Una levata di scudi in difesa della laicità dello Stato, così si potrebbe anche definire la reazione di molti tra politici, giornalisti, uomini di cultura alle parole recentemente pronunciate dal card. Angelo Bagnasco — si badi, in margine alla Messa per la giornata del malato, non in una sua prolusione all’Assemblea dei vescovi italiani — circa l’augurio che la libertà di coscienza, già annunciata da diversi leader di partito (ultimo Grillo) sull’approvazione della proposta di legge Cirinnà, possa venire “promossa con una votazione a scrutinio segreto”.
Nuovamente interpellato sull’episodio, il cardinale ha subito sottolineato riguardo all’intervista “incriminata” di aver semplicemente “fatto appello a un principio di ordine morale, antropologico, riguardante la libertà di coscienza, la libertà di ciascuno”. E ha sottolineato il porporato: “Non avevo certo intenzione di fare considerazioni di carattere tecnico”.
Alcune testate, a questo riguardo, enfatizzano anche la presunta “smentita” del segretario della Cei, mons. Galantino, il quale si è pronunciato così, dopo le parole del suo presidente: “indipendentemente dal fatto che avvenga o meno nei modi giusti, preferisco fare silenzio e aspettare le decisioni del Parlamento”. Giusto, qui, il rispetto delle istituzioni civili; anche se verrebbe forse da chiedersi, in caso le modalità di approvazione potessero apparire sbagliate, allora si sceglierà comunque di tacere, laddove il principio della libertà di coscienza si ritenesse da parte di qualcuno, senza dubbio involontariamente, non pienamente osservato – in un ordinamento parlamentare che, si badi bene, non prevede in Italia ad oggi il vincolo di mandato?
Anche nel Pd le reazioni sono state in parte negative, eppure c’è chi, come il cattolico democratico Ernesto Preziosi, ha voluto andare oltre la lettera dell’espressione del presidente della Cei, rilevandone una positività nella sostanza: “Il cardinal Bagnasco ha ragione: la libertà di coscienza non è un optional ed è garantita dalla Costituzione ai parlamentari, specie su temi delicati. Spero che sia rispettata e che anzi si faccia ogni sforzo per raggiungere una posizione ampiamente condivisa”.
Al di là dei toni che certamente stanno infiammando questo dibattito a causa della sua portata sociale — come successe d’altro canto per le leggi sul divorzio, sull’aborto, sulla procreazione assistita — e che possono anche nel frangente portare magari a enfatizzare affermazioni oltre la loro reale volontà comunicativa, l’episodio della presunta ingerenza verbale del presidente della Cei sull’autonomia procedurale del Parlamento italiano può suggerire una breve riflessione di fondo.
Se, infatti, di principio è condivisibile l’osservazione della presidente Boldrini, che commentando le dichiarazioni del presidente della Cei ha affermato che trattasi di “materia tecnica, regolamentare che spetta ai presidenti valutare” (aggiungendo poi esplicitamente “Credo che qualsiasi suggerimento non sia pertinente”), forse non sarebbe nemmeno sbagliato che i presidenti delle Camere si rendessero disponibili a rappresentare non con “tecnicismi parlamentari” (sempre Boldrini), ma con chiarezza “popolare” le ragioni per cui assumeranno la decisione del voto palese o segreto, consapevoli di come in questo caso oggettivamente il loro intervento — peraltro costituzionalmente previsto — possa pesare parecchio sull’esito dell’approvazione della legge e dei suoi contenuti particolari.
Anzi, considerata la delicatezza della materia, sarebbe probabilmente un atto di maturità istituzionale rendere conto con chiarezza delle proprie scelte regolamentari ad un Paese che sta partecipando all’iter di una legge di taglio sociale e anche morale con inusitata attenzione (e anche pathos, a quanto si vede). Questo perché comunque, al di là delle posizioni contrapposte sul merito, è diffusa la consapevolezza che questo passaggio legislativo contribuirà non poco a caratterizzare l’assetto sociale in cui si troveranno a crescere i nostri figli.