Il tormentato dibattito sulle unioni civili ha riacceso la discussione sul “partito dei cattolici”. Era inevitabile. L’iter programmato per l’approvazione del ddl Cirinnà è stato infatti sconvolto da una presenza imprevista che ha obbligato tutti gli attori politici a ridefinire le proprie posizioni: la galassia berlusconiana ed ex berlusconiana, Ncd, catto-dem e sinistra-dem, i cattolici e non cattolici di Demos e di Scelta civica, Grillo e il Movimento 5 Stelle, la stessa relatrice del ddl e, last but not least, Matteo Renzi. Non male per ciò che Mannheimer definisce “il partito che non c’è”. Per qualcuno, anzi, è perfino troppo. Piero Ignazi, ad esempio, tiene a precisare che tutto questo non è un ritorno alla Dc. “Partito dei cattolici, un ritorno impossibile” afferma. Infatti, argomenta, la religiosità in Italia è in calo costante e comunque la Chiesa non è disposta a sponsorizzare iniziative politiche. E il Family day? Una manifestazione vistosa ma troppo “dissonante con lo spirito dei tempi”. Ergo: i cattolici possono fare testimonianza, ma sono politicamente ininfluenti.
L’inchiesta di Mannheimer (in sintesi: “il partito che ‘non esiste’ vale il 49% del paese; quasi un elettore su due si dichiara “cattolico praticante. Ben il 49% tra i giovani sotto i 24 anni”), però, smentisce che il cattolicesimo degli italiana sia in via di estinzione. Si dichiarano “cattolici praticanti” – anche se non tutti lo sono – elettori di molti partiti, in quote ovviamente differenti. “Si registra una lieve accentuazione nel centro e nel centrosinistra per gli appartenenti allo ‘zoccolo duro’ [dei cattolici praticanti] e una altrettanto lieve predilezione per il centrodestra” per i cattolici praticanti in modo più saltuario (tra i grillini, invece, si scende sotto la media nazionale). La presenza di cattolici praticanti in tutti i partiti, osserva Mannheimer, porta ad escludere un nesso fra tale pratica e la scelta del partito per cui votare. Viceversa, la presenza di tanti cattolici in tutti i partiti aiuta a capire l’andamento del dibattito sulle unioni civili, segnato da una loro presenza “trasversale” e “mostra come il ‘peso’ dei cattolici nella vita politica italiana sia anche oggi molto rilevante”. Insomma, anche se senza partito non è detto che siano politicamente irrilevanti.
E’ questa la novità fotografata dalla discussione sul ddl Cirrinà, che induce anche a formulare un’ulteriore osservazione: l’alternativa al partito non è (solo) la Chiesa.
Si potrebbe pensare, infatti, che, senza la Dc o un partito equivalente, a rappresentare i cattolici sul piano pubblico, politico e legislativo possa essere solo la voce della Chiesa o, più precisamente, dell’istituzione ecclesiastica. Pensarlo è stato inevitabile dopo la scomparsa della Dc e, indubbiamente, il vuoto lasciato da questo partito è stato in parte riempito dalla Chiesa e, più precisamente, dalla Conferenza episcopale italiana, non su tutti i temi dell’agenda politica – ovviamente – ma su quelli rilevanti dal punto di vista della fede cattolica. Nella discussione sulle unioni civili, però, non c’ è stata una voce sola, identificabile con la “voce della Chiesa”: i cattolici si sono espressi in molte sedi, a vari livelli e in forme plurali, con posizioni non sempre coincidenti ma con un effetto, alla fine, convergente.
L’accordo iniziale di questa nuova musica è stato suonato da Papa Francesco che ha ribadito la dottrina cattolica, aggiungendo però che il Papa non “si immischia nella politica italiana, perché il Papa è per tutti”. E’ stata, a suo modo, un’affermazione (anche) molto politica: vuol dire che il Papa sta con tutti gli italiani, senza distinzioni, qualunque cosa pensano o facciano.
A partire dalle note di misericordia di Francesco ha poi cominciato a suonare un’orchestra numerosa e un po’ disordinata, con le incertezze inevitabili di ogni prima volta. Molti, però, hanno cercato di fare la propria parte, compresi alcuni che sono rimasti zitti. I vescovi si sono fidati del papa e hanno cercato di raccogliere il suo “arrangiatevi”. Sono intervenuti nel merito della questione, senza però assumere una specifica posizione politica.
Anche gran parte delle comunità e dei movimenti cattolici ha, giustamente, evitato di esprimere una posizione politica: anch’essi, infatti, sono “pezzi” di Chiesa. Molti di questi non hanno aderito al Family day, anche se tanti dei loro membri hanno partecipato a titolo personale. Senza la Chiesa alle spalle e senza leader riconosciuti, questa volta il Family day ha assunto la fisionomia di una “semplice” espressione della società civile (del tutto legittima, ovviamente, e “dissonante” solo per quanti preferiscono, altrettanto legittimamente, un’altra musica). Dopodiché è partita la corsa delle forze politiche ad intercettare queste voci e ad intestarsene il merito, con volata finale dei 5 Stelle superati in extremis da Renzi.
Non sappiamo ancora quale sarà la conclusione. Intanto, però, la decisione di approvare le unioni civili senza stepchild adoption può non piacere a tutti, ma contiene una lezione importante. I cattolici, se vogliono, possono far sentire la loro voce, non scegliendo se far parlare il Papa o i vescovi, le parrocchie o le associazioni, il clero o i fedeli, ma esprimendosi tutti, ciascuno nel modo che gli è proprio “con coscienza ben formata”. E senza chiudersi fra di loro, ma immersi nella società italiana e dialogando con tutte le sue componenti. E’ la Chiesa in uscita, anche quando c’è di mezzo la politica. Sarebbe bello se, nella libertà e nella diversità delle tanti componenti del cattolicesimo italiano, una convergenza simile si realizzasse anche su altri temi, dall’accoglienza per i rifugiati alla legge sulla cittadinanza per i nuovi italiani.