“Giuseppe Sala non rappresenta il futuro del Pd, bensì la sua fine. Un partito che rinuncia a esprimere candidati caratterizzati politicamente di fatto si sta suicidando”. Lo rimarca Peppino Caldarola, commentatore politico, ex direttore dell’Unità. Alle primarie del Pd a Milano Sala ha ottenuto il 42,3%, Francesca Balzani il 34% e Pierfrancesco Majorino il 23%. Subito dopo la vittoria il commento di Sala è stato: “Siamo stati assieme in questo periodo. Ricominciamo tutti assieme con l’idea che la finestra che si è aperta a Milano con Pisapia non si chiuda mai. Noi lavoreremo per questo, tutti assieme”.
Caldarola, che cosa si aspetta dopo la vittoria di Sala alle primarie del Pd?
L’ipotesi più probabile è la vittoria di Sala alle elezioni di giugno, ma con due punti interrogativi. Il primo riguarda la tenuta del centrosinistra, cioè se ci sarà o meno un candidato dei radical di sinistra che toglierà voti a Sala. Majorino e Balzani si sono impegnati alla lealtà, però altre parti possono non sentire quest’obbligo. Il secondo interrogativo è se il centrodestra candiderà Stefano Parisi. Da un certo punto di vista Sala e Parisi si assomigliano troppo, e quindi la scelta per l’elettore milanese è tra due ipotesi abbastanza simili sul piano dell’identikit politico e professionale.
Sala ha l’appoggio di Confindustria, ma in questo modo non rischia di perdere la sinistra del partito?
L’appoggio di Confindustria non sbilancia voti né in un senso né nell’altro. Per Sala piuttosto c’è un problema di immagine, che riguarda lui e il suo contrastato rapporto con la sinistra e in particolare con quell’area del Pd che può essere tentata dalla dissociazione al momento del voto. Se il centrodestra avesse scelto un candidato impresentabile per un elettore di centrosinistra, come per esempio Salvini, avrebbe unito tutti gli altri contro il “terribile avversario”. Se l’avversario ha le sembianze gentili di Stefano Parisi, questo elemento può non scattare. Il tema della sinistra quindi si pone indipendentemente dall’eventuale appoggio di Confindustria.
Sala ha detto: “Voglio essere in continuità con Pisapia”. Se è così, molto renziano non è…
Quella sulla continuità con Pisapia è una di quelle frasi che si dicono e cui non darei un particolare peso. Il vero problema per Sala è quello di dire ai milanesi qual è la sua visione della città di Milano che in questo momento è al centro dell’attenzione, in quanto è la realtà che ha saputo fare i maggiori passi avanti rispetto alla crisi. In questo Sala ha avuto il suo ruolo in quanto ha guidato bene la vicenda dell’Expo. Adesso il passo avanti non è continuare a fare ciò che ha fatto Pisapia, ma andare oltre rispetto al lui.
A Milano stiamo per assistere a una metamorfosi del Pd?
La metamorfosi è già in atto da tempo. Da un lato il Pd è costretto ad accettare candidati che nascono dentro ai partiti personali locali, come Michele Emiliano, Vincenzo De Luca e in prospettiva Antonio Bassolino. Dall’altra pensa di uscire da questa logica proponendo personalità che sono fuori dalla politica. Il rifiuto della logica della politica è in controtendenza rispetto a quanto sta avvenendo in altri Paesi occidentali quali Usa, Regno Unito, Francia, che ci dicono che lo scontro avviene prevalentemente su grandi alternative politiche.
Perché il Pd in Italia va in controtendenza?
Perché solo in Italia la sinistra pensa che per governare o debba essere subalterna all’establishment preesistente, oppure debba andare alla ricerca di tecnocrati. E’ una logica che vale poco. Se per uscire dall’angolo Berlusconi deve cercare un personaggio alla Parisi, allora la somiglianza tra i candidati toglie il di più di Sala.
Sala rappresenta il nuovo destino del Pd?
Sala non rappresenta il futuro del Pd, bensì la sua fine. Un partito che rinuncia a esprimere candidati caratterizzati politicamente di fatto si sta suicidando. Solo Renzi pensa che per prendere voti non si debba essere né di destra né di sinistra: questo è un vecchio mantra che non funziona più. Certo non funziona neppure l’idea della sinistra-sinistra, perché è molto minoritaria, ma in mezzo c’è il grande fiume di una sinistra riformista che sia distinta programmaticamente e idealmente dal centrodestra, e Sala non rappresenta certo questa corrente.
Renzi rischia di uscirne male?
Finché le alternative sono Salvini e la Meloni Renzi è tranquillo. Ma se incominciano a essere più sostanziose e centriste, con un profilo che piace di più alla parte moderata del Paese, per Renzi possono essere problemi seri.
In che senso diceva che con Renzi il Pd è al capolinea?
Il Pd di Renzi non è né carne né pesce. Dire che il suo sia un partito di destra è una stupidaggine, ma dire che il partito che vuole Renzi appartenga alla storia della sinistra, anche la più occidentale possibile, è a sua volta una forzatura. Il dramma di Renzi è che ha fallito su due punti fondamentali. In primo luogo sulla rottamazione, perché se si eccettuano un paio di dirigenti tutto è rimasto esattamente come prima. Ma soprattutto ha fallito la rivoluzione generazionale, perché non vedo tutti questi trentenni nei punti chiave del Paese.
(Pietro Vernizzi)