da Repubblica.
I risultati del referendum costituzionale sono chiari: il Pd ha perso, ha perso Renzi e ha perso soprattuto la riforma costituzionale che avrebbe dovuto rivoluzionare parte delle istituzioni. Ora il voto a breve deve essere, secondo larga parte delle opposizioni, a brevissima scadenza, ma proprio lì cominciano i problemi visto che nessuno è d’accordo con nessuno. In una nota Berlusconi scrive che «spetta al Partito democratico dare vita ad un nuovo governo con il compito di mettere in sicurezza i conti pubblici con l’approvazione della legge di bilancio e soprattutto di consentire al Parlamento l’approvazione di una nuova legge elettorale basata su criteri che garantiscano la effettiva corrispondenza tra la maggioranza parlamentare e la maggioranza espressa dagli elettori». Forza Italia spinge più per un accordo a breve e poi subito il voto con una legge elettorale possibile – non l’Italicum allargato al senato come propone invece Beppe Grillo. Per Berlusconi tocca al Pd (cioè di nuovo a Renzi, che fino a prova contraria è ancora il segretario dem anche dopo il Referendum 4 dicembre) fare e proporre un nuovo governo “di scopo”, con l’unica priorità che deve essere, secondo il leader di Forza Italia, «Abbiamo fiducia nel ruolo di garante del capo dello Stato. Siamo certi che il presidente della Repubblica saprà individuare la soluzione più corretta per assicurare agli italiani in tempi brevi la possibilità di votare e di scegliere finalmente, dopo tre governi non eletti, il governo a cui intendono affidare la guida del Paese».
Ha presentato formalmente le sue dimissioni al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella Matteo Renzi: il premier, dopo la batosta elettorale presa con la schiacciante vittoria del no al referendum costituzionale promosso dal suo partito, non ha potuto far altro che lasciare la guida del Governo e salire al Quirinale. Ieri si è riunito il Consiglio dei Ministri, durato solo venti minuti, davanti al quale Matteo Renzi avrebbe dovuto annunciare nuovamente le dimissioni promesse in conferenza stampa: così non è accaduto, dato che il premier ha deciso di non formalizzare le dimissioni. “Lo faccio per senso di responsabilità ed evitare l’esercizio provvisorio”, ha dichiarato durante il Cdm. È stato deciso che Matteo Renzi rimarrà al suo posto fino a che il Senato non avrà approvato la legge di bilancio, cosa che dovrebbe avvenire venerdì. Solo allora le sue dimissioni saranno formalizzate.
Come era già stato chiaro dall’inizio di questa campagna referendaria, il fronte del no è sempre stato tutt’altro che omogeneo: l'”accozzaglia”, così è stata definita numerose volte dai fautori del sì, comprende infatti un arco politico molto ampio che va da Matteo Salvini a Beppe Grillo, a Massimo D’Alema al redivivo Silvio Berlusconi. Partiti molto differenti tra loro e che hanno in comune ben poco – se non nulla. Era prevedibile quindi che, in uno scenario come quello delle dimissioni del premier Matteo Renzi, ci sarebbero state molte differenze in merito alle prossime mosse da fare al Governo. Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle vogliono andare immediatamente alle elezioni, anche con l’Italicum: sicuri di vincere, hanno già stilato un programma di Governo. I nomi per i possibili candidati premier sono Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista (anche se non c’è ancora nessuna conferma ufficiale in merito). Stessa cosa per Matteo Salvini, che vuole andare subito alle urne: il segretario della Lega Nord ha già detto che sentirà nel più breve tempo possibile anche Silvio Berlusconi. Il fedelissimo del Cavaliere però, Renato Brunetta, si è dimostrato scettico riguardo alle elezioni anticipate, dicendo che la formazione del nuovo governo spetta al Pd. Anche per Massimo D’Alema niente elezioni anticipate senza una nuova legge elettorale: ma prima bisogna discutere di quello che è diventato il centrosinistra.
Matteo Renzi rimarrà in carica fino all’approvazione della legge di bilancio, dopodiché rassegnerà le sue dimissioni. Cosa potrebbe succedere dopo? La decisione è in mano a Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica, che ha davanti a sé diverse possibilità. La più probabile sembra quella della nomina di Pier Carlo Padoan a premier (dando così vita a un esecutivo più di livello tecnico): il ministro dell’Economia è il più gradito a Bruxelles, e potrebbe essere scelto in caso l’instabilità dei mercati finanziari continui. Se questi dovessero stabilizzarsi nei prossimi giorni, la scelta potrebbe ricadere su Pietro Grasso (con un esecutivo quindi più politico) presidente del Senato: non renziano, garantirebbe una discontinuità con la precedente leadership che potrebbe calmare le opposizioni. Un altro scenario che si apre è quello delle elezioni anticipate, per le quali premono sia Matteo Salvini sia Beppe Grillo: e non è detto che non riescano a ottenerle vista la schiacciante vittoria del no e la sfiducia nei confronti del Pd che c’è in questo momento.