Sembra ieri e invece è già quasi un anno da quando sul sussidiario abbiamo salutato Ferruccio de Bortoli, che lasciava la direzione del Corriere della Sera a Luciano Fontana.
Nei mesi successivi abbiamo qualche volta dubitato del titolo di quella noticina: “Se Renzi si arresta davanti al Corriere“. Soprattutto nel ritorno insistito di Paolo Mieli come onni-editorialista, il quotidiano di Via Solferino, qualche mattina, è sembrato invece rompere più del previsto una linea editoriale che nel cambio di direzione era apparso dapprincipio improntato a una certa “continuità debortoliana”.
Lo spartito del Corriere, ad esempio, è parso spesso marcato da toni e registri “atlantici”: nei quali l’americanismo della Fiat di Yaki Elkann e Sergio Marchionne è sembrato dare la mano allo yankismo del premier e alla sua simpatia di fondo per Israele. Una sintonia americana molto geopolitica, quella dettata dal primo azionista Rcs: molto diversa, in fondo, da quella morale affermata da de Bortoli all’indomani dell’11 settembre. Il “Siamo tutti americani” dell’allora direttore del Corriere era in realtà innestato in un profondo europeismo civile, non a caso negato dal renzismo anti-Ue. Quel misto di stile e sostanza che non per caso ha segnato già nel 2014 la critica giornalistica e civile di de Bortoli verso il premier-rottamatore. Una critica solitaria che allora è parsa controcorrente al punto che, appena dopo aver lasciato Via Solferino, de Bortoli per molti mesi ha avuto diritto di tribuna solo sulla stampa elvetica.
Più di un anno dopo de Bortoli è tornato sulla prima pagina del Corriere per riprendere una “narrazione” dell’Italia in Europa, dell’Italia europea, che Renzi ha cercato di coprire con la sua polemica gridata, ma non è riuscito alla fine a silenziare. E non è una coincidenza che sulla stessa cover del Corriere, domenica, abbia ripreso a intervenire anche Mario Monti: che pochi giorni prima, nella sede istituzionale del Senato, ha contestato apertamente la deriva anti-europea di Renzi. Monti – che all’Antitrust Ue si è confrontato con Microsoft – è sembrato porre al premier una questione stretta politica: certe movenze di bullismo antieuropeo rispondono a un’errata valutazione degli interessi del Paese o – peggio- rispondono tout court ad altri interessi? Quella di Renzi è rottamazione generazionale o alla fine soltanto “sfascismo”? Il dibattito su un Corriere che cessa di essere monopolio di Mieli e torna a ospitare de Bortoli promette di continuare.
Nel frattempo, certo, la crisi della media-industry nazionale preme, sollecita ristrutturazioni, favorisce chiarimenti. La Fiat – si sussurra da settimane – è intenzionata a lasciare Rcs: a cedere il suo 16% a chi – evidentemente – si facesse carico anche della prevedibile ricapitalizzazione e del necessario rilancio del Corriere.
La famiglia Agnelli sarebbe orientata a saldare un incrocio fra La Stampa (e l’Economist) ed Espresso-Repubblica della famiglia De Benedetti: lungo la duplice dimensione della torinesità e dell’appartenenza alla comunità ebraica internazionale. A Milano – si dice ancora – il compito di ricostruire il Corriere se lo assumerebbe nuovamente Giovanni Bazoli. che fra alcune settimane diventerà presidente emerito di Intesa Sanpaolo con una delega alle attività culturali del gruppo. Sarebbe lui – secondo i rumor – a cercare investitori: a sondare (forse) i nuovi vertici di Confindustria per verificare un’aggregazione del Sole 24 Ore (a sua volta nato dalla fusione tra due quotidiani meneghini). Ma siamo ancora al fischio d’inizio.