Partito cercasi disperatamente. Un grido di dolore sale da una vasta platea di italici elettori che da anni, e sempre di più, si trovano orfani di un riferimento affidabile, e finiscono per rifugiarsi sempre di più nel limbo dell’astensione: i moderati. Il paradosso è che sono la maggioranza, sia pure di poco: se si guardano i voti assoluti delle varie competizioni ormai da quasi venticinque anni, dopo l’estinzione della prima Repubblica e di quel grande contenitore che era la Dc, si vede come i consensi andati al centrodestra siano quasi sempre prevalsi; i successi del centrosinistra sono stati determinati dai meccanismi delle leggi elettorali e dall’entità delle astensioni. A lungo, quest’area politica è stata rappresentata da Forza Italia poi Pdl, integrata con varie formule di alleanze; e in particolare dal 2001 in poi ha trovato una sponda robusta nel patto Berlusconi-Bossi. Che però ha tradito le aspettative, non realizzando quella grande rivoluzione liberale che aveva promesso: il declino forzista, oggi giunto a percentuali lillipuziane, è stato determinato da questo, non dalle presunte congiure denunciate dal Cavaliere. I suoi governi sono puntualmente caduti per lo sfaldamento del fronte interno; il che tra l’altro segnala la debolezza di quello avversario.



Oggi stiamo assistendo a qualcosa di ancora più deteriore: il tracollo di Forza Italia non solo non è compensato da una proposta alternativa di formato europeo (nell’ambito, per intendersi, della famiglia del Ppe), ma vede l’emergere di una destra populista che, priva di idee proprie, copia da quelle straniere: in primis la strada lepenista francese; ma con aggiunte di esperienze se possibile ancora più radicali che stanno maturando in vari Paesi d’Europa.



Interprete di questa linea è Matteo Salvini, che ha inflitto alla Lega un traumatico trasloco rispetto alla sua spinta originaria. Il Carroccio era nato per la battaglia federalista, sia pure con derive secessioniste peraltro mai concrete; e aveva dato voce a tanta parte dei ceti produttivi più dinamici del Nord, sempre più irritati nei confronti di uno Stato centralista, spendaccione, inefficiente e gabelliere. Nulla più di tutto questo si ritrova nelle dichiarazioni a nastro di un Salvini tramutatosi in esternatore seriale, grazie anche alle tante ribalte televisive che gli vengono pressoché quotidianamente offerte. Se proprio una costante si vuole trovare con la vecchia Lega di Bossi, è quella di interpretare il ruolo di imprenditori della paura: ieri in chiave anti-statale italiana, oggi in versione anti-globalizzazione planetaria.



In nome di questa guerra poco santa, il diversamente Matteo Salvini rottama a dritta e a manca in modo ben più devastante del suo omonimo Matteo Renzi: adesso tocca alle alleanze per le amministrative, da Roma a Torino. A costo di saldare una peraltro effimera intesa con un partitino come Fratelli d’Italia che raccoglie i residui del vecchio scontro in Alleanza Nazionale; e con una sedicente leader come Giorgia Meloni che sulla candidatura romana ha cambiato cinque idee in cinque settimane. 

Spiega Salvini che così facendo ha rianimato una Lega appassita, e i sondaggi per ora gli danno ragione; ma l’esperienza dimostra che i numeri veri, quelli delle urne, spesso si rivelano diversi. E non è comunque questo il punto: un Carroccio alla francese lepenista potrà anche diventare il riferimento della platea degli incazzati italici; ma di sicuro questa collocazione non potrà mai essere condivisa con l’ampia quota di elettori moderati che sono i protagonisti in tutta Europa, e che in mancanza di un approdo convincente finiranno in piccola parte verso Renzi, e in gran parte verso l’astensione.

Si tratta peraltro di capire se e quanto il disegno di Salvini sia condiviso dal resto della Lega; e qualche segnale se non altro di perplessità comincia a profilarsi, a partire da quelle manifestate da un Bobo Maroni che rimane comunque un importante riferimento del Carroccio. Il risultato delle amministrative sarà un primo importante test: perché se in quella Roma di cui l’altro Matteo sta facendo una bandiera il suo centrodestra targato Meloni non dovesse arrivare nemmeno al ballottaggio, allora qualcuno potrebbe anche presentargli il conto. Perché puoi anche disporre di un 14-15 per cento a livello nazionale: ma se non riesci a spenderlo politicamente per governare, che te ne fai? Attende risposta soprattutto un centrodestra che nella vetrina romana si presenta frantumato addirittura in quattro diverse proposte. Unite da un solo filo conduttore: il modello Tafazzi.