Anche i sondaggi politici post-referendum consegnano una situazione per i prossimi mesi che dovrà far riflettere il Pd: secondo l’analisi dell’Istituto Carlo Cattaneo, effettuata sulla città di Bologna come base significativa (città storicamente legata alla tradizione di Centro sinistra), si scopre come uno dei veri problemi del Partito Democratico non sia solo la leadership ma anche la progressiva distanza dalla società reale. Gli elettori alle urne si sono ritrovate a dividersi, tra gli elettori Pd, sul Sì o sul No alla riforma costituzionale del governo Renzi. I sondaggi stilati da Ist. Cattaneo presentano il problema di “periferie” al Pd: «nelle sezioni relativamente più “povere”, la percentuale del “no” raggiunge il valore più elevato (51,3%), mentre cala di oltre 11 punti percentuali nelle sezioni dove il reddito mediano degli elettori supera i 25mila euro. In breve, i contrari alla riforma (e, forse, quelli più critici nei confronti del governo Renzi) si concentrano maggiormente nelle zone e nei quartieri della città economicamente più deboli.All’opposto, il voto favorevole alla riforma renziana si ritrova soprattutto nelle sezioni più “ricche”», segnala il report dello studio di ricerca su Bologna. Ma non è solo l’analisi sul ceto a segnalare il problema di “scollamento” dei dem: «la percentuale di voti ai “no” è nettamente superiore nelle sezioni più giovani (con età mediana inferiore ai 45 anni), toccando quota 51,3%. Al contrario, nelle sezioni caratterizzate da un elettorato più anziano prevale un voto favorevole alla riforma (e, di conseguenza, il “no” si ferma al 44,5%). Invece, nelle sezioni con età mediana intermedia (tra i 45 e i 50 anni) la percentuale dei contrari alla riforma si attesta al 47,5%».
Il referendum sulla riforma della Costituzione apre nuovi scenari in vista delle prossime elezioni, quindi in vista dei prossimi sondaggi bisognerà tener conto di quanto emerso il 4 dicembre. I partiti storici si sono disgregati, mentre il Movimento 5 Stelle si è compattato. Il quadro è stato delineato dall’Istituto Cattaneo, che ha condotto un analisi in 12 città diverse secondo il “modello Goodman”, prendendo in considerazione i dati delle sezioni di ogni comune esaminato. Focalizziamoci sul centrodestra, dove la situazione è frammentata: nel Pdl, ad esempio, la tendenza è stata verso il No, ma non sono mancate le eccezioni. Lo dimostrano i casi di Bologna e Firenze: nel primo oltre il 40% degli elettori del Pdl ha votato Sì, nel secondo la percentuale è salita fino al 44%. Anche quella parte di elettorato che nel 2013 si è schierata per la coalizione di Mario Monti – cioè Scelta Civica, Udc e Fli – non ha seguito le indicazioni del senatore. Le uniche eccezioni al Sud, in particolare a Palermo e Cagliari.
I dati e i sondaggi elettorali politici prodotti dopo il voto sul referendum costituzionale non mostrano solo le analisi sul Sì e il No, ma valutano le prove tecniche per le prossime ormai inevitabili elezioni politiche: che siano anticipate o “naturali” comunque nel giro di un anno l’assetto dei partiti dovrà organizzare il futuro scenario elettorale. Riassumendo in maniera telegrafica lo scenario studiato dall’Istituto Cattaneo, si scopre che in vista dei prossimi sondaggi bisognerà tenere conto che questo referendum ha di fatto sfaldato l’elettorato del Pd, mentre ha “compattato” un blocco già granitico di per suo per i votanti del Movimento 5 Stelle. Per quanto riguarda il Pd, il Sì è stato votato dalla maggioranza, ma il No è riuscito ad infilarsi al Nord e al Centro con una diaspora anche in roccaforti storiche dem, come Firenze e Torino (circa il 33% se n’è andato qui verso il No). «Già al referendum sulle trivelle di aprile, il Pd – ufficialmente schierato per l’astensione ma con voci dissenzienti a favore del sì – aveva perso la sua compattezza. Il voto sul referendum costituzionale – pur maggiormente “politicizzato” rispetto a quello delle trivelle – conferma la presenza all’interno di questa forza di una componente minoritaria ma significativa di elettori dissenzienti rispetto alla linea ufficiale della segreteria», riporta l’analisi dell’Istituto Cattaneo. Per quanto riguarda il Movimento 5 Stelle invece sia il referendum trivelle che questo costituzionale ha permesso alla base di ricompattarsi ancora una volta: Quasi unanimemente gli elettori che nel 2013 avevano scelto il partito di Grillo oggi hanno scelto di opporsi alla riforma costituzionale (in sei città su dieci le percentuali sono superiori al 90%). Un dato curioso su tutti: l’unica città che ha visto uno scollamento maggiore tra le Politiche del 2013 e il Referendum 4 dicembre 2016 è Parma, proprio quella con il caso Pizzarotti ancora vivo: qui il 67,7% di loro ha votato No, mentre il 17,4% si è astenuto e il 14,9% ha votato Sì.
Tra i sondaggi politici ed elettorali prodotti post-voto referendum, è stata condotta dal servizio di Quorum per Sky Tg24 una rilevazione sulle varie categorie di occupazioni che sono andate al voto, cercando di capire maggiormente dove si siano situati i punti forti del No e del Sì alla riforma costituzionale. Stando al risultato di questi sondaggi, si scopre per prima cosa che il Sì ha trionfato in un unico caso, per i pensionati, dimostrando così che il voto da “rottamatore” del premier Renzi si è tramutato in un voto per i più avanti d’età. I giovani e le varie fasce di occupazione ed età non sono state convinte dal fronte del Sì e in maniera diversa hanno comunque deciso di bocciare fragorosamente il fronte del No: pensionati con il Sì al 61%, il NO invece al 39%, mentre già gli studenti hanno deciso più di tutti di bocciare la riforma Boschi con il 21% dei Sì e il 79% dei No. I lavoratori autonomi hanno scelto il Sì al 33%, con il No al 67%, praticamente lo stesso dato che per i lavoratori dipendenti (34% vs 66%). Chi è senza lavoro non ha premiato il governo Renzi (immaginabile) con il Sì al 36% e il No al 64%, con le casalinghe invece che hanno scelto di votare No (64% vs 36% dei Sì), concludendo i sondaggi di Quorum..
Una riforma costituzionale e un’elezione politica: i sondaggi subito dopo il voto del referendum hanno cercato di confrontare questo voto, con la vittoria netta del No, con il voto certamente più politico delle Elezioni 2013, quelle in cui il Pd “vinse ma non vinse” dando il via alla stagione politica attuale, arrivata fino alle dimissioni di Matteo Renzi. Come ha analizzato i centro studi Istituto Carlo Cattaneo, «Il fronte del No accomunava infatti gli elettori a sinistra del PD (SEL e Rivoluzione Civile), quelli di centro-destra (PDL, LN e loro alleati minori) e quelli del Movimento 5 Stelle. Se sommiamo le percentuali di voto di questi soggetti alle elezioni politiche del 2013, arriviamo ad un dato (59,7%) quasi perfettamente allineato con il voto al No nel 2016». I risultati sono interessanti, avendo l’istituto di sondaggi analizzando il voto al No nel referendum costituzionale con il voto, nelle elezioni politiche del 2013, ai partiti che hanno sostenuto il No alla riforma. Il No «va meglio, nel senso che riesce ad andare oltre ai consensi delle liste che lo sostengono, in quasi tutte le province meridionali, nelle isole e in gran parte del nord-est. Viceversa, in quasi tutte le province della “zona rossa” (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche) e del nord-ovest, il No rimane al di sotto dei consensi ottenuti dalle liste che lo sostenevano». Renzi non ha convinto gli elettori di M5s e del centrodestra, come Bersani non ci era riuscito nel 2013: sono passati tre anni ma la situazione non è variata di molto.
Dopo due settimane di divieto, i sondaggi politici su elezioni e intenzioni di voto sono tornati pubblicabili: l’esito del referendum costituzionale ha visto la grande affermazione del No con la conseguente sconfitta cocente per Renzi, che ha dato le dimissioni, e dell’intero governo di centrosinistra. Si apre la stagione di una lunga campagna elettorale pre-elezioni (dopo che si è appena chiusa un’altra lunga e insidiosa) e i sondaggi sono tornati alla carica per presentare risultati, voti e scenari post voto del 4 dicembre 2016. Stando alle rilevazioni fatte appena dopo la votazione sulla riforma Boschi, interessante resta l’analisi sui quesiti del referendum riportati sulla scheda Elettorale: in pratica, i sondaggi di Quorum per Sky Tg24 mostrano come su tutte le principali componenti inserite nella riforma, non tutte hanno trovato un contrasto netto nella maggioranza degli italiani, dimostrando come se fosse stato portato un referendum “spacchettato” al voto probabilmente avrebbe portato qualche risultato positivo in più per il Governo Renzi. L’Abolizione del Cnel ha visto il 63% dei voti positivi, il 37% contrari, mentre il 56% degli italiani considera interessante il trasferimento delle competenze dalle Regioni allo Stato (44% contrario, e ha votato No) come del resto il superamento del bicameralismo perfetto paritario. Allo stesso tempo però, osservano questi sondaggi sul referendum, si scorge come il Senato sia stato il vero nodo critico che probabilmente ha fatto pendere la bilancia sul No invece che sul Sì; il 60% considera errata la nomina dei senatori da parte dei consiglieri regionali e non del cittadino stesso. In sostanza, l’elettività mancata del Senato nella riforma Boschi è stata vista come il vero peccato originale del Governo Renzi; non solo, il 54% è stato contrario alla modifica costituzionale del Senato con soli 100 parlamentari.
I sondaggi sul referendum costituzionale – che aprono la grande e lunga stagione di campagna elettorale verso le elezioni politiche nazionali dopo la caduta del governo Renzi – hanno mostrato un dato da pochi sottolineato dopo il voto del 4 dicembre: secondo i dati rilevati da Quorum per Sky Tg24 appena dopo il voto referendario, il livello di istruzione dei votanti elettori sulla riforma mostra importanti novità rispetto al passato. Se si osserva da vicino i casi, 15500 sondati da Quorum il 4 dicembre pomeriggio, chi in Italia possiede la licenza elementare o media, ha votato Sì nel 47% dei casi, mentre il 53% di loro ha votato No; il dato del No si alza sempre più mentre si alza il grado di istruzione personale. Infatti chi possiede ad oggi una licenza di scuole superiore, ha votato Sì solo per il 35%, mentre il 65% di loro ha scelto per il No alla riforma costituzionale; da ultimo, chi possiede laurea o master successivi ha optato per il No al 61%, con il Si votato dal 39% degli elettori più istruiti. In vista di possibili nuove elezioni, il ceto degli elettori avrà un peso ancora così importante?
I sondaggi sul referendum costituzionale prodotti e pubblicati subito dopo l’esito del voto mostrano un dato su tutti che potrebbe interessare anche i successivi sondaggi e rilevazioni in vista delle elezioni politiche del prossimo anno o già addirittura nel 2017, se le consultazioni di Mattarella andassero in questa direzione. Stando ai sondaggi prodotti da Quorum per Sky Tg24, gli elettori di Pd e M5s – i principali duellanti molto probabilmente delle prossime Politiche Nazionali, hanno inteso nel loro voto sulla riforma costituzionale del governo Renzi-Boschi un’idea completamente diversa di cambiamento e di evoluzione oltre il sistema vigente politico: tra gli elettori del Pd, il cambiamento era rappresentato dal Sì per il 76%, mentre il 24% intendeva il No come vero cambiamento per la politica italiana e per la nostra società. Di contro, tra gli elettori del Movimento 5 Stelle, il cambiamento è stato vissuto come immaginabile che sia come un voto anti-governo (il 16% era per il Sì, lì’84% voleva cambiare con il No). Di contro, gli elettori del centrodestra, radunati assieme tra Lega Nord, Forza Italia e Fratelli d’Italia, concepivano il Sì come una possibilità di cambiamento solo per il 20% di loro, mentre un enorme 80% ha votato No perché così intendeva cambiare davvero i prossimi scenari.