Un’apertura così consistente non se l’aspettava nessuno. Né Mattarella, né Gentiloni che l’accompagnava, né l’ambasciatore italiano a Washington. Quando nello studio ovale della Casa Bianca Barack Obama ha ipotizzato l’utilizzo di aerei e navi della Nato nel Mediterraneo sul fronte dell’emergenza migranti, la delegazione italiana non credeva alle proprie orecchie.



Forse il tanto auspicato punto di svolta sulla questione è davvero in arrivo, non dall’Europa, dove montano i nazionalismi di ritorno, ma da un’amministrazione americana sempre più preoccupata dallo sfrangiamento dell’Unione. Mattarella ha constatato questo timore in tutti i suoi interlocutori incontrati a Washington, dal vicepresidente Joe Biden ai commentatori dei principali organi d’informazione statunitensi. Un’Europa debole e divisa su tutti (migranti, Libia, Siria, politica economica) all’America non fa comodo. Vorrebbe dire doversi prendere in prima persona troppe responsabilità sui vari scacchieri internazionali. Responsabilità che l’America non vuole, e che un presidente entrato nell’ultimo anno di mandato non può prendersi.



Il ragionamento di Obama è semplice: meglio andare in soccorso della vecchia e ansimante sorella maggiore Europa, è convenienza dell’America. Del resto, trovare una motivazione umanitaria in questo è facile, con positive ricadute sulla propria immagine, di leader e di nazione guida del mondo civilizzato. 

La preoccupazione di Obama si è espressa nel colloquio con Mattarella anche su un altro terreno, la possibile Brexit, l’uscita cioè di Londra dall’Unione a seguito di un referendum non ancora fissato, ma dall’esito sempre più incerto. Uno scenario che a Washington non vogliono prendere neppure in considerazione.



Alla luce di questo ragionamento l’Italia è la sponda ideale, e l’incontro con Mattarella l’occasione perfetta per lanciare l’idea, cui serviranno mesi di trattative dentro la Nato per poter tramutarsi in indicazione operativa. Il sasso in piccionaia è però lanciato: cari europei, se non c’è la fate da soli, vi aiutiamo noi. Come sempre, del resto. Prima e seconda guerra mondiale stanno lì a dimostrarlo.

Ora che ha incassato questa apertura di credito, sta alla diplomazia italiana giocare bene questa carta sul tavolo europeo, per scuotere gli egoismi del Nord Europa e i nazionalismi al filo spinato che crescono all’Est, in quei paesi che vennero accolti nella Ue dopo la caduta del muro di Berlino, con una generosa concessione di fiducia che andava ben al di là delle loro reali condizioni economiche. 

Adesso tocca a Renzi e Gentiloni muoversi: dovranno premere sui partner comunitari molto più di prima. Sbagliare mosse è vietato, ma l’occasione è ottima. In questo momento il nostro governo appare isolato in Europa, ma può farsi forte proprio del rapporto privilegiato con Washington, evidente anche sul modo di affrontare la crisi libica. 

Italia e Stati Uniti sono convinti che non si debba intervenire prima che si sia formato un governo di unità nazionale in grado di mettere ordine fra le milizie e di costruire un unico fronte contro l’Isis che avanza. Parigi e Londra sono avvertite, fughe in avanti sarebbero rischiose e controproducenti.

Una chiosa è però d’obbligo: il sostegno americano alla Vecchia Europa non è affatto disinteressato. Tutto ha un prezzo, che in questo caso si chiama Ttip, il trattato di commercio transatlantico, che gli statunitensi firmerebbero domattina, ma che suscita un mare di perplessità in molte capitali europee, ed anche al parlamento di Strasburgo, che vi vede uno squilibrio esagerato a favore delle merci a stelle e strisce, in particolare per i prodotti di qualità. La Casa Bianca ha inserito il punto in tutti i comunicati ufficiali prima e dopo la visita di Mattarella, e la speranza americana è di chiudere entro l’anno. Su questo però l’Europa fa bene a frenare. I rischi di commettere un tragico errore sono troppo grossi per non pretendere di vederci chiaro, virgola per virgola, in un testo la cui incredibile complessità è essa stessa un rischio.