Un vero filotto. Si può dire che nelle primarie più belle d’Italia, chiuse domenica sera, hanno perso tutti. Certo, ha vinto Sala, che sarà il candidato sindaco per il centrosinistra; ma questo risultato, forse scontato, è l’unica cosa che strappa un (mezzo) sorriso a mister Expo. Per il resto, tutti sconfitti.
Il Pd milanese ha organizzato delle primarie e si aspettava una grande partecipazione di pubblico, che potesse superare la sfida agguerrita di cinque anni fa tra Pisapia e Boeri. Il magico numero di 67mila elettori sembrava a portata di mano, aiutato da una campagna roboante sui media, da un numero altissimo di seggi e da un voto distribuito su due giorni. Ci si è fermati a 55 mila, cinesi compresi. E la polemica sugli “stranieri” spaesati ai seggi non ha aiutato l’immagine complessiva della consultazione.
Sala, come detto, ha vinto, ma si è trovato a fare i conti con una coalizione che non lo voleva. Il risultato è che la maggioranza dei votanti non era per lui. Tutti ricordano il tentativo di delegittimarlo, nella sua onestà appannata (Balzani), nel suo non essere di sinistra (Majorino), con affondi sulla gestione dell’Expo e sull’appoggio dei centristi e del mondo cattolico. Ora dovrebbe costruire una candidatura che poggia su chi non lo vuole e l’ha osteggiato o su basi diverse, premiando il Pd renziano e altri mondi che hanno guardato a lui per superare l’alto tasso ideologico della coalizione di Pisapia.
Ha perso, di certo, Pisapia. E’ vero che la sua creatura, la Balzani, è arrivata al 34%, ma la sua giunta e i suoi collaboratori gli hanno girato le spalle, la sua presenza politica è superata e dimenticata, il tentativo di giocare una partita nazionale è archiviata nel cassetto. Rimane l’immagine della sua gita a Palazzo Chigi, quasi a chiedere il permesso a Renzi di sfidarlo, per poi uscirne miseramente sconfitto. L’impressione è che della “rivoluzione gentile” o del popolo arancione ce ne dimenticheremo prestissimo.
Anche Majorino esce sconfitto, superato dalla Balzani (sua avversaria a sinistra), non essendo riuscito a mantenere il ruolo di sfidante ufficiale, che ha cercato di conquistare partendo in anticipo. Rimangono i sospetti di un suo accordo sottobanco con il vincitore, se entrerà in giunta in caso di vittoria, o con il Pd, che si potrebbe concretizzare in un posto in Parlamento. Oggi però, rimane con in mano il cerino del colpevole della fine di Pisapia.
Quella che doveva essere la festa del centrosinistra assomiglia sempre di più ad un campo dopo la battaglia di una guerra civile, dove ci si lecca le ferite, ci si guarda in cagnesco con sospetto, dimenticando che esiste un campo avversario, dove qualcuno, prima o poi, potrebbe riorganizzare le truppe e partire all’assalto.
Nel centrodestra Stefano Parisi ha ormai sciolto le riserve. Si candida per mancanza di alternative, può forse fermare l’emorragia di elettori verso un centrosinistra guidato da un uomo di azienda, ma non sembra la persona in grado di motivare le truppe, dare un senso identitario ad un gruppo raccogliticcio di partiti senza guida. Oggi però c’è un avversario, e a qualcuno può tornare la voglia di combattere.