Da oltreoceano giungono notizie che delineano un’improbabile vittoria di Donald Trump nelle primarie, anche se le debolezze degli schieramenti politici tanto democratico quanto repubblicano impensieriscono tutto il mondo. Nessun candidato sembra così autorevole da riportare all’ordine del giorno un ritorno in campo degli Usa su scala mondiale in una situazione che si farà sicuramente sempre più difficile dal punto di vista macroeconomico e che avrebbe quindi bisogno di un’autorevolezza politica altrettanto e ben più forte in Europa, che con la Cina è, per ragioni diverse, il centro della macro-crisi: ne è l’epicentro mondiale.



L’Europa invece scivola lentamente verso una dissoluzione che sarà lunghissima e molto dolorosa, ma tuttavia inevitabile. La ragione è emersa con la crisi delle migrazioni. Un tema eminentemente politico e che solo la politica può risolvere, ma l’Europa ha costruito il suo edificio istituzionale sul presupposto tipicamente marginalista che la gestione dei sistemi complessi non ha bisogno di politica, ossia di relazionalità con variabili di processo, ma ha bisogno invece di algoritmi automatici a-relazionali, presupponendo che esistano leggi sociali e relazionalità solo razionali nelle aggregazioni umane, queste ultime viste alla stregua di aggregati biologici che la scienza può capire senza lasciare spazio alcuno né al mistero, né allo scarto di processo. 



Poi si scopre che decine di migliaia di bambini sono stati “perduti” nel nulla algoritmico riempito dal pieno criminale della sofferenza; si scopre che si pagano i passaggi delle frontiere come si salisse su una corriera o su un’astronave del luna park; si scopre che ciò nonostante i conti, sì i conti, non tornano e allora forse tutto non è così perfetto! Allora si ricomincia con la stessa solfa, proponendo i capi degli algoritmi a padroni del potere politico, come abbiamo fatto negli ultimi venti anni con banchieri centrali divenuti presidenti di repubbliche e capi di governi, e autisti d’autobus (a pagamento) per i migranti divenuti commissari europei, e a un tratto ci si accorge che è improbabile che tram, autobus, frontiere, ecc. riescano ancora a stare insieme.



La matematica e l’amministrazione aziendale non possono sostituire ciò che l’Europa si è illusa di creare (una comunità) seguendo gli stolidi federalisti che pensavano e pensano che l’Europa possa sostituire con procedure algoritmiche le nazioni che sono popoli, comunità di destino. E allora, quando hai tolto ai popoli le comunità di destino, come pensi di decidere su quanto costano i bambini scomparsi e ogni passaggio alla frontiera, senza scatenare risse tra matematici cretini? Il capo degli algoritmi può certo deciderlo e c’è sempre il servo sciocco che hegelianamente spera così di diventare dialetticamente padrone, ma appena le nazioni — ossia ciò che ne rimane, ossia i parlamenti nazionali non soffocati da direttive che ipnoticamente votarono senza conoscere — possono dire la loro, gli algoritmi li rifiutano: la persona è lì vicino, il suo respiro chi siede sullo scranno lo sente.

Allora il trucco dei tecnocrati è evitare che si assuma una qualche decisione sussidiaria, trasformando l’Ue in una nuova sorta di Urss, dove tutto passa senza che nessuna signora Gina abbia contezza di ciò che si decide. Ma le signore Gine hanno figli e mariti malati e dolore e speranze, e se la paura le sfiora eccole con le cacerolas come a Buenos Aires, come ad Arezzo e nelle Marche a piangere sui loro risparmi affidati agli algoritmi e agli gnomi cattivi come nelle oscure favole nordiche. E va bene se non capita come a Stoccolma, dove inizia la caccia all’uomo immigrato come con gli squadroni della morte.

È così che l’Europa in fondo si sta sfarinando: non con un big bang, ma come ci sussurra il grande Eliot, come uno sbadiglio gonfio di dolore e di paura per la notte e i suoi incubi che vengono dal civilissimo Nord europeo.