Sarebbe interessante che le televisioni usassero la moviola, non solo per i calci di rigore contestati o i gol problematici delle partite di calcio, ma anche per i dibattiti parlamentari particolarmente intensi e accesi. Ieri è andato in scena al Senato un match di particolare importanza, gelido nei modi ma rovente nella sostanza, tra il nostro attuale presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e il senatore a vita Mario Monti, ex presidente del Consiglio, arrivato a Palazzo Chigi nel novembre del 2011, in circostanze che sono tuttora oggetto di discussione (addirittura di libri), a sostituire Silvio Berlusconi. Con un’Italia, in quel momento, che era contrapposta e isolata in Europa e sotto il tiro della speculazione e della sfiducia dei mercati, tanto da far segnare uno spread che superava di molto i 500 punti.
Perché ci vorrebbe la moviola? Perché le immagini normali forniscono solo un’impressione superficiale della spavalda tensione, se ci è permesso dirlo, che è apparsa sul viso di Renzi di fronte alle accuse, con parole non scorrevoli ma chiare, di Mario Monti, che in genere in aula non brilla per coraggio oratorio.
Che cosa è successo? Matteo Renzi ha sparato una bordata che è sembrata in termini metaforici una sorta di “dichiarazione di guerra” alla Germania e a Bruxelles, dopo settimane di guerriglia palabratica e di dichiarazioni piuttosto sopra le righe.
Ha scandito il premier: “Noi metteremo il veto su qualsiasi tentativo che vuole andare a dare un tetto alla presenza di titoli di Stato nel portafogli delle banche e saremo, senza cedimenti, di una coerenza e forza esemplare”. Metteremo il veto? Sì, abbiamo capito bene. L’Italia, è bene ricordarlo, non è una “new entry” nell’Unione, ma un Paese fondatore. E Renzi dice questo alla vigilia di un Consiglio europeo della massima importanza, dove si discute nientemeno che della possibile uscita della Gran Bretagna dall’Europa.
La moviola potrebbe rivelare lo sforzo a cui Monti si sente chiamato, forse spinto da qualche “suggerimento importante” anche non proprio italiano, a replicare: “Presidente Renzi, lei non manca occasione per denigrare le modalità concrete di esistenza dell’Unione, con la distruzione sistematica a colpi di clava e scalpello di tutto quello che ha significato finora. Questo sta introducendo negli italiani, sopratutto in quelli che la seguono, una pericolosissima alienazione nei confronti della Ue, con il rischio di un benaltrismo. Rifletta”.
Il professore, ora senatore a vita, è un bocconiano di ferro, quindi è indotto a una certa cacofonia (nostra opinione personale, ndr), ma in tutti i casi è chiaro nella sostanza e minaccioso soprattutto in quel “Rifletta”. Non proprio un invito cortese in una seduta parlamentare alla vigilia di un Consiglio europeo, visto il credito che Monti ha e ha avuto in Europa, soprattutto a Berlino, per la sua notissima compiacenza.
Qui bisognerebbe rimettere mano alla moviola e osservare il volto di Renzi, quasi furibondo più che seccato, che guarda e si rivolge a qualche collega di governo (come se chiedesse qualche cosa) e prepara una replica secca: “Non accetto lezioni sul rispetto delle regole. Questo governo, numeri alla mano, ha ridotto le procedure di infrazione, il carico pendente di decreti, il deficit e la curva debito-Pil. Abbiamo fatto meglio di Spagna, Francia e Gran Bretagna”. Qualche “attenzione particolare” ai titoli tossici delle banche tedesche, delle due maggiori, il premier le aveva già riservate nel discorso iniziale, quando appunto ha riaperto, dopo settimane, il conflitto duro con Berlino e Bruxelles.
Scusate se ritorniamo agli effetti televisivi. Ma in questo caso ci vorrebbe una cosiddetta “zoomata” sul volto di Giorgio Napolitano, il vecchio presidente, grande “pedagogo diplomatico di scuola comunista”, che ha rilasciato una lunga intervista a Stefano Folli su Repubblica dell’8 febbraio, richiamando non di poco,Matteo Renzi a un rapporto, diciamo così, più “morbido”, più costruttivo con l’establishment europeo.
A questo punto, detto in soldoni, l’impressione è che, attraverso la “vecchia guardia” europeista italiana, in sempiterno contatto con Bruxelles e Berlino, sia stata consegnata una specie di “notifica” a Renzi da parte delle Cancellerie europee. Per essere ancora più espliciti, a Renzi è stato detto che non gli conviene fare il “Varoufakis”, perché si potrebbe anche preparare una sorta di “buccia di banana”, dove il nostro “rottamatore” potrebbe lasciare spazio ad altri. Insomma, lasciare il campo e mettersi a fare penitenza nell’anno del Giubileo della Misericordia.
Ci sono alcuni aspetti abbastanza significativi sul futuro di Renzi e sulla sua attuale “scarsa popolarità” in alcuni ambienti che contano, e che hanno poi un peso determinante nella grandi svolte. Ieri ad esempio il Corriere della Sera dedicava molto spazio in prima pagina all’attacco di Renzi alle banche tedesche, relegava in tredicesima pagina lo scontro tra Renzi e Monti, ma il fondo di un editorialista “principe” come Antonio Polito aveva un titolo di grande significato, quasi emblematico: “La spinta smarrita del premier”.
Insomma, c’è “puzza di bruciato”, con un po’ di sfiducia, intorno al governo di Matteo Renzi e non tanto per la “distrazione di massa” sulle unioni civili, ma piuttosto sulla realtà complessiva del Paese, sui numeri e le stime economiche dell’Italia renziana. Sarà un caso, ma il Napolitano impaziente dell’8 febbraio e il Monti che si erge come capitan Achab a Palazzo Madama, sembrano i più informati sull’andamento economico del Paese. Napolitano, con la sua intervista, anticipa di poco la revisione ufficiale della stima, al ribasso, del Pil italiano del 2015; Monti parla il giorno prima che l’Ocse abbassi le stime di crescita (se ci sarà) per l’Italia nel 2016. Sono strane coincidenze, che però hanno un peso oggettivo. Sembrano voler dire: ma che cosa dice questo premier con i numeri che si ritrova in casa?
Di fronte a questo spettacolo complessivo non c’è certo da fare festa. La politica economica europea è, a nostro parere, tutta da rivedere, ma non certo a colpi di testa e a bravate di spavalderia. Occorrerebbe forse una politica di alleanze molto più oculata, accorta e di lungo respiro. In definitiva, occorrerebbe veramente un ritorno alla politica, che purtroppo ancora non c’è, né in Italia (la vicenda del ddl Cirinnà, ricorda le storie dell’Ugi, Unione goliardica italiana) e nemmeno in Europa. Tutto questo che cosa provoca? Un altro periodo di incertezza con un altro presidente del Consiglio italiano che pare arrivato all’ultimo miglio.