La morte di due tecnici italiani in Libia è una notizia che ci riempie di angoscia e di pena e che disvela tuttavia con una lucidità drammatica che l’illusione di portare a compimento la pacificazione libica con l’intervento armato non accompagnato da un sapiente lavoro diplomatico, e quindi di intelligence, è destinato alla sconfitta. La Libia non è mai stata uno Stato. Lo state-building non ha mai raggiunto la sua acme come è accaduto in alcuni e solo in alcuni plessi territoriali dell’Africa del Nord, ossia della sponda Sud del Mediterraneo. In questa fascia geopolitica abbiamo diversi modelli di aggregazione degli insediamenti umani relativamente stabili (per il grande ruolo del nomadismo nella formazione dei sistemi agnatici).



Gli aggregati umani con spazi territoriali contrassegnati da insediamenti millenari pre-romani, ossia l’Egitto e la cartaginese Tunisia. Insediamenti semistabili che derivano dalle partizioni secolari lasciate intatte sia dall’Impero ottomano, sia dal colonialismo europeo e all’indipendenza, come il Marocco. Nel XVII secolo la dinastia alawide conquista stabilmente il potere infondendogli una sacralità che ne garantisce la sopravvivenza sia sotto il dominio imperiale, sia sotto il colonialismo francese. Discende dal Profeta, attraverso la figlia Fatima e il cugino Ali, suo consorte, ma sono sunniti e non sciiti. Si tratta di un’ascendenza sceriffiana, dallo straordinario potere legittimante. Esso sopravvisse alla lotta tra le potenze europee per il controllo del Marocco all’inizio del Novecento (tra Francia, Germania e Regno Unito, sino alla stabilizzazione della presenza francese). E tale legittimazione è straordinariamente alimentata con grande intelligenza strategica dall’attuale monarchia che detiene e forma una classe dirigente di prim’ordine.



Questa sacralità agnatica manca completamente alla storia algerina che fu sempre sottoposta alle pressanti esigenze barbaresche degli stati cristiani sino allo genocidaria colonizzazione francese (le pagine di Tocqueville sono terribilmente eloquenti e mai citate da una schiera di lettori distratti e ipocriti); e solo nella lotta di liberazione dalla Francia l’Algeria forgiò la sua essenza di nazione con profonde divisioni interne tuttavia tra esercito, intelligence e partito unico, affermando il suo laicismo rivoluzionario sino alla recente lotta contro l’integralismo islamico wahabita, dal 1992 al 2000.



La Libia è invece un caso estremo di integrazione triblastica instabile conquistata recentemente alla fine dell’Ottocento dalla potente legittimazione religiosa dei senussi, che con una penetrazione religiosa pacificarono le tribù e aggregarono via via una serie di insediamenti profondamente tra loro differenziati in quanto a storia e tradizioni dalla Cirenaica alla Tripolitania alla Mauritania al Fezzan. La monarchia senussita di Re Idiris, sotto l’influenza del nasserismo, fu scacciata dalla Libia e il suo ruolo di unificazione conquistato dopo una lunga guerriglia contro la dominazione italiana violenta e sterminatrice di interi aggregati tribali fu sostituito da una nuova e nascente oligarchia intra-tribale guidata da Gheddafi e dalla sua discendenza agnatica. Gheddafi abolì l’esercito e lo sostituì con una forza armata di controllo autoreferenziale.

Nonostante la cacciata negli anni Cinquanta del Novecento degli italiani dalla Libia, il ruolo di pacificazione e di nostro insediamento economico si rafforzò con la politica energetica, cosicché si può affermare che l’Italia è la nazione di riferimento energetico in Libia da ormai più di un cinquantennio.

L’eliminazione di Gheddafi nel corso delle cosiddette primavere arabe ha riaperto di fatto una sorta di guerra asimmetrica tra le potenze coloniali europee per il controllo delle fonti energetiche in Libia. E questo mentre, com’è noto, il wahabismo ha scatenato la sua offensiva in tutta l’Africa del Nord e del Centro per riaffermare un ruolo saudita contro l’emergere della potenza persiana sotto le nuove spoglie del regime ierocratico iraniano, soprattutto oggi dopo l’avvenuto accordo sul nucleare che ha avuto come pilota il cambio di alleanza strategico militare tra Usa e potenze sunnite nell’area del Nord Africa. La Francia in questo contesto ha svolto un ruolo attivo soprattutto in Libia e nell’Africa Centrale, con l’ausilio tanto del Regno Unito quanto degli Usa.

L’intervento armato in un contesto che vede la Libia oggi divisa tra governi riconosciuti e governi non riconosciuti internazionalmente – e tra il ruolo dell’Egitto potente e armato diretto a coprire l’antemurale del Sinai dal dilagare dell’Isis – è oggettivamente un attacco alla presenza italiana in Libia che era, come aveva esplicitamente riconosciuto l’ultimo governo Berlusconi, l’interlocutore privilegiato di una media potenza regionale piena di ambizione come la Libia di Gheddafi. Le antiche ferite stavano per essere definitivamente rimosse e le alleanze geostrategiche di natura energetica vieppiù rafforzate. Le Primavere arabe con il crollo del regime di Gheddafi e la sua morte hanno fatto precipitare il plesso territoriale in una situazione di tribalismo pre-senussita, ossia pre-unitaria com’era la situazione libica dopo la predicazione dei Senussi e la loro auto-erezione in monarchia che aveva la legittimazione della lotta anticolonialista.

Oggi il disordine dilaga e si sono interrotte le trattative che non potevano che dar luogo a una Libia divisa secondo le sue secolari differenziazioni storico regionali. L’Italia è destinata nei disegni francesi a essere la vittima di questa nuova spartizione della Libia. Gli Usa paiono molto più vicini ai disegni del Regno Unito e della Francia che a quelli di un alleato fedele, ma debole come l’Italia.

Non essere ancora riusciti a risolvere, del resto, il problema di poter finalmente costruire un centro di ascolto di intelligence nella Sicilia del Sud, in un periodo di così grande instabilità e necessità di rispondere con le armi della forza dell’intelligenza, è forse la chiave di volta per comprendere che il destino dell’Italia – così come quello dell’ Europa – non si decide in Europa, ma in Africa e… in Sicilia.