Si troverà nel cuore dell’Africa Matteo Renzi quando martedì il disegno di legge sulle unioni civili affronterà i primi voti dell’aula del Senato. Prima di partire la sua consegna ai fedelissimi è stata di tener duro, ma nel contempo praticare una flessibilità estrema.
Dal suo punto di vista il successo indubbio del Family day non cambia più di tanto la prospettiva. La pressione per cambiare sostanzialmente la legge è fortissima, ma l’importante è il risultato finale, cioè arrivare in tempi ragionevoli ad approvare una legge che regoli le unioni civili. Una conquista da poter definire storica, al di là dei contenuti. I dettagli, per quanto riguarda il premier, sono assolutamente secondari. L’ordine di battaglia è tener duro sul testo Cirinnà per quanto possibile, ma assecondare qualunque decisione scaturisca dall’aula, in particolare dal voto segreto. Il Pd, insomma, non s’impiccherà alla stepchild adoption.
Imperativo, quindi, disinnescare la mina in cui il testo Cirinnà si è trasformato: per gli articoli 2 e 3, che riguardano la definizione delle unioni civili, è pronto un pacchetto di emendamenti “chirurgici” per diversificare maggiormente questo istituto dal matrimonio, così da venire incontro anche ai rilievi di costituzionalità che con discrezione unita a fermezza sono arrivati dal Quirinale. E questi potrebbero essere anche digeriti dai centristi e dai senatori 5 Stelle.
Per i primi Renzi conta sull’effetto di ammorbidimento indotto dal rimpastino di governo che ha beneficato generosamente gli uomini di Alfano e Cesa, nonché la pattuglia di Scelta civica, guidata da Zanetti. Per i grillini lecito nutrire qualche dubbio in più: non hanno presentato alcun emendamento e hanno minacciato di non votare il testo se subirà modificazioni. Ma se si si trattasse più di forma che di sostanza, potrebbero anche transigere.
La madre di tutte le battaglie sarà sulle adozioni del figlio del partner, prevista dall’articolo 5. Se dovesse essere cancellata, anche con l’aiuto del voto segreto, Renzi non si straccerebbe le vesti. Ai pasdaran della Cirinnà direbbe di averci provato con tutte le sue forze, ma in realtà accetterebbe di buon grado la decisione del Parlamento, contando che — a quel punto — l’intero gruppo Pd sarebbe vincolato alla disciplina di partito sul voto finale. Anche i centristi non avrebbero più ragioni per opporsi al testo, anzi potrebbero proclamarsi vincitori di fronte al popolo del Family day. E i 5 Stelle potrebbero persino sfilarsi senza causare problemi, anche per il soccorso degli ormai onnipresenti ascari di Verdini.
Ben maggiori preoccupazioni Renzi si lascia alle spalle sul versante europeo. Al di là dei sorrisi di facciata, assai tirati invero, il colloquio con la Merkel a Berlino è andato male, e l’isolamento del nostro paese a Bruxelles cresce, provocando preoccupazioni non solo a Palazzo Chigi, ma anche dalle parti del Quirinale.
In Nigeria, Ghana e Senegal Renzi va a parlare di immigrazione e di energia, con un occhio ai voti necessari per coltivare l’aspirazione di vedere l’Italia nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ma sullo scacchiere europeo la questione della flessibilità nei conti pubblici e quella lontanissima della gestione dei flussi migratori hanno finito per intrecciarsi fra loro. La Merkel pretende che l’Italia scucia 280 milioni per supplicare Erdogan di frenare la massa umana che preme da Oriente. Renzi ribatte chiedendo che cosa avrà in cambio, dal momento che la redistribuzione dei profughi promessa a ottobre è rimasta praticamente lettera morta. E teme che l’Italia sia il paese destinato a pagare il prezzo più alto da un’eventuale sospensione del trattato di Schengen, con conseguente chiusura delle porte dei paesi dell’Europa Centrale.
Non ha avuto scelta, Renzi. Ha dovuto alzare la posta, ricordando che se salta Schengen, salta la ragione stessa dell’Europa. Ma tornato dall’Africa dovrà concentrarsi sulla ricerca di alleati fra i partners comunitari. Altrimenti si troverà solo con Atene sul banco degli imputati.
C’è però un altro fronte internazionale su cui Renzi è sulla difensiva, quello della lotta all’Isis, per la pressione della Casa Bianca riguardo a una diretta partecipazione italiana ai bombardamenti. Sin qui Palazzo Chigi, con la sponda del Quirinale, hanno frenato, chiedendo agli alleati di fare chiarezza sul dopo, in Siria come in Libia, per evitare una nuova situazione di caos come nel post Gheddafi. Non sono venuti né chiarimenti, tantomeno promesse. In compenso fioccano le richieste. Mattarella se ne aspetta una nel colloquio che avrà con Obama l’8 febbraio.
Renzi non ha alcuna intenzione di cedere, almeno per il momento. Ma se la pressione di trasformasse in un vero e proprio assedio all’Italia (si pensi che già bombardano inglesi, francesi, tedeschi e olandesi, oltre agli americani), si potrebbe anche arrivare al punto di non poter dire più di no.