Siamo al giro di boa dei due anni del Governo di Matteo Renzi e non è ancora tempo di bilancio, ma piuttosto di misurare la tenuta politica di un presidente del Consiglio che, in questo momento, non abbassa i toni dopo aver aperto una polemica con l’Unione europea sulla sua legge di stabilità. Stefano Folli, ex direttore del Corriere della Sera, attualmente editorialista-principe di Repubblica e, di fatto, uno dei migliori analisti politici in Italia cerca di ragionare rispetto alle ipotesi che si fanno intorno alla figura di Renzi, al suo destino politico e al ruolo che sembrano aver avuto in questi giorni molti politici italiani.



Scusi, Folli, ma pare che il nostro presidente si ostini a un braccio di ferro con Bruxelles, quindi con l’Unione europea, usando toni non proprio soffici. Che ne pensa?

I problemi sul tappeto ci sono tutti, ma non drammatizzerei sui toni e sulle parole, non immaginerei situazioni ultimative. Alla fine, Renzi si è visto con Angela Merkel e ne è uscito un incontro interlocutorio. Tra poco Jean-Claude Junker verrà a Roma, ci sarà la riunione del 18 febbraio. Gli incontri, i toni sono una cosa, poi c’è la realtà delle cose che è diversa. Direi che apparentemente c’è un duro contenzioso, ma occorre vedere quello che si discutendo davvero e i margini di mediazione che si possono trovare.



All’apparenza Renzi sembra che non abbia neppure interlocutori nel Partito socialista europeo. Forse sta giocando una sua partita, sta facendo una scommessa abbastanza azzardata. Se posso permettermi di citare una sua grande intervista, mi pare che sia stato l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a consigliare toni differenti.

Credo che da Napolitano siano arrivati solo dei consigli a Matteo Renzi, consigli che vogliono ricordare e ribadire uno spirito europeistico, che a volte molti smarriscono e così facendo sbagliano. Non è semplice muoversi in Europa. Ma dedurre da questi consigli una sorta di sostituzione di interlocutore tra Bruxelles e l’Italia è sbagliato e forzato. Non c’è stato da parte di Napolitano nessun messaggio frontale nei confronti di Renzi.



Non voglio insistere su questo punto Folli, farei solo illazioni e ipotesi che non hanno una base solida. Vorrei spostare il discorso sulla questione, diciamo, americana. Cioè il fatto che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, accompagnato dal ministro degli Esteri, Palo Gentiloni, si è incontrato con il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, per discutere di due grandi problemi: immigrazione e Libia. Che ne pensa?

Non mi sembra uno strappo nei confronti di Renzi. Oltre a tutto è una prassi che il presidente della Repubblica porti con sé, in incontri di questo tipo, il ministro degli Esteri. C’è il fatto che si debba affrontare la questione della Libia, probabilmente con un intervento militare, e gli Stati Uniti hanno trovato nel Mediterraneo una sponda di solida alleanza con l’Italia, assegnandole un notevole peso. E’ probabile persino che questo ruolo che viene assegnato all’Italia dagli Stati Uniti non sia visto con molta benevolenza da francesi e inglesi. L’aiuto degli Stati Uniti, il riconoscimento del ruolo dell’Italia, è senza dubbio un merito di tutto il Paese, dal presidente della Repubblica al presidente del Consiglio.

 

Scusi, Folli, ma in genere gli americani non regalano nulla quando aiutano. Hanno chiesto, secondo lei, qualche cosa in cambio?

Innanzitutto qualche cosa abbiamo già fatto. I mille uomini mandati a Mosul in Iraq, i mille italiani che rimetteranno in sesto la grande diga, sono un fatto significativo che Obama e gli americani hanno apprezzato. La questione libica si può quindi condividere nel rischio e l’aiuto che arriva dalla VI Flotta è altrettanto significativo.

 

Non si può immaginare o ipotizzare che gli americani abbiano chiesto all’Italia di Renzi di “far ballare un poco la Germania” con la sua politica in cambio di questo aiuto e di questo riconoscimento?

Non è vero che in politica tutto si tiene, che due più due fa sempre quattro. Non mi sento di pensare e non credo che lo scenario sia questo. Ci sono diversi problemi in gioco, ma hanno soluzioni che possono essere prese una alla volta. Alla fine, penso che agli americani interessi soprattutto la firma del Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Ttip). Quindi può anche far comodo che ci sia discussione animata all’interno dell’Europa, ma da qui a pensare a una strategia di destabilizzazione ce ne corre.

 

Converrà comunque che esista un confronto duro tra Italia e Germania, tra Italia e Unione europea per la legge di stabilità varata dal nostro governo?

Questo è senz’altro il problema reale, il nodo della questione e la ragione dei toni alti usati da Matteo Renzi. Quando sostenevo che esistono i problemi sul tappeto, i problemi da risolvere, mi riferivo a questo.

 

C’è tuttavia da aggiungere che anche la Germania, nonostante le apparenze, non stia tanto bene. La Deutsche Bank, proprio in un periodo in cui si parla di banche, pare zeppa di derivati, a un livello quasi spaventoso.

In effetti neppure la Germania se la sta passando molto bene. E forse, drammatizzando uno scontro, alla fine una mano lava l’altra e si può riuscire a trovare un accordo generale. A volte le grandi drammatizzazioni servono alle distensioni in politica. Basta leggere un po’ di storia.

 

Un’ultima domanda. Che ne pensa delle primarie di Milano e dei candidati alla poltrona di Palazzo Marino?

Beh, il confronto tra Giuseppe Sala e Stefano Parisi riduce di molto il profilo politico. E’ uno scontro tra manager che potrebbero essere interscambiabili. Vorrei che qualcuno mi spiegasse la differenza di visione e di scelte di politica amministrativa. E’ in fondo un segnale di decadenza politica, di cultura politica. Che vedo ancor di più a Roma, dove mi sembra di vivere nell’anno Mille con la gente che ha il telefonino tra le mani. Un film di fantascienza.

 

(Gianluigi Da Rold)