L’unica certezza è che nulla sarà più come prima. Nel campo del centrodestra il parricidio è ormai compiuto e lo sciame sismico che ne seguirà è solo alle prime scosse. Quella principale è attesa dalle amministrative, ma già oggi si balla la rumba. La rottura delle Idi di marzo, con Salvini e Meloni nel ruolo di Bruto e Cassio, sembra impossibile da ricucire, ma le incognite maggiori vengono dal fatto che Berlusconi non ha alcuna intenzione di recitare il ruolo del Cesare morente.
Che farà ora il vecchio Cavaliere, umiliato e deriso dai giovani alleati? L’impressione è che la fine del centrodestra come l’abbiamo conosciuto, pur tra alti e bassi, fra il 1994 e il 2013 avrà conseguenze oggi difficili da prevedere, ma di certo non limitate al solo settore moderato dello schieramento politico.
Salvini e Meloni sembrano aver scelto di collocarsi a metà strada fra Marine Le Pen e Donald Trump, una destra che riscopre parole d’ordini antiche, del liberismo economico, della difesa della cultura occidentale dalla pressione migratoria e dell’islam, in nome di un rigoroso rispetto della legge. Una posizione che intende rivaleggiare con i 5 Stelle nella contestazione dell’attuale equilibrio di potere costituito in Italia, ma partendo ovviamente dalla destra.
Proprio nella valutazione del fenomeno grillino si evidenzia la prima grande differenza, perché piuttosto che favorire in qualche modo i poteri costituiti (e targati Pd) i due quarantenni non escludono di votare i candidati a 5 Stelle, laddove i loro portabandiera dovessero risultare esclusi ai ballottaggi. Di fatto il riconoscimento che si tratta dell’altra faccia della protesta contro il “sistema”. Un endorsement, va detto per amor di verità, assolutamente non ricambiato da Grillo e dai suoi.
Al contrario, secondo il quasi ottantenne Berlusconi, i pentastellati se non sono il “male assoluto”, poco ci manca. A loro, dice, bisogna impedire in ogni modo di arrivare al governo del paese, perché si tratta di un movimento pauperista e giustizialista, fatto di persone incapaci e buone a nulla.
Non si tratta solamente di una questione generazionale, che pure pesa, ma di prospettiva politica. C’è molto di più del rifiutare la lettura di Salvini, secondo cui Berlusconi è meritevole di rispetto, ma ha intorno a sé troppi personaggi del passato, reduci logori del suo ventennio. Stanno nascendo in Italia due destre, che sembrano guardare sempre più in direzioni opposte.
Salvini e Meloni intendono contendere il voto di protesta ai 5 Stelle, consci che i grillini hanno pescato a piene mani nell’elettorato che fu del centrodestra e che dall’esperienza berlusconiana è uscito con una cocente delusione delle proprie aspettative. Su questa strada, ovviamente Berlusconi non può seguirli, e si trova costretto di conseguenza a tornare a guardare verso il centro, che però è già occupato dalla balena rosa renziana.
Contro il premier, a prima vista, usa parole dure e ben lontane dagli elogi sperticati dei tempi del patto del Nazareno: governo abusivo e illegittimo, lo definisce. Ma la realtà è diversa, e le posizioni reali non sembrano poi così lontane. Certo, un’ipotetica marcia di avvicinamento appare costellata di trappole e difficoltà. La via però è obbligata, e la si intuisce già nei segnali lanciati negli ultimi giorni ad Angelino Alfano. Lui con Renzi ci governa, e negli ultimi tempi è diventato una sponda più preziosa del passato nell’arginare l’offensiva della sinistra interna al Pd.
In una posizione di relativa forza, Alfano può permettersi di aspettare, anzi di invocare come segnale di pace la fine delle ostilità da parte dei quotidiani che a Berlusconi fanno direttamente o indirettamente riferimento, in primissimo Il Giornale di Sallusti. In fondo, proprio mentre Ncd stava rischiando l’implosione, la battaglia sulle unioni civili e il gioco di sponda nel respingere le lusinghe di Denis Verdini hanno ribaltato la situazione a favore del ministro dell’Interno.
In fondo, lui si sente nel giusto. E’ convinto che Berlusconi dovrà ammetterlo, se vuole ricucire con lui, e attraverso di lui con Renzi. Le condizioni per farlo, però potrebbero essere estremamente gravose per Berlusconi, e non si limiteranno certo a dover ammettere di essersi sbagliato a rompere con il governo Letta. Potrebbero dover comportare una completa rottura con Salvini, anche se questo dovesse mettere in forse la prosecuzione dell’esperienza di governo con la Lega in Lombardia, Veneto e Liguria. È questo potrebbe portare Forza Italia sull’orlo di una (o più) scissioni.
E’ troppo presto per disegnare scenari futuri, ma gli elementi per una rapida evoluzione ci sono tutti. La prospettiva che un’operazione centrista può avere è di massimo due anni (la fine della legislatura), ma potrebbero esserci appena dodici mesi a disposizione, se il paese dovesse precipitare al voto dopo il referendum confermativo della riforma costituzionale, in autunno.
Nel frattempo, le sirene dei moderati sono già al lavoro per allettare Berlusconi, in prima linea Pier Ferdinando Casini. L’ex premier non sembra avere alcuna intenzione di rassegnarsi ai giardinetti, ma lo aspetta una lunga marcia. Lunga, pericolosa, e nella quale nulla — neppure l’approdo — può essere dato per scontato.