È giunta l’ora del disvelamento, dell’agnizione, del “riconoscimento”. Sino all’esito del referendum, disastroso per il governo e per l’intrecciarsi di questioni irrisolte nel cui contesto le dimissioni del Primo Ministro si sono inverate. Il popolo degli abissi, ossia i giovani poveri, i vecchi poveri, gli emarginati, le classi medie povere, gli operai senza più diritti, le famiglie che non riescono a vedere un futuro per i loro figli: questo popolo degli abissi, che emerge dalle basse stratificazioni sociali, e che accerchia la Milano metropoli dei ricchi e l’Emilia Romagna e la Toscana, ultime due regioni d’Italia, con uno straccio di coesione sociale, uno straccio e niente più, il popolo degli abissi si è messo in moto. Charles Tilly, Leopold Haimson e io vent’anni e più or sono avevamo scoperto in uno studio europeo comparato sui movimenti collettivi che la protesta sociale si metteva in atto non quando le cose andavano peggio materialmente, ma quando un barlume di speranza appariva all’orizzonte. Il barlume di speranza si è acceso in due tempi e solo apparentemente contraddittori. 



Primo tempo: Matteo Renzi se la prende con l’Europa; si agita e si infuria; predica la crescita e non l’austerità e dà una speranza. Secondo tempo: proprio nel mentre le speranze si accendono perché la gente ha capito che la causa di ogni nostro male sociale e politico deriva dalla tecnocrazia europea e dal Fiscal compact, proprio mentre si suona questa narrativa, si deve votare per un referendum dove tutti coloro che votano Sì se la cantano e se la suonano, in amore e in accordo con la tecnocrazia europea e le sue regole suicide, mentre tutti coloro che hanno iniziato a protestare contro l’euro e l’eurocrazia votano No. Non poteva che andare a finire come è finita: la vittoria dei No. Ma subito ci s’accorge che questa vittoria dei No non aiuta affatto il popolo degli abissi: l’Europa continua a dire che la Legge di stabilità non va bene, l’Europa, ossia il Presidente dell’Eurogruppo (un socialista olandese blairiano come non mai e clintoniano più che mai) bacchetta l’Italia e si unisce a Schäuble nel far la predica alla cicala italiana. Come se non bastasse la signora Merkel, che è stata appena rieletta segretaria della Cdu perdendo un pugno di voti rispetto al passato, subito si affanna a dire che sui migranti aveva scherzato e che per quanto riguarda l’Italia bisognerà essere più rigorosi. 



Naturalmente il popolo degli abissi di tutti questi avvertimenti dà un giudizio tra lo sconcertato e lo sgomento, ma ora non mi pare abbia più paura per la ragione che ho prima detto. Inoltre, al popolo degli abissi di essere definito populista non cale un bel nulla, soprattutto perché populista non è affatto, è solo un fiume di persone che si ingrossa sempre più alla ricerca dell’anello della catena che bisogna tirare per alzare il ponte levatoio e raggiungere quei beni comuni che sono stati tipici del patrimonio della sinistra storica che poi si è dileguato dopo Blair e Clinton e i vari seguaci. È già successo altre volte nella storia. Quando i beni comuni non sono stati offerti dalla classe politica di sinistra sono stati da circa due secoli offerti dalla destra. 



Vi ricordate del populismo degli operai americani di fine Ottocento? Vi ricordate del gingoismo delle classi operaie e del ceto medio declassato, ben descritte da Hobson? Vi ricordate del pujadismo, che ha investito operai e impiegati pubblici nella Francia post- fronte popolare? Vi ricordate del qualunquismo italico post Seconda guerra mondiale? Vi ricordate dei seguaci del generale Metaxa in Grecia, prima della Seconda guerra mondiale? E potrei continuare soprattutto in riferimento a come li chiamava Istvan Bibò nei suoi magnifici libri sulla “Miseria dei piccoli stati dell’Europa orientale”.

Il fenomeno ritorna. Negli Usa si chiama Trump, nel Regno Unito è la May, con i seguaci del Brexit. In Francia si chiama Marine Le Pen, che sarà sconfitta solo da un suo simile, ossia il cattolico conservatore sociale Fillon. In Germania la Merkel tiene duro, e gioisce per la vittoria del democratico cancelliere austriaco che ha fermato la marcia dei neonazisti. Però sia lei che Schäuble e tutta la tecnocrazia europea continuano a non capire nulla e continuano a pensare che la politica economica dei singoli stati europei debba continuare a non esistere, perché così sta scritto in quel trattato popolare del liberismo economico antidemocratico e anti-liberale che è sorretto dai dettati costituzionali nazionali che hanno imitato la Costituzione dello Stato tedesco. 

Punti cardine di queste costituzioni occulte ai più: nessun debito pubblico, nessun intervento dello Stato, indipendenza dell’economia dalla politica. Che bisogno c’è infatti della politica se l’automobile è senza guidatore ed è telecomandata da un accordo tra governi e non determinata dalla volontà popolare attraverso il Parlamento, nazionale o europeo che esso sia? In Europa i nodi stanno venendo al pettine grazie alla crisi delle banche, e in primo luogo in Italia. Solo lo Stato, con le sue molteplici forme di intervento, può evitare che il sistema bancario italiano si avvicini sempre più al baratro e trascini con se larga parte di quello europeo, tedesco in primis. Guardate la vicenda Mps. Anche i soldi del Qatar non bastano, e infatti i qatarini si sono ritirati impauriti, svergognando sia Jp Morgan sia Mediobanca, che erano state scelte dal governo come mallevadori ben pagati dell’operazione. 

Quindi finirà come vuole Schäuble: il Monte Paschi sarà il primo bail-in nella storia europea, con gravi conseguenze per creditori e azionisti. Solo lo Stato ci può salvare. Ma lo Stato si nega, se ne va, e il Primo ministro Matteo Renzi dà le dimissioni. Pare volesse darle ancor prima di far passare la legge finanziaria. Incredibile ma vero. Il fatto che tutto ciò accada senza che ci sia una legge elettorale ragionevole è emblematico. Per la Costituzione europea che non c’è e che quando è stato tentato di farla votare è stata respinta da francesi e olandesi, le elezioni sono un orpello, sono un sovrappiù, in poche parole, non servono a nulla, se non a ingannare il popolo degli abissi. Ma pare che ora questo popolo dolente, ingannato, terrorizzato non voglia più esser tale. Si è messo in moto e se non cadrà nella trappola di affidarsi a coloro che negli anni Novanta del Novecento sottrassero all’Italia la sovranità monetaria, la politica economica e gli avrebbero sottratto anche l’onore se il popolo degli abissi avesse veramente creduto alla canzone dei Quisling che diceva che il popolo italiano aveva bisogno di uno chock esterno per essere civile, ebbene, se non crederanno a questi cattivi maestri che, questi sì pari son, di destra o di sinistra, tra le sofferenze saprà trovare una nuova strada e scegliere i nuovi capi del domani.