Silvio è un sole dai Raggi multicolori. Alcuni gialli e risplendenti. Altri più opachi, quasi Verdini. L’incredibile postura di Forza Italia e del suo leader nella vicenda delle amministrative di Roma sembra pensata ad arte per giocare di sponda con il Bomba fiorentino nel tentativo di impedire la ricomposizione di una alternativa al Pd. E fa il paio con la sempre negata ed ormai imminente acquisizione di Mediaset Premium da parte di Vivendi di Vincent Bolloré. Il grimaldello di Renzi per portare Silvio in Telecom. Il capitolo due del Nazareno. Quello vero. Mai disatteso.
Da via Paleocapa trapela la notizia che il dossier sarebbe nelle mani di Pasquale Cannatelli, amministratore delegato di Fininvest, Giancarlo Foscale, cugino di Silvio Berlusconi, e Salvatore Sciascia: i plenipotenziari del Cav sulle faccende societarie e fiscali. Quelli storicamente deputati a mettere nero su bianco gli input e le strategie dell’azionista.
E tanto basta alla city milanese per dire che c’è un accordo di fondo per le nozze del secolo nel mondo dei media: quelle tra Vivendi e Mediaset. Matteo Renzi, attraverso l’ufficio stampa di Palazzo Chigi, ha fatto sapere di “non aver mai detto di essere felice per una fusione Orange-Telecom”. Ma ben presto potrebbe doversi esprimere su un affare non meno impegnativo per i destini italiani delle comunicazioni. E, si sa, il premier — a differenza di buona parte del suo partito — ha sempre visto Mediaset come un’azienda strategica del Paese da difendere alla stregua di Eni o Finmeccanica.
Tanto che c’è chi ha visto nelle prime scelte del neo direttore generale della Rai, Antonio Campo dell’Orto, la volontà di deporre le armi con Cologno Monzese, infastidita dalla concorrenza portata avanti negli ultimi anni da Sipra a colpi di sconti sugli spazi pubblicitari.Nelle ultime ore sarebbero aumentati i contatti tra Vincent Bolloré e i Berlusconi (fu proprio il francese, con Cesare Geronzi, a facilitare l’ingresso di Fininvest in Mediobanca) per un’operazione che potrebbe modificare di gran lunga gli equilibri del capitalismo italiano: l’unione dei gruppi media per creare una pay-tv europea, in grado di fare concorrenza a Sky.
Per un progetto simile c’è bisogno di un forte produttore di contenuti (e Vivendi ha nel suo capitale nomi come Canal+, Universal e Sony), un fornitore dell’infrastruttura e un soggetto munifico per comprare diritti televisivi di partite e serial, ormai diventati insostenibili per network che abbiano un perimetro soltanto nazionale.
Ed è in quest’ottica che si stanno muovendo italiani e francesi.
In passato si è parlato di un interesse di Vivendi per Mediaset Premium. Ma adesso si starebbe lavorando a un progetto più ampio: Mediaset entrerebbe in una piattaforma europea per la diffusione di contenuti che avrebbe come primi capofila proprio Premium in Italia e Canal+ in Francia.
Berlusconi in passato era contrario a vendere, ma negli ultimi mesi avrebbe cambiato idea per una serie di ragioni: gli eredi sono sempre più litigiosi, gli investimenti nella pay-tv porteranno un pareggio soltanto l’anno prossimo, il processo Ruby Ter potrebbe essere devastante.
Ma, nel contempo, sa che liberarsi di Premium (che tra l’altro non riesce a superare i 2 milioni di abbonati nonostante la Champions) tenendosi soltanto le televisioni in chiaro segnerebbe la fine del suo impero. Da qui la decisione di seguire il progetto portato avanti dagli Agnelli e di diluirsi in una realtà più grande.
E viste le dimensioni dei due protagonisti (Vivendi ha una capitalizzazione di 26 miliardi di euro, Mediaset di 4) non è peregrino parlare di un’acquisizione francese, con il Cav che dovrebbe trasformare Fininvest in una scatola di partecipazione più di quanto è ora.
Se è probabile un ingresso nell’azionariato di Mediaset scadenzato nel tempo, prima Vivendi deve chiudere non pochi dossier che riguardano la controllata Telecom. È chiaro che il governo non vedrebbe di buon grado un controllo francese sia nel primo attore telefonico sia nel principale colosso televisivo. In quest’ottica l’uscita di Renzi su Orange potrebbe essere letta come la richiesta a Vivendi di cedere l’ex monopolista a un soggetto industriale forte e non finanziario.
Ma prima ancora c’è da chiarire il ruolo di Telecom nello sviluppo della rete. A differenza di quanto pensano a Palazzo Chigi, la controllata del Tesoro Cassa depositi e prestiti ha aperto le porte di Metroweb — destinata a cablare le grandi città — all’azienda di via Negri. Che però per Renzi non deve avere la maggioranza della società fondata da Scaglia e Micheli.
Bolloré deve essere della partita. Per veicolare la sua pay-tv ha bisogno di una rete a banda ultra larga che manca al Paese. E in quest’ottica potrebbe anche mostrarsi più aperto dei suoi predecessori alle richieste della politica.
Politica che nella mai scomparsa versione Renzusconi potrebbe addirittura gradire a Roma una vittoria di Virginia Raggi, praticante dello studio Previti dove già si era distinta per la sua passione per la politica ed il bene comune. Berlusconi tiene diviso il centrodestra e Matteo proponendo il debole Giachetti scarica su M5s l’onere di provvedere al degrado di Roma.
Finale: dopo poco Matteo si riprende Roma, tenuta nel frattempo a stecchetto dal governo e Berlusconi, Confalonieri & co. si mettono al sicuro con le aziende. E Verdini traghetta ciò che rimane del vecchio centrodestra nelle salmerie di Renzi. “…a conquistare la rossa primavera dove brilla il Sol dell’avvenir”. Con i suoi Raggi infuocati.