“La mia candidatura non crea spaccature nel centrosinistra ma offre un’alternativa valida al 50 per cento dei romani che nel 2013 scelsero di astenersi alle comunali e al 60 per cento dei simpatizzanti del Pd che, dopo avere partecipato alle primarie tre anni fa, quest’anno ha deciso di non farlo”. Lo afferma l’onorevole Stefano Fassina, candidato di Sinistra Italiana per le elezioni comunali a Roma. Alla sfida partecipano Roberto Giachetti per il Pd, Virginia Raggi per M5s, l’indipendente Alfio Marchini. Nel centrodestra invece sono in lizza sia Guido Bertolaso per Forza Italia sia Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, che oggi annuncerà ufficialmente la sua discesa in campo.



A Roma il centrosinistra si presenta diviso. Questo non riduce le vostre possibilità di vittoria?

Si continua a ragionare in modo molto “politicista”. Bisogna partire invece da un dato: alle primarie del Pd ha votato solo il 40 per cento di quelli che lo fecero nel 2013. Una parte larga del popolo di centrosinistra invece ha rotto con il partito, a prescindere dalla candidatura mia o di altri. Si è prodotta una frattura, e noi non creiamo una domanda, ma proviamo a dare una risposta a quel popolo che non vota Pd. Questo popolo quindi o rimarrà a casa, come è avvenuto ampiamente in Emilia-Romagna nel 2014, oppure voterà per altre ipotesi in campo. La debolezza del Pd è nelle cose, e noi faremo in modo che quelle persone non rimangano a casa e siano invece protagoniste di una stagione di discontinuità per Roma.



Che cosa accadrebbe a sinistra se anche Ignazio Marino decidesse di candidarsi?

Con Marino noi abbiamo da sempre un dialogo, ci confrontiamo sul programma e cerchiamo di arrivare a un’unica soluzione nel campo del cambiamento. Tanto io quanto Marino ci prefiggiamo la discontinuità e la ricostruzione morale ed economica di Roma.

Nell’intervista al Corriere, D’Alema ha criticato Renzi ma non ha offerto un’alternativa politica. Lei come vede il dibattito nel suo ex partito?

Lo vedo complicato. La minoranza dem è in sofferenza, la stessa sofferenza che ho vissuto io prima di lasciare quel partito. Con il tempo sta diventando evidente a tutti quanto fosse fattuale l’analisi compiuta da alcuni di noi qualche mese fa, e che ci ha portati fuori dal Pd.



In che cosa consiste questa analisi?

Il partito della nazione è già in essere. Questo non tanto perché al Senato i verdiniani votano insieme alla maggioranza, quanto piuttosto per le scelte che il governo fa dal lavoro alla scuola e alla Rai. Martedì in commissione Ambiente dalla proposta di legge sull’acqua pubblica sono state stralciate le due norme che traducevano l’esito del referendum votato da 27 milioni di italiani. Vedo un Pd riposizionato in termini di cultura politica, interessi rappresentati e scelte di governo.

Quali sono le vostre proposte per Roma?

Puntiamo sulla cura del ferro, cioè su quattro passanti ferroviari che colleghino l’area metropolitana di Roma. A ciò vogliamo aggiungere il completamento della metro C e della B fino a Casal Monastero, nonché tre linee tranviarie: una sulla circonvallazione orientale, una su quella occidentale e una terza che attraversa la città. L’obiettivo è il dimezzamento del numero di auto in circolazione in cinque anni.

 

Che cosa farete per l’economia della città?

Chiediamo la ristrutturazione del debito del Comune di Roma. Nel 2010 il governo Berlusconi stabilì un flusso di 300 milioni all’anno fino al 2040 destinati alla Capitale. A ciò si aggiungono 200 milioni l’anno di addizionale Irpef che pagano i romani, che vanno sempre ad alimentare il pagamento di questo debito.

 

Chiedete altre risorse dal governo?

No. Il punto è che date queste risorse, chi ha gestito il bilancio comunale durante la giunta Alemanno si è fatto anticipare 7 miliardi, diventati poi 5 miliardi perché sono stati applicati tassi d’interesse irragionevoli. Eliminando lo spread del 2% su questa anticipazione attraverso l’intervento di Cassa Depositi e Prestiti, senza un euro in più da parte dello Stato, il Comune di Roma recupererà 100 milioni.

 

Voi per chi voterete se si andasse a un ballottaggio tra Pd e M5s?

Noi voteremo per noi stessi, perché siamo convinti che la chiave per un buon risultato elettorale sia parlare a quel 50 per cento di elettori romani che già nel 2013 non andarono a votare.

 

(Pietro Vernizzi)