Sono in corso da tempo le trattative tra Vivendi di Vincent Bolloré e Mediaset di Silvio Berlusconi. Circa un mese fa ci sarebbero state informative quasi ufficiali del grande risiko delle telecomunicazioni che da Telecom, dove Bolloré controlla già la maggioranza relativa, il 24,9%, arriva fino a Mediaset, cominciando da Mediaset Premium.



In breve sintesi, sia il finanziere francese, che è anche capofila dei soci stranieri di Mediobanca, sia Fedele Confalonieri hanno parlato con Matteo Renzi. E il premier ha risposto che non vuole intervenire su una questione tanto importante, ma anche di carattere privato. Insomma il presidente del Consiglio resterà neutrale, mentre un’altra grande realtà imprenditoriale italiana passerà probabilmente, in modo progressivo ma inesorabile, sotto bandiere francesi, anche se con una significativa presenza italiana.



Un’accelerazione della trattativa si è avuta in questi ultimi giorni. E un primo accordo di massima si sarebbe trovato in uno scambio di azioni tra Vivendi e Mediaset, che, a un livello cosiddetto inferiore, prevede la gestione di Canal+ dei canali di Mediaset Premium, il “buco nero” dell’attuale Mediaset.

Ma si tratta solo di un primo passaggio, e nell’accordo che si dovrebbe raggiungere ci saranno tutte le tappe del passaggio di Mediaset alla Vivendi di Bolloré.

Del resto una serie di segnali che il risiko partisse erano le dimissioni dall’amministratore delegato di Telecom, Marco Patuano, che in effetti è avvenuto ieri. Si è aperta quindi la strada del grande accordo, dove Mediaset perderà la sua caratteristica di grande impresa “familiare” italiana, disperdendosi in un colosso di telecomunicazioni a livello europeo, in cui i francesi con Bolloré avranno il ruolo più importante mentre la famiglia Berlusconi manterrà un pacchetto significativo di azioni.



Alla fine, attraverso Vivendi, Telecom e Mediaset daranno vita a una sinergia che era invocata da tempo, ma che, realisticamente, sul nuovo mercato globale, anche solo quello europeo, Berlusconi non poteva realizzare.

Del resto il Cavaliere aveva tentato, a suo tempo, di vendere a Rupert Murdoch, ma aveva trovato un’opposizione molto dura in famiglia. Il nuovo accordo sul passaggio progressivo e comunque una significativa presenza nel colosso che nascerà intorno a Vivendi ha probabilmente garantito la famiglia.

Anche per due ragioni. La prima è la perdita che sta subendo l’operazione Mediaset Premium. Dopo aver stanziato una cifra monstre (710 milioni di euro per tre anni) per soffiare le partite europee a Sky, ora Mediaset conta le perdite e sono perdite significative.

In più c’è l’imminente pericolo che in futuro possa allargarsi l’area della tv on demand, che Netflix soprattutto, ma anche altri sono in grado di offrire.

Nel pacchetto della trattativa c’è anche una carta a favore di Berlusconi. A Bolloré e alla sua Vivendi interessa entrare nella televisione italiana e interessa soprattutto una quota del mercato pubblicitario che raggiunge il 57 per cento.

In tutto questo c’è poi una lunga storia che si è sviluppata in questi anni e che ha un tratto significativo. La vecchia Mediobanca di Enrico Cuccia non aveva in simpatia il cavaliere di Arcore. A un certo punto, fu Cesare Geronzi a garantire le esposizioni bancarie di Berlusconi, con Cuccia che premeva per un rientro di Berlusconi in alcune banche. Poi la storia è cambiata. Prima è entrato in Mediobanca Tarak ben Ammar, grande personaggio che è amico di Murdoch, di Berlusconi, ma anche di Bolloré. E’ probabilmente Tarak che convince Bolloré a investire in Mediobanca e a fare accettare al delfino di Cuccia, Vincenzo Maranghi, l’ingresso della famiglia Berlusconi.

Se si osservano bene i vari passaggi della finanza italiana e di Mediobanca in particolare, ci si rende conto che, alla fine, il modello alternativo a quello di Cuccia e Maranghi ha una breve vita, ma sostanzialmente non passa. Gli antichi tentativi di Romano Prodi e di Giovanni Bazoli di mettere alla fine un “cappello” su Mediobanca non passano.

A piazzetta Cuccia si rafforza negli anni, e dopo l’esplosione della grande crisi, un nuovo capitalismo di relazione che sembrava andato in soffitta. Non è escluso che lo stesso Alberto Nagel ne abbia preso atto. Ma, in sostanza, intorno a Mediobanca si concentra un nuovo potere forte, basato sulle telecomunicazioni che vede Telecom e Mediaset come satelliti principali, Mediobanca come stanza di compensazione e probabilmente anche Generali come controllata di grande importanza strategica.

Alla fine, l’accordo con i francesi salva Berlusconi e muta i rapporti di forza nel capitalismo e nella finanza italiana. Non sono quelli che voleva probabilmente il Partito democratico e neppure Matteo Renzi.