Applaudito dalla platea dei “canarini” della scuola del Pd per le unioni civili e rimbrottato dal country paper dei “gufi” di Bruxelles per debito e tasse, Matteo Renzi non si è scontrato con Jean-Claude Juncker. Il faccia-faccia tra il nostro premier e il presidente della Commissione Ue è stato quello tra due leader insostituibili, ma fragili. Dopo essersi sfidati (e anche insultati) per due mesi si sono resi conto di avere bisogno l’uno dell’altro: Renzi e Juncker sono saldamente al loro posto, ma con alle spalle qualche errore di calcolo e di fronte un futuro enigmatico. Meglio tenersi per mano.



Juncker è il primo ministro di una regina d’Europa, Angela Merkel, che è sempre più contestata nel suo stesso partito e che rischia tra poche settimane una sconfitta elettorale nelle principali Regioni tedesche. Nel complesso l’Unione Europea Juncker-Merkel per tutelare gli ex paesi comunisti come “Commonwealth” della Germania ci ha portato alla guerra fredda con la Russia che penalizza la nostra economia e a un accordo con la Turchia che disordina la lotta all’Isis. Juncker è giunto a Roma con alle spalle il pericolo della Brexit e la prospettiva che l’Unione Europea si riduca a una mera area di scambio commerciale con la moneta unica come uno straccio al vento. A poco più di un anno dalla sua elezione a presidente della Commissione, Juncker, a furia di catenacci e giri di vite, ha come risultato Schengen in crisi con terrorismo e migrazione fuori controllo. L’Europa e le sue capitali sono sotto assedio senza una politica comune — dalla moneta alla difesa — e con i movimenti scissionistici in crescita se non vincenti a cominciare dagli stati fondatori.



A sua volta il nostro premier non è precisamente con il vento in poppa. Sul giornale a lui più favorevole, Repubblica, un sondaggio fotografa governo e Pd in discesa con addirittura Renzi, in tre mesi, dal 47 al 41 per cento del gradimento quasi affiancato da Bersani salito al 39. Certamente pesa nell’immediato la sconclusionata avventura della legge sulle unioni civili. Renzi aveva avviato l’operazione per recuperare consenso elettorale a sinistra dopo lo scontro con la Cgil e la sinistra interna e esterna al Pd sulla riforma dell’articolo 18. Il tutto era stato quindi architettato come iniziativa parlamentare del tutto autonoma dal governo e affidata a un gruppo di deputati del Pd capitanati dalla Cirinnà. Alla vigilia delle elezioni amministrative l’obiettivo era uno schiaffo sulla destra, ridimensionare i vincoli di governo con gli ex berlusconiani e mandare in scena un Pd di sinistra alleato con Sel e M5s. Accortisi della manovra prima Grillo (dando libertà di coscienza) e poi i suoi parlamentari (mollando il “canguro”) hanno mandato in fumo il tentativo di Renzi per coprirsi a sinistra.



Risultato: l’iniziativa parlamentare indipendente dal governo si è trasformata in un testo Renzi-Alfano con tanto di voto di fiducia e la legge sulle unioni civili che doveva segnare uno spostamento a sinistra del Pd si è conclusa con il solenne ingresso di Verdini in maggioranza e Renzi ancor più bersagliato dall’opposizione di sinistra in Parlamento e nel partito. I bersaniani chiedono il congresso straordinario con persino il governatore toscano Rossi che, proprio da Firenze, si candida contro Renzi. 

In effetti Renzi puntando tutto sul governo e gestendo il partito con uno staff personale è in affanno sul territorio, che si tratti di congressi o di elezioni. Evita infatti i congressi regionali con commissariamenti a tappeto dal Veneto e Liguria (dove si è perso) alla Puglia (dove il governatore Emiliano gli è contro e i renziani litigano tra loro). Ma ora ci sono le elezioni non rinviabili. A Napoli Renzi punta su una ex bassoliniana ora seguace di Orfini, la Valente, ma dalla sinistra di Bassolino alla destra di Ranieri sono tutti contro con de Magistris che, a sua volta, non demorde.

A Roma Renzi ha scelto Giachetti, ma gli ex sindaci Rutelli e Veltroni sono scesi in campo contro. A Bologna Renzi non è riuscito “rottamare” il bersaniano Merola e a Torino il “rottamatore” si aggrappa all’ex berlingueriano Fassino in consiglio comunale dal 1975.

Dappertutto il Pd che con Bersani aveva vinto vede ora l’esito (e persino la presenza in ballottaggio) non scontato.

Anche a Milano, dove con Giuseppe Sala la vittoria era sicura, ora la corsa è più difficile. Le primarie lo hanno indebolito con i rivali che concentravano gli attacchi sull’Expo, carta vincente del Pd. Le primarie del centro-sinistra sono così servite a dare una piattaforma al centro-destra che si presenta con un candidato condiviso mentre Sala apparirà contestato e sorvegliato. Sala in tutti i sondaggi risulta in testa, ma senza che siano state ancora prese in considerazione la lista che ci sarà a sinistra dei “gufi” fuori dal centro-sinistra e quella fatta dai “gufi” al suo interno con l’antagonista Balzani per controllarlo in consiglio e in giunta. 

Se i “gufi” aumentano forse Renzi dovrebbe opporgli qualcosa di diverso dai “canarini”. Il “partito della nazione” di cui si parlò all’indomani del successo delle europee con il Pd al 41 per cento è stata un’illusione che è rapidamente svanita quando Renzi ha investito quella vittoria sulla Mogherini. L’Alto commissario è — come ben prevedibile — solo un “piccione viaggiatore” del presidente Juncker e così, per la prima volta, l’Italia non ha nessuno nella Commissione europea.