Meglio un patto con Alfano che esporsi al rischio di una trappola targata M5s. Di loro non si fida, Matteo Renzi, e ha ragione: la scorsa settimana dovevano garantire i voti all’emendamento canguro di Marcucci e all’ultimo si sono sfilati. Ma è anche meglio stralciare la stepchild adoption mettendola in una legge apposita, che discettare di affido rafforzato con i cattodem e presentarsi al voto (a quel punto, in parte segreto) con il Pd diviso al suo interno. Dunque, via le adozioni, patto di governo su un nuovo maxiemendamento con le sole unioni civili e voto di fiducia: questa la nuova strada intrapresa dal presidente del Consiglio per intestarsi il merito di aver ottenuto un risultato storico, quello di approvare una legge vista con favore da buona parte degli italiani (che sono però contrari alle adozioni). Ne abbiamo parlato con Fabrizio D’Esposito, giornalista politico del Fatto Quotidiano.
Una sconfitta per Renzi?
Direi un cambio di schema politico. Renzi ha vari forni: Alfano per il normale lavoro di governo, Verdini per le riforme istituzionali. Ha pensato di rintuzzare i mal di pancia dei cattodem con il pungolo di M5s, ma il giochetto stavolta non è riuscito, da cui la decisione di sparigliare. In realtà, se guardiamo bene siamo tornati alla posizione iniziale, con Alfano che dice a Renzi: stralcia le adozioni e noi votiamo la legge. E’ il trionfo dei tatticismi esasperati.
Tutto liscio dunque?
Non proprio: ogni tatticismo ha sempre un prezzo. Stavolta si va a mettere la fiducia su un argomento di carattere etico, un controsenso: o metti la fiducia o lasci libertà di coscienza. Che cosa succederebbe a chi non volesse votare la fiducia per una questione di libertà di coscienza?
Cos’altro comporta questo cambio di schema politico?
Che la legge, salvo particolari imprevisti che con Renzi non si possono mai escludere, andrà in porto. Una norma che, oltre a stralciare le adozioni gay, specifica, come chiede Alfano, che le unioni civili non sono equivalenti al matrimonio tra uomo e donna può passare anche con l’80-90 per cento del voto parlamentare.
Che cosa, secondo lei, non è proprio andato come Renzi voleva?
Si è scontrato con la natura anti-parlamentare della sua politica: il varo definitivo (già si era visto con l’Italicum, ndr) degli emendamenti premissivi o canguro sarebbe un’innovazione mortale per la democrazia parlamentare.
Dichiarare davanti alla stampa estera che serve un accordo ampio perché “il Pd non ha vinto le elezioni” non è un’affermazione così innocente.
E’ una frase cinica, il criterio di chi, pur di stare dov’è, diventerebbe maoista o leghista o berlusconiano. E’ il potere che giustifica ogni mezzo. Infatti è talmente spregiudicato da avere un forno per ogni provvedimento. Renzi non bada ai contenuti, lo abbiamo visto sulle riforme istituzionali; ora la materia è delicata, ha cambiato schema di gioco e si è assestato sul minimo sindacale, ma quel che conta è portare a casa un’altra slide.
La minoranza dem, puntando all’unità del Pd e insieme a salvare la stepchild mediante il ricorso ai voti di M5s, non sperava in realtà di dividere Renzi da Alfano?
Si è illusa, perché tra loro due è andata in onda una sceneggiata. Tutti gli ultimatum di Alfano, per quanto potessero essere perentori, non sono mai arrivati a minacciare l’uscita dal governo, ricordiamolo. Non è Alfano che serve a Renzi, è Renzi che serve ad Alfano, che forse non vale nemmeno il 3 per cento.
Con lo stralcio delle adozioni però Renzi sposta il partito più al centro, proprio alla vigilia delle amministrative.
Sì, è vero, lo sposta più al centro. Può darsi che elettoralmente gli giovi. Ma gli gioverà senz’altro, anche a sinistra, poter dire di aver fatto una legge storica.
E’ casuale che proprio oggi (ieri, ndr), mentre Renzi sceglie la strada dell’accordo di governo e del voto di fiducia, il governatore della Toscana Enrico Rossi annunci di candidarsi alla segreteria del Pd, sfidando l’attuale segretario premier?
Non credo che sia casuale. Renzi sa perfettamente che al prossimo congresso il candidato della minoranza dem sarà Roberto Speranza. Per questo, una candidatura come quella di Rossi renderebbe inoffensiva la minoranza dei bersaniani e allo stesso tempo darebbe uno sfogo a chi è di sinistra ma sta con lui, con Renzi.
Un accordo sottobanco per prendersi il partito.
Sì, perché in tal modo sarebbero tre le aree che si confrontano: i renziani veri e propri, Rossi che imbarca gli ex bersaniani passati in maggioranza, i Martina per intenderci, con dentro pure i giovani turchi di Orlando, e Speranza. Se Speranza dovesse arrivare terzo, per i bersaniani sarebbe l’umiliazione definitiva.
Crede che Renzi intenda anticipare il congresso a fine 2016?
Penso di sì, anche se se ogni decisione di Renzi sarà subordinata all’esito del referendum. Se lo vince, ribalta il tavolo e va alle elezioni nel 2017. Se lo perde, si apre un’altra partita.
(Federico Ferraù)