“Nel 1987 ero ministro del Lavoro e si capiva già che esisteva un problema demografico. Dissi chiaramente che con questo problema avremmo dovuto presto fare i conti. Quindi azzardai che non ci si doveva stupire se, nel giro di venti anni, sarebbero arrivati a nuoto sulle nostre coste europee 20 milioni di africani. Ora, non voglio immaginare, ma ci penso spesso, che tra altri vent’anni possano arrivare a nuoto 20 milioni di africani armati”. Rino Formica, uno dei grandi politici italiani che ancora ragionano con impressionante lucidità, che è stato più volte ministro, richiama all’ordine una classe politica, italiana ed europea, che sembra assente, quasi inerte di fronte ai grandi problemi di questa epoca e continua invece a litigare sul nulla, a dividersi e a eludere i problemi reali.



Scusi, Formica, che cosa rimprovera a questa classe politica? C’è un grande momento di crisi, ma è la finanza che occupa uno spazio enorme nelle decisioni.

E’ soprattutto la politica che si è ritirata, che è in profonda crisi. Io sono stupefatto che possa esistere una classe politica che non abbia consapevolezza di quello che sta avvenendo, di quello che è avvenuto in questi ultimi anni e rinunci a ogni visione sul futuro. In tutti i campi si fanno previsioni sul futuro; ma in politica, ai giorni nostri, nella “scienza delle scienze”, in quella che Max Weber chiamava Beruf, “vocazione” politica, non c’è più nessuno che abbia una visione.

Come si è potuti entrare in una simile crisi?

Noi stiamo entrando in quella che si può chiamare la quarta guerra mondiale. La terza guerra mondiale è quella che chiamavamo “fredda”. Il Novecento è passato con tutte le sue contraddizioni e mettendo in crisi imperi, superpotenze e culture politiche. In particolare, per quanto riguarda l’Occidente, il partito del liberal-conservatori e la socialdemocrazia sembrano superati di fronte a fatti come internet, la bomba atomica, la grande “bomba” demografica che arriverà nei prossimi anni.

I politici di oggi non hanno consapevolezza di questa trasformazione, di questo mutamento epocale a suo parere?

Ma sentite quello che dicono, i discorsi che fanno e le scelte che operano! C’è da chiedersi legittimamente dove si andrà a finire. Mentre sta avvenendo tutto questo, la Banca centrale europea sceglie di stampare moneta, di immettere moneta sui mercati, che alla fine sarà ancora drenata dalle banche e potrà servire tuttalpiù per un investimento di breve, non di largo respiro e di lungo periodo. Il “mordi e fuggi” a cui siamo stati abituati in questi anni. Ma questo significa solo “drogare” i mercati, non risolvere i problemi, quelli reali e di fondo.

Ma che cosa vede sul piano espressamente politico? 

Vedo che in questo nuova situazione geopolitica, nata dopo la caduta del Muro di Berlino, i due vecchi “guardiani” del mondo non possono nemmeno intervenire per una stabilizzazione di medio periodo. Una volta, le due superpotenze erano una sorta di “ospedale da campo” che intervenivano, magari sbagliando, e stabilizzavano la situazione. Oggi possono solo essere paragonate ad auto-ambulanze che tamponano per un periodo brevissimo un focolaio di crisi.

 

Scusi Formica, che cosa succede nelle classi politiche dei Paesi in una situazione geopolitica come quella che sta descrivendo?

Si assiste all’incredibile. Ho sentito, ho colto le frasi di Pierluigi Bersani e di Matteo Renzi sui voti che determinano la presidenza del Consiglio attuale e la segreteria del Pd. Mi permetto di fare una riflessione più ampia. In Italia, siamo di intelligenza pronta e anche dotati di furbizia, anche se poi abbiamo una scarsa propensione al cambiamento. In Italia si è capito subito, fin dall’inizio degli anni Novanta, che c’era la crisi delle culture politiche del Novecento. Il partito-massa si è trasformato formalmente in partito-persona. L’operazione non l’ha fatta solo Silvio Berlusconi (che era un perfetto democristiano), l’hanno fatta tutti i nostri attuali protagonisti. Sostanzialmente hanno fatto una capriola senza senso, perché culturalmente sono rimasti ingabbiati in una cultura arretrata, quella del partito-massa con cui erano di fatto cresciuti.

 

Quale sarebbe oggi il salto di qualità che dovrebbero fare?

Ma c’è innanzitutto da prendere consapevolezza di questa crisi epocale. E’ il primo punto essenziale, fondamentale. Sono rimasto sorpreso positivamente da Angela Merkel che, dopo le elezioni andate male di domenica scorsa in alcuni Land della Germania, ha detto: non cambio politica sull’immigrazione. Credo che abbia un po’ di consapevolezza. Poi siamo di fronte a generazioni che non hanno più interesse alla politica e l’ultimo compito che ci spetta è quello di ricostruire un ethos politico, una passione politica. E’ un messaggio che ormai, viste come sono andate le cose, deve riguardare la generazione che oggi ha trent’anni. Gli altri hanno già perso il tempo.

 

Secondo gli esperti che studiano i movimenti migratori, si parla di un movimento di 25 milioni di persone entro il 2050.

Questi sono i problemi da affrontare. E da affrontare politicamente. Perché, per parafrasare una celebre frase di Georges Clemenceau: la politica è una cosa troppo seria per farla fare dai tecnici. I vecchi riferimenti culturali, i vecchi partiti non ci sono più. La lotta di classe non sta più in un’azienda o in un Paese, ma ormai è una lotta di classe su scala planetaria tra Paesi poveri e Paesi ricchi. Noi italiani, che facciamo parte dell’Europa, siamo considerati un Paese ricco. Non siamo più la “proletaria che si muove”, come diceva Benito Musolini nell’interventismo del 1915. Ormai è cambiato tutto.

 

Ma una bussola almeno per affrontare una simile situazione? 

Ecco, mentre Bersani e D’Alema litigano con Renzi, mentre si discute sulle primarie, mentre interviene Raffaele Cantone sugli atti delle giunte di Roma, proviamo a immaginare uno scambio tra 50 milioni di africani che vengono in Europa e 50 milioni di europei che vanno in Africa. Nel vecchio continente sparirebbero i partiti attuali, tutti superati, e in Africa scomparirebbero le tribù. Proviamo a immaginare, ad avere una visione. Insomma torniamo a fare politica. E guardiamoci anche dall’esperimento americano di governare il Sudamerica con le grandi compagnie come la United Fruits o con qualche “amico” da puntellare o da mandare a casa. Oggi, la presidenza degli Stati Uniti si gioca soprattutto sul voto ispano-americano e a Washington devono farci i conti con questa nuova realtà.

 

(Gianluigi Da Rold)